domenica 29 aprile 2018

Si può cancellare il debito pubblico? Sì...in un mondo virtuale!

Gira da tempo in rete questa domanda, ripresa tra l'altro anche da qualche economista o su organi di informazione da giornalisti occupandosi di questioni economiche:
"Si può cancellare tutto o parte del debito pubblico?"
La risposta è SI, si potrebbe fare. Tecnicamente è possibile.
E allora perché non lo si fa?
Per le sue implicazioni, in particolare riguardo alle ripercussioni sui prezzi che causerebbero una serie di problematiche che annullerebbero del tutto i vantaggi di una simile operazione.
Ma vediamo di capirne le ragioni.

Facciamo un esempio semplice. Si supponga di avere 100 mila euro risparmiati e investiti in titoli di Stato, titoli che per l'appunto lo Stato, il governo, ha emesso per compensare un eccesso di spesa ed è quindi ricorso a un prestito. Dato che è un prestito questo corrisponde quindi ad un debito e dato che a chiederlo è lo Stato a nome dei suoi cittadini è quindi per definizione "pubblico", ecco perché questo onere si chiama "debito pubblico".
Proseguiamo con il nostro esempio. Supponiamo che le uscite, le nostre spese quotidiane, siano compensate dalle entrate (retribuzione, provvigioni, utili di impresa etc...) quindi non abbiamo al momento necessità di prelevare fondi dal nostro investimento in titoli di Stato (BOT, CCT, BTP...) e nemmeno di acquistarne altri.
Quando questi titoli raggiungono la loro scadenza il governo ci rimborsa il loro controvalore nominale (generalmente 100 euro cadauno). Per semplicità ipotizziamo che tutti abbiano la medesima scadenza, questo implica che quel giorno il governo ci darà 100 mila euro, presumibilmente attraverso un bonifico da parte della Banca d'Italia dove il Ministero del Tesoro ha un proprio conto.
Ma il governo se non ha disponibili quei 100 mila euro deve ricorrere ad un secondo prestito, il quale servirà ad onorare l'impegno con noi. Può quindi emettere altre obbligazioni e aggiudicarle via asta. L'acquirente può essere altro privato cittadino, una banca o altra istituzione finanziaria o anche la banca centrale stessa, sebbene al giorno d'oggi le maggiori banche centrali al mondo non possono o comunque non intervengono per statuto nella fase di collocamento ma semmai solo in un secondo tempo. Quindi il titolo lo può acquistare una banca commerciale, un fondo o ente finanziario oppure un privato cittadino e solo in un secondo tempo può essere acquistato dalla banca centrale. Questo vale per la Banca Centrale Europea, per le banche centrali dell'Unione Europea e dell'eurozona in particolare ma anche per la Federal Reserve statunitense e per la Bank of Japan (sebbene qualche pseudo economista nostrano sostenga che non sia così). Il motivo è che è controproducente che un governo possa ottenere finanziamenti direttamente dalla propria banca centrale e le ragioni sono simili a quelle per le quali qui spiego perché nella nostra realtà è allo stesso modo controproducente pensare di cancellare tutto o parte del debito.

Abbiamo quindi nel nostro esempio che il giorno della scadenza il governo attraverso la sua banca, ovvero la Banca d'Italia, ci rimborsa il prestito ricevuto (100 mila euro). In tale ipotesi abbiamo che il saldo di questa operazione è nullo: noi da 100 mila euro in titoli abbiamo ora 100 mila euro in moneta corrente (tralasciamo ulteriori guadagni sulla differenza di prezzo di acquisto e vendita e per i previsti interessi), il governo aveva un debito prima con noi di tale importo e da quel momento in poi lo ha con altro/i soggetto/i.
La quantità di moneta in circolazione rimane la stessa.
Ma cosa accade se il governo potesse cancellare quei 100 mila euro seppur rimborsandoci?

L'operazione può avvenire solo in questo modo (escludendo il default, ovvero detto volgarmente un 'insoluto'): la Banca d'Italia acquista da noi i titoli e ci versa i 100 mila euro, poi quando questi giungono a scadenza anziché farsi pagare dal governo il corrispettivo semplicemente li brucia.
La banca centrale registra una perdita a bilancio di pari valore ma poco importa perché come sappiamo una banca centrale è una entità del tutto particolare, l'unica atta a creare moneta a piacimento (o quasi) quindi a differenza di qualsiasi altra banca non può fallire.

