giovedì 23 gennaio 2014

La Gabbia delle vanità

Come ogni mercoledì sera sulla rete La7 è andata in onda la trasmissione La Gabbia condotta da Gianluigi Paragone e anche ieri mi sono messo davanti al televisore ad ascoltare gli interventi degli ospiti e vedere i servizi degli inviati. Si è parlato di politica evidenziando i mali in essa contenuti e le vicende spesso torbide che la caratterizzano. Le cattive abitudini di molti parlamentari che a differenza di quanto avviene all'estero snobbano le domande dei giornalisti arrivando talvolta a reagire seccatamente, in particolare quando le domande risultano poco gradite.
Questa è la parte che francamente trovo più interessante.

Poi si è passati all'economia e qui il programma dimostra la sua decisa posizione anti-euro, se non anti-UE. E fin qui non ci sarebbe nulla di male, per carità, ciascuno è libero di esprimere la propria posizione e avere programmi diversificati è sicuramente un aspetto positivo per l'informazione.
Dove però rimango perplesso è il modo in cui si confrontano gli ospiti, caratterizzato spesso da bagarre in cui talvolta viene coinvolto il pubblico e che poco ha di interessante e di utile per chi segue da casa in quanto non permette di capire bene chi dice cosa.
Per non parlare poi di ospiti fissi a cui viene riservato uno spazio proprio durante il quale illustrare teorie economiche bizzarre che, se proprio, andrebbero spiegate in altro contesto e soprattutto con un contraddittorio altrimenti è possibile far passare tutto per serio.

Nella puntata di ieri ho assistito anche agli scambi vivaci di opinioni tra il blogger Mario Adinolfi ed il prof. Antonio Maria Rinaldi, uno dei più ferventi sostenitori del ritorno alla lira e dichiaratamente anti-euro, anti-UE, anti-Merkel, anti-Germania, che con una bandiera tricolore in mano invitava tutti a non vergognarsi di essere italiani. Francamente non so a chi si riferisse.



Ha poi sfoderato dati buttati un po' a caso, come fossero dadi sul tappeto verde da gioco di un casinò, sull'indice della produzione industriale italiana che, a suo dire, sarebbe in calo da quando siamo entrati nella moneta unica mentre il corrispondente della Germania sarebbe cresciuto a decorrere dallo stesso momento a tal punto che il divario tra i due indici sarebbe oggi addirittura del 38%.

Ora io non so dove abbia ricavato questi dati il prof. Rinaldi perchè, se prendiamo quelli forniti dall'Istat, è vero che in alcuni settori l'indice della produtività è calato ma non a decorrere dal 1999 come ha affermato lui. Inoltre i dati non devono essere letti così superficialmente, ma analizzati approfondendo le eventuali cause che possono aver portato ad una riduzione (o crescita).


Come si può vedere nella tabella nel settore del tessile, abbigliamento e accessori, c'è stato effettivamente un calo della produzione ma non dipende certo dall'euro, piuttosto dalla delocalizzazione della produzione effettuata già a partire dalla seconda metà degli anni '90 per ridurre il costo di una produzione ad alta intensità di manodopera.
Per il settore dei computer e prodotti di elettronica sappiamo che la produzione di queste due categorie merceologiche si è sensibilmente ridotta per la crisi che ha coinvolto aziende come la Olivetti che alla fine ha lasciato il campo. O come la Mivar, la Sèleco ed altre che pian piano hanno dato forfait e se si analizza la loro storia si vedrà che l'euro c'entra poco con la loro fine, anzi nulla.

L'energico professore poi è passato alla Germania fornendo dati che solo lui conosce come ad esempio un presunto divario tra l'indice della produzione tedesca e quella italiana che avrebbe raggiunto il 38%.
Che ci sia un divario nessuno lo smentisce, ma che sia di quell'ordine sarebbe interessante scoprire dove l'ha ricavato.
Ha affermato che l'aumento della produzione la Germania lo deve all'euro, ma se andiamo a vedere i dati ufficiali si scopre che questa è cresciuta già anni prima dell'unione monetaria e che dal 1999 questa ha subito una impennata dopo un po' di tempo, più esattamente dal 2003, ovvero da quando le riforme attuate dal governo Schröder hanno iniziato a dare i propri frutti, frutti di cui ha poi beneficiato in gran parte l'attuale cancelliera Angela Merkel.


Questa crescita poi è dovuta in particolare all'enorme incremento dell'export che ha riguardato i Paesi della UE ma in misura maggiore le aree extra UE ed in particolare extra euro. Questo un professore che si dichiara economista dovrebbe saperlo e quindi imputare al cambio fisso la debolezza della nostra economia ed il successo di quella tedesca lo trovo alquanto azzardato.



 
Calo invece un velo pietoso sull'intervento del giornalista Paolo Barnard che ha raccontato una versione 'personalizzata' riguardo il contenuto di un report della Commissione Europea, report che in un passaggio mette in guardia da un possibile scenario negativo che se confermato comporterebbe un calo del tenore di vita nel prossimo decennio. Riporto il testo originale in inglese:

"If this was to materialise, euro area living standards (potential GDP per capita) would be at only around 60% of US levels in 2023, with close to 2/3 of the gap in living standards due to lower labour productivity levels, and with the remaining 1/3 due to differences in the utilisation of labour (i.e.matched US GDP per capita trend growth rates over the 1980's and early 1990's."

Come si può leggere si parla di ipotesi e questo ammonimento andrebbe contestualizzato all'interno di tutto il report e non estrapolandone una parte.
Affermazioni poi come questa sotto apparsa durante lo show del giornalista non sono contenute nel report e sono frutto solo della sua fantasia.
 
 
La sua performance poi è proseguita con una serie di affermazioni sparate a raffica e dai contenuti inesatti, come ad esempio il dato sulla presunta percentuale di lavoratori sottopagati in Germania da cui si evince che non conosce il significato del termine 'sottopagato' (sottopagare: pagare meno del dovuto o del giusto- Treccani) confondendolo con il termine low-wage che identifica (per Eurostat) un livello di salario inferiore ai 2/3 rispetto a quello medio.

E' andato avanti dicendo che sempre la Germania sarebbe in 'rosso' sulle esportazioni (?) e che non effettuerebbe investimenti in infrastrutture da almeno 10 anni. Ho l'impressione che confonda gli investimenti pubblici in infrastrutture con quelli del settore privato, che effettivamente sono tra i più bassi in Europa, ma se avesse davvero letto quanto il governo federale ha speso in infrastrutture (ammodernamento ferrovie, autostrade, edilizia), in particolare nei Länder dell'ex DDR, eviterebbe di raccontare sciocchezze.

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