sabato 30 dicembre 2017

Vademecum per cercare lavoro in Germania

Ogni anno migliaia di italiani si trasferiscono all'estero in cerca di un lavoro, per necessità in quanto in Italia non lo trovano oppure per semplice desiderio di fare una esperienza.
Di informazioni che offrono indicazioni su come orientarsi Paese per Paese se ne trovano molte ed in gran parte sono utili e corrette, lo scopo quindi qui non è di fornirne di inedite, semmai di dare qualche suggerimento per quanto riguarda nello specifico la Germania, nazione che sta attraversando una fase di piena occupazione e quindi di opportunità a tutti i livelli, soprattutto se si tiene conto che demograficamente il Paese sta attraversando una fase di invecchiamento della popolazione e necessita quindi di lavoratori stranieri per mantenere il livello richiesto di produzione.
La Germania infatti produce internamente ben 2.189 mld di euro dei 3.144 mld di PIL complessivo (2016) contro i 1.315 mld dell'Italia a fronte di un PIL (2016) di 1.680 mld, valori che rapportati sia alla popolazione che agli occupati complessivi fa emergere il notevole gap tra le due economie.

Vediamo quindi punto per punto gli aspetti da considerare.

La lingua
Sembra una battuta ma spesso ci si sente chiedere seriamente se in Germania sia davvero necessario conoscere il tedesco. E' vero che talvolta capita di ascoltare o leggere di esperienze di italiani (o altri stranieri) che si sono recati in Germania senza sapere una sola parola di tedesco, ma questi sono casi particolari e comunque nella maggior parte di essi la lingua tedesca si è dovuta imparare. Mario Draghi (il presidente della Banca Centrale Europea) per fare un esempio non ha bisogno di imparare il tedesco e usa tranquillamente l'inglese, sia nelle conferenze stampa, sia negli interventi pubblici nonché con i membri del suo staff oltre che con i governatori delle varie banche centrali dell'Unione Europea. La Volkswagen l'anno scorso ha ufficializzato l'inglese quale lingua da usare in ambito dirigenziale, ma tra i lavoratori presso le linee di montaggio vale naturalmente quella di dove lo stabilimento si trova, quindi a Wolsburg o altra località in Germania ovviamente il tedesco.
E' quindi consigliabile imparare almeno le basi del tedesco prima di trasferirsi in Germania frequentando un corso intensivo se necessario.
Quanto poi alla questione se il tedesco sia una lingua facile o difficile da imparare, è materia controversa, io la ritengo indubbiamente più complessa sotto il profilo grammaticale dell'inglese ma più affabile sotto quello della comprensione nell'ascolto, viceversa la considero più semplice dell'italiano per ragioni opposte anche se su questa considerazione c'è chi non è d'accordo.

Il curriculum
Il curriculum è lo strumento di presentazione fondamentale per candidarsi ad un posto di lavoro (Bewerbung) e qui lo dico chiaramente:

Lasciate perdere il curriculum in formato europeo (o altro)!

In Germania è preferita la versione da loro usata abitualmente che si chiama Lebensaluf!
I tedeschi infatti, si sa, amano definire ed ordinare ogni cosa e non gradiscono varianti o personalizzazioni, così nel leggere i vari curricula vogliono che essi siano compilati seguendo uno schema standard. In sostanza un Lebenslauf contiene le stesse informazioni che vengono riportate anche in altri modelli, europeo incluso, seguendo però una composizione in qualche modo predefinita. Se attraverso un motore di ricerca digitate "Lebenslauf" (letteralmente corso della vita) e "Beispiel(e)" (esempio) troverete esempi di come sono compilati e che confrontati tra loro risulteranno alquanto simili.
Questo modello di curriculum va rigorosamente compilato in lingua tedesca con qualche suggerimento:

  • La foto profilo (da inserire in alto e a destra) vi deve ritrarre sorridenti, non seriosi (non è per il passaporto!), senza però esagerare. L'abbigliamento è preferibile che sia formale, soprattutto se vi candidate a posizioni di rilievo. Una giacca comunque è sufficiente, la cravatta è opzionale.
  • A sinistra dall'alto in basso si inizia con i propri dati personali (Persönliche Daten), quindi Nome e Cognome (non viceversa!), indirizzo di residenza includendo quello di posta elettronica ed un recapito telefonico, data e luogo di nascita ed infine stato civile (Familienstand).
  • Generalmente si prosegue con la o le proprie esperienze lavorative (se ci sono), in tedesco Berufserfahrung, seguendo l'ordine cronologico dal più recente al primo, come si usa tra l'altro anche da noi.
  • A seguire il proprio percorso scolastico, sempre dal titolo più recente senza andare indietro oltre il titolo di scuola superiore: Hochschulbildung se avete conseguito un diploma di laurea o comunque titoli universitari (Bachelor), Schulbildung per il diploma di scuola superiore (Abitur). Potete omettere la votazione finale, importante però è riportare l'istituto frequentato ed il tipo di specializzazione ottenuta.
  • In mezzo ai primi due ed in aggiunta, eventuali specializzazioni o apprendistato (Berufsausbildung) e/o pratiche effettuate (Praktikum).
  • In conclusione indicare conoscenze particolari e competenze possedute (Besondere Kenntnisse und Fähigkeiten), ad esempio la conoscenza di strumenti informatici (EDV) quali MS Office, software specifici quali Photoshop, linguaggi di programmazione come HTML, sistemi gestionali come SAP.
  • Conoscenze linguistiche, non può mancare perché basilare l'indicazione della conoscenza di lingue straniere (Fremdsprachen) inclusa la madrelingua (Muttersprache) dato che non si è tedeschi (nel nostro caso l'italiano).
  • Infine eventuali Hobbys.

Candidatura
Una volta che si desidera presentare la propria candidatura inerente una proposta di lavoro occorre scrivere la domanda (Bewerbungsschreiben) allegando il suddetto Lebenslauf e altro se espressamente richiesto.
Ecco, anche qui vi sono dei suggerimenti, non determinanti ma consigliabili per essere accolti più favorevolemente. E' gradito dai responsabili della selezione, soprattutto se è l'azienda stessa, che il candidato mostri un sincero interesse per quella particolare mansione da loro ricercata e che non sia quindi la semplice e banale (si fa per dire) presentazione del proprio curriculum perché alla ricerca di un lavoro qualsiasi. Chi è preposto alla selezione vuole che chi si candida lo faccia perché desidera davvero quel posto e reputi di avere le caratteristiche ricercate.
Nel presentarsi, dopo l'introduzione formale (generico Sehr geehrte Damen und Herren, oppure specifico Sehr geehrter Herr.../ Sehr geehrte Frau...), è consigliabile iniziare citando loro, il loro annuncio, quindi esempio: In Ihrer Anzeige suchen Sie... (nel Vostro annuncio cercate...) und ich bin sehr daran interessiert, weil... (ed io sono molto interessato a questo, perché...) e scrivete le ragioni per cui ritenete di avere i requisiti ricercati piuttosto che partire scrivendo che avete letto l'annuncio e desiderate quindi candidarvi. Altro esempio può essere: "Ihre Stellenanzeige hat mein Interesse geweckt" (il Vosro annuncio ha destato il mio interesse). E' una piccola formalità, un dettaglio per carità, ma aiuta!
Si prosegue poi menzionando quello che state facendo (im Moment arbeite ich als...) aggiungendo qualcosa che contraddistingue la vostra personalità e che vi riconoscete (serietà, flessibilità, affidabilità...) e naturalmente - importante - le motivazioni e quindi il perché siete giunti alla loro posizione.
Con l'aiuto di internet potete trovare degli esempi ai quali ispirarvi sapendo che comunque il non seguirli non pregiudica nulla, solo che farlo può aiutarvi ad essere presi in considerazione!

Come/dove cercare lavoro
Come in Italia, anche in Germania è molto diffusa la ricerca diretta di collaboratori attraverso una apposita sezione dei siti internet aziendali. Questo canale ha pro e contro, il vantaggio è che la selezione è gestita direttamente quindi senza intermediari. Lo svantaggio è che non è utile presentare candidature spontanee e non riferite a ricerche in corso in quanto spesso le aziende cancellano i curriculum arrivati o dopo breve tempo. Lo stesso fanno quando la selezione è giunta al termine. Solitamente non conservano i curriculum arrivati o comunque una volta che non servono.
Preferibile quindi è presentare candidature spontanee oppure riferite a ricerche in corso a società intermediarie che si occupano di ricerca e selezione di personale, anche agenzie interinali che si occupano di lavori temporanei (Zeitarbeit) oppure alle Agenzie Federali per il Lavoro (Bundesagentur für Arbeit).

Retribuzioni
Naturalmente uno degli argomenti più richiesto e di interesse riguarda il livello di retribuzione. Si sente spesso affermare che sono molto più alti rispetto ai nostri, altri che sostengono che non è così o quantomeno non come una volta, e chi è in cerca non sa quale sia la risposta corretta.
La media generale è poco indicativa dato che coinvolge migliaia di attività e lavori differenti tra loro, sia per tipologia che per settore di competenza oltre che in funzione della dimensione delle aziende, piuttosto si deve considerare lo specifico settore di interesse. Per mansioni di basso profilo, quale potrebbe essere ad esempio cassiere/a presso supermercati o addetti nei fast-food, i compensi sono mediamente bassi e non molto diversi da quanto si percepisce qui in Italia, ma man mano che si sale di livello la differenza aumenta. Ad esempio per gli insegnanti di scuola superiore ed i docenti universitari tale differenza con quelli italiani può arrivare anche al 70%.

