domenica 12 aprile 2015

Correlazione tra PIL, deficit e debito pubblico

All'indomani della presentazione del Documento di Economia e Finanza (DEF) molti sono coloro (compreso il sottoscritto) che ne sono rimasti delusi. La maggior parte perché auspicava una riduzione della pressione fiscale, altri (tra cui il sottoscritto) una riduzione sia della pressione fiscale che della spesa pubblica. Questo perché il livello, o la qualità se si preferisce, dei servizi resi dalle amministrazioni pubbliche, ad iniziare dallo Stato, non valgono il loro costo, ovvero quanto si paga per ottenerli. Dal mio punto di vista occorre necessariamente riformare la spesa delle amministrazioni pubbliche a tutti i livelli riducendone il costo, in seguito si potrà decidere se introdurre nuovi servizi oggi assenti (ad esempio un sussidio per i disoccupati), migliorare quelli esistenti oppure ridurre la pressione fiscale, pressione che anch' essa dovrà essere rivista e redistribuita perché oggi è eccessivamente concentrata sulle fasce di reddito medio basse e che pesano in particolare verso coloro che le tasse le pagano interamente.

Tra coloro che invocano un abbassamento della pressione fiscale c'è chi afferma che la spesa dovrebbe rimanere comunque costante per non penalizzare il PIL. Essi sostengono che una riduzione della spesa pubblica penalizzerebbe sensibilmente la quota di Prodotto Interno Lordo da essa generata ed il cui ammontare è legato al moltiplicatore fiscale.
In linea di principio ciò è vero, però rimane il fatto che occorre trovare chi paga la differenza tra uscite ed entrate del bilancio pubblico. Normalmente sono gli investitori che acquistano i titoli del debito (o obbligazioni) ma lo fanno se sono sicuri che l'emittente sarà in grado di ripagare sia il capitale che gli interessi previsti dalle cedole. Se il debito complessivo di chi emette titoli aumenta di anno in anno si arriverà prima o poi ad un atteggiamento crescente di diffidenza e di sfiducia da parte degli investitori sulla capacità di ripagarlo.
E' quindi importante che l'ammontare del debito complessivo rimanga costante oppure oscilli di poco in proporzione alla ricchezza prodotta. Niente di diverso da quando si chiede un fido o un mutuo ad una banca oppure ad una finanziaria, queste acconsentiranno fintanto che il debito consolidato del richiedente non arrivi a superare una certa parte del reddito prodotto.

I limiti di bilancio fissati dai trattati dell'Unione Europea oramai li sappiamo:
  • Rapporto debito/PIL entro il 60%
  • Rapporto deficit/PIL entro il 3%
Vediamo ora di conoscere la correlazione che esiste tra queste tre variabili, correlazione che ci da anche modo di comprendere come ad esempio la regola del 3% del rapporto deficit/PIL, contrariamente ad alcuni luoghi comuni diffusi, ha una sua logica.

La correlazione esistente la si può rappresentare con una semplice equazione matematica:
dove:
d = deficit
D= debito


Quindi se supponiamo di avere un debito pari al 130% del PIL e una crescita di quest'ultimo del 2,5%, per mantenere costante il rapporto debito/PIL occorre che il deficit sia il risultato dell'equazione, ovvero 3,17%. Se quello reale conseguito sarà inferiore il debito si ridurrà rispetto al PIL, viceversa aumenterà.
Da tenere presente che i dati sono espressi tutti a prezzi correnti quindi l'inflazione in questo contesto faciliterà l'obiettivo di riduzione del debito.

In alternativa si può anche ricorrere ad un foglio elettronico per fare le simulazioni con varie combinazioni di variazione di PIL, deficit e debito:

1) Si impostano le formule

2) Si decide l'ampiezza del periodo da considerare e si fissano i parametri scelti. A questo punto si otterranno i risultati

3) Si può anche raffigurare il risultato inserendo un grafico

A questo punto se ci si esercita un po' si avrà la possibilità di osservare un fatto che nel risolvere matematicamente potrebbe sfuggire: per ciascuna combinazione con valori costanti di crescita del PIL e di deficit, il rapporto debito/PIL si andrà a stabilizzare ad un determinato valore:


Il rapporto crescerà o decrescerà spostandosi dal valore iniziale sempre meno fino a raggiungere un punto di equilibrio. Questo fatto è interessante perché ci permette di determinare quale crescita media del PIL di lungo periodo sarà necessaria per stabilizzare il rapporto debito/PIL a fronte di un determinato rapporto deficit/PIL. Oppure in alternativa quale deficit è ammesso a fronte di una crescita media di lungo periodo del PIL per mantenere costante il rapporto debito/PIL.
Ad esempio a fronte dei parametri previsti dal trattato di Maastricht (debito/PIL=60% e deficit/PIL=3%) il PIL nominale di lungo periodo dovrà essere almeno del 5,26%:


Questo risultato, considerando che l'inflazione prevista non dovrebbe superare il 2%, comporta che il PIL di lungo periodo in termini reali dovrebbe crescere mediamente del 3,26%, un valore che poteva essere possibile negli anni precedenti il trattato di Maastricht, ma oggi è decisamente anacronistico e pertanto i parametri andrebbero rivisti. E' mia opinione lasciare pure il rapporto deficit/PIL al 3% ma il debito rispetto al PIL andrebbe portato al 80 o anche al 90%. Questo comporterebbe una crescita media del PIL nominale del 3,4÷3,8% (rispettivamente 1,4 e 1,8% in termini reali con inflazione al 2%), valori oggigiorno raggiungibili (anche se non facilmente).