Fotografiamo la situazione attuale: noi abbiamo sul conto 100 mila euro derivanti dalla vendita alla banca centrale dei nostri titoli, il governo ha 100 mila euro in meno da pagare (quelli che dovrebbe alla banca centrale il giorno della scadenza dei titoli acquistati da noi) e la banca centrale ha una perdita di tale ammontare che da un certo punto di vista non implica nulla (in teoria) perché può emettere base monetaria (o moneta per dirla semplicemente) a suo piacimento. E' come se noi potessimo accendere il PC, entrare nella nostra area riservata della nostra banca e accedendo al nostro conto potessimo effettuare un pagamento anche se non disponiamo del denaro sul conto. Sarebbe un sogno, no?
C'è poi un'altra questione, che essendoci 100 mila euro in meno di titoli in circolazione (---> offerta), dato che il governo non ha dovuto emetterli per onorare il debito prima con noi e poi con la Banca d'Italia, e che noi con ogni probabilità intendiamo acquistare comunque dei titoli per mantenere l'investimento onde preservare il potere di acquisto nel tempo del nostro risparmio (---> domanda), abbiamo che la domanda cresce rispetto all'offerta.
Facciamo un rapido esempio giusto per chiarire il tutto con numeri molto piccoli. Ipotizziamo che il totale dei titoli in circolazione (del debito pubblico) sia pari a 1 milione di euro (magari...) e noi quindi ne possedevamo un decimo, ovvero 100 mila euro. Se tale ammontare poi è stato cancellato grazie alla Banca d'Italia che ha bruciato i titoli una volta acquistati da noi, il debito del governo e quindi i titoli in circolazione si riducono a 900 mila euro, però noi non intendiamo tenere i soldi sul conto con il rischio di perdere potere di acquisto e quindi cerchiamo di acquistarne altri. Abbiamo quindi che la domanda rimane di 1 milione di euro ma l'offerta è ora di 900 mila euro, pertanto il prezzo di aggiudicazione aumenta e di conseguenza diminuisce il rendimento e se il rendimento cala il governo ha un minore onere.

Allora dove sta il problema se fin qui è tutto bello?

Ecco che ci arriviamo. Se i titoli in circolazione sono passati da 1 milione di euro in controvalore a 900 mila, anche se il prezzo è aumentato ed il rendimento scende ci sono sempre 100 mila euro (o poco meno) che avanzano, quelli di chi non è riuscito ad acquistarli rimanendone escluso.
Ci sono due tipi di implicazioni, una poco credibile, una invece alquanto verosimile:

  1. Chi non è riuscito ad acquistare titoli (magari noi) si tiene i soldi fermi sul proprio conto corrente (poco credibile).
  2. Visto che non si è riusciti ad acquistare i titoli si decide di concedersi qualche capriccio, magari non spendendo tutti i 100 mila euro ma buona parte.
Bene, se ci limitassimo a 100 mila euro non comporterebbe nulla visto il reale ammontare di debito pubblico in vigore, ma se si cancellassero ad esempio 200 miliardi, ovvero un quarto circa della spesa pubblica annua e nemmeno un decimo del debito complessivo?
Qui le cose cambierebbero perché l'improvviso aumento della domanda di beni e servizi avrebbe come conseguenza l'aumento dei prezzi che vanificherebbe in parte o del tutto la cresciuta disponibilità.
Questo perché è una naturale se non fisiologica risposta degli operatori economici a fronte di un sensibile aumento della domanda in tempi brevi che sollecita loro ad incrementare il profitto non solo sulla quantità di beni e servizi venduti ma anche lucrando sul prezzo.
Se un bar ha 200 avventori al giorno e vende il caffè a € 1,00, è presumibile che se il numero aumentasse in poco tempo a 300 si decida a portare il prezzo ad esempio a € 1,20 almeno, non accontentandosi di guadagnare solo sull'effetto quantità.

Costoro che negano questo sono semplicemente dei ciarlatani, così come sono ciarlatani quelli che sostengono che questa conseguenza (l'aumento dei prezzi) è irrilevante. Intanto l'inflazione vanifica una maggiore disponibilità finanziaria in termini di potere di acquisto ed in secondo luogo (si fa per dire) penalizza una larga porzione di cittadini, in particolare i redditi fissi, perché le aziende di fronte ad un aumento dei costi saranno meno propense ad aumentare il costo del lavoro concedendo aumenti salariali, pertanto quando il o i dipendenti dovessero bussare alla porta saranno meno disponibili a darlo.
Magari il barista di prima può aumentare il prezzo della tazzina da caffè, ma se una parte dei suoi clienti è a reddito fisso e ha perso potere di acquisto non ottenendo l'aumento richiesto è presumibile che qualche volta rinunci a bere da lui il caffè e questo significa che da un lato il barista vede aumentare l'introito sul fattore prezzo ma dall'altra subisce un calo sul fronte quantità. Si tratterà di vedere se alla fine il saldo sarà per lui positivo o negativo.

In ogni caso questa soluzione di cancellare parte o addirittura tutto il debito di un governo non l'ha mai perseguito nessuno e l'esperienza ci ha insegnato che un aumento notevole della massa monetaria in circolazione ha sempre portato alti livelli di inflazione e disastri sociali, da Weimar all'odierno Venezuela. Che poi i cosiddetti monetaristi avessero voluto addirittura giungere a determinare il corretto tasso di crescita della moneta per evitare l'inflazione e perseguire una crescita economica stabile, facendo dipendere quest'ultima dalla sola quantità di moneta, è altro discorso ma comunque sia che un aumento sproporzionato della massa monetaria conduca ad un aumento dei prezzi è un dato di fatto.

Chi detiene i titoli del debito di 5 grandi economie

In conclusione, siamo cresciuti per credere al fantastico Paese dei Balocchi, occorre quantomeno studiare (e capire) le basi dell'economia reale anziché credere a facili ciarlatani vestiti virtualmente come il gatto e la volpe nella nota fiaba di Pinocchio!

Lucignolo e Pinocchio in viaggio verso il Paese dei Balocchi