IMPORTANTE
Molti lo sanno già ma è opportuno ribadirlo: all'estero ed in Germania quando si concorda la retribuzione si parla sempre e solo di compenso lordo (Brutto), mai netto (salvo qualche possibile eccezione)!
Quindi se vi sentite proporre ad esempio 2.000-2.500 euro mensili fate a meno di fare i salti di gioia perché sono per l'appunto lordi.
Altro punto da considerare è che in Germania non c'è la tredicesima mensilità (ed eventuali ulteriori mensilità), i salari annuali sono 12 a cadenza mensile. In molti casi è prevista una gratifica natalizia (Weihnachtsgeld) che solo in pochi casi il suo ammontare corrisponde ad una mensilità retributiva.
Inoltre non c'è la liquidazione (o TFR). Per questo quando si fanno i confronti tra i salari italiani e tedeschi occorre sempre tenere presente queste differenze considerando semmai i compensi annuali lordi, così le differenze risulteranno più attendibili e non inficiate da una diversa distribuzione durante l'anno e dal fatto che nel caso italiano si guadagna una (circa) mensilità annualmente e che verrà corrisposta al termine del rapporto di lavoro.

CLASSE FISCALE DI APPARTENENZA
Altro fattore da considerare riguarda il fatto che il sistema di tassazione per le persone fisiche è diverso da quello italiano. I contribuenti sono suddivisi in classi (in tedesco Klasse) in funzione del tipo di composizione familiare e reddito. Esempio i single, vedovi o separati/divorziati senza figli sono inclusi nella Steuerklasse o semplicemente Klasse 1; i genitori singoli con figli nella Klasse 2; il coniuge con più alto reddito in Klasse 3 e quello con reddito minore in Klasse 5 mentre se hanno entrambi lo stesso livello allora sono in Klasse 4. Infine c'è la Klasse 6 per il secondo lavoro.
La Klasse che sopporta maggiormente il carico fiscale è la n.1 in quanto per le altre situazioni, specialmente se si hanno figli, sono previsti dei contributi.
Il sistema fiscale tedesco prevede poi una no tax area che nel 2017 è pari a 8.820 euro, nel 2018 dovrebbe essere aumentata a 9.000 euro a contribuente, quindi nel caso di una coppia con dichiarazione congiunta i livelli vengono raddoppiati in quanto in Germania non è prevista la voce 'coniuge a carico'
Il carico fiscale e contributivo può incidere da metà circa del compenso lordo a qualcosa (anche sensibilmente) meno, solitamente circa il 40%, ma sono comunque dati che è opportuno verificare con un commercialista in virtù del proprio status familiare. Il suggerimento è, ove possibile, di non scendere sotto i 2.500 euro lordi mensili.

lunedì 25 settembre 2017

Elezioni in Germania: si sta dando ad AfD troppa attenzione

Le elezioni per il Bundestag in Germania hanno fornito un esito chiaro: ha perso la maggioranza al governo e hanno vinto tutti gli altri, chi più, chi meno. La - quasi - sorpresa è stata Alternative für Deutschland (AfD) che ha conseguito il 12,6% dei voti espressi, cioè il 9,6% degli aventi diritto avendo votato il 76,2% di loro. Quasi uno su dieci insomma, oppure uno su otto se vogliamo considerare solo coloro che hanno espresso la loro facoltà, ma occorre tenere presente che è un voto soprattutto di protesta. AfD infatti è nata come gruppo politico in contrasto alla politica europea ed alla stessa Unione Europea tant'è che AfD vorrebbe l'uscita della Germania. Però fin quando era quello il tema conduttore, AfD non è andata oltre il 4,7% alle elezioni per il Bundestag del 2013 ed il 7,1% alle europee dell'anno successivo dove questo tema era quindi diventato centrale. La strada comunque sembrava spianata per una crescita, invece alle elezioni interne a Kassel nel luglio del 2015 il fondatore Bernd Lucke venne battuto da Frauke Petry, di idee più oltranziste, ed a seguito di questo diede le dimissioni uscendo dal partito. Frau Petry ha incluso nei temi prioritari del partito una posizione anti-islamica e xenofoba. Questo evento causò un calo nei sondaggi i quali davano AfD al 4% dal 6% di poche settimane prima.

Nel 2015 il governo di Angela Merkel aprì le porte ai rifugiati siriani ma AfD fu caratterizzata intanto da ulteriori lotte interne e non seppe approfittarne, infatti il partito rischiò una scissione ed i sondaggi lo davano addirittura al 3% nell'estate di quell'anno. Solo nell'autunno la situazione all'interno del partito si sistemò e le preoccupazioni di molti tedeschi derivanti dal massiccio arrivo di profughi (quasi un milione) fu raccolto dal partito di Frau Petry. Le preferenze raggiunsero già ad inizio 2016 le due cifre percentuali e addirittura in alcuni periodi dell'anno a toccare il 14%. Il resto è storia recente.

Insomma, non è stato tanto il tema europeo ed economico in generale a permettere ad AfD questi consensi, bensì quello dell'immigrazione. Nei Länder orientali, ex DDR, AfD ha ottenuto ieri un successo notevole arrivando a raccogliere un terzo ed oltre delle preferenze espresse come il 35,5% nella circoscrizione Sächsische-Schweiz nel Land della Sassonia (vedi cartina sotto), al confine con la Repubblica Ceca, nonostante la disoccupazione sia in calo ed i redditi continuino a crescere.

Circoscrizioni elettorali 2017
L'esito comunque, come scritto inizialmente, è stato del tutto evidente: l'elettorato tedesco ha espresso in sostanza disappunto per il governo sostenuto dalla Große Koalition e si è diviso, chi appunto dando il voto a AfD, chi invece con i liberali del Freie Demokratische Partei di Christian Lindner, un giovane trentottenne emergente nel panorama politico tedesco, che ha ottenuto il 10,7% delle preferenze. Chi poi ha preferito la Linke, la sinistra, ed i Verdi che comunque hanno visto aumentare le preferenze di circa mezzo punto percentuale ciascuno.
La CDU della cancelliera Merkel e soprattutto la SPD di Martin Schulz non hanno saputo cogliere da una parte i malumori dei cittadini e dall'altra hanno sbagliato strategia nel contrastare AfD, limitandosi a definirli xenofobi, estremisti ed antidemocratici. Non li hanno contrastati a sufficienza nei contenuti, non hanno smontato molte loro false tesi da questi sostenute come i presunti sostegni finanziari della Germania ai Paesi mediterranei.

La cancelliera ha indubbiamente commesso un errore nell'aprire, anzi nello spalancare, le porte ai profughi, decisione che in seguito ha dovuto ammettere essere stata avventata sebbene non abbia rinnegato del tutto la scelta, ma non ha saputo calmierare le preoccupazioni alimentate da alcune vicende legate al terrorismo islamico come ad esempio l'attentato di Berlino.

La SPD ed il suo candidato Martin Schulz sembravano più una corrente di pensiero diverso ma dello stesso partito invece che essere quello in fin dei conti antagonista all'Unione (CDU e bavaresi della CSU). E' bastato il confronto in televisione tra i due a suon di sorrisi per infondere nell'elettorato che votare Unione o SPD sarebbe stato lo stesso e che avrebbe significato un proseguimento della linea politica fin qui tenuta, inotre non va tralasciato che non sono pochi coloro tra i sostenitori di entrambi i partiti che non sono soddisfatti di Angela Merkel e che mantengono il voto per evitare derive pericolose al Paese.

Le prospettive
Ora la cancelliera dovrà valutare se è conveniente una riedizione della Große Koalition con la SPD oppure affidarsi ad una allenaza giamaica (secondo i colori che vengono assegnati ai partiti) con FDP e i verdi. A prima vista converrebbe, e sarebbe più lineare, il proseguimento di quella attuale ma il rischio sarebbe di assegnare a AfD il pericoloso ruolo di maggiore partito d'opposizione e dare quindi loro troppa attenzione con il rischio che possano crescere ancora quanto a preferenze.
Entra quindi in gioco la seconda possibilità, sebbene sarà difficile far andare d'accordo liberali e verdi. Si prospetterebbe una coalizione ben più 'spumeggiante' rispetto a quella attuale. La SPD diventerebbe, o meglio tornerebbe ad essere, la formazione politica leader tra quelle di opposizione ridimensionando quindi l'attenzione su AfD. In fondo sarebbe una soluzione che potrebbe giovare al partito di Martin Schulz, al governo non ha fatto altro che perdere consensi, tranne nelle elezioni locali, e riprendere il ruolo di oppositore della CDU/CSU darebbe loro la possibilità di riprenderli.

Le conseguenze per l'Unione Europea
Se Angela Merkel dovesse scegliere di proseguire con la SPD cambierebbe poco, ma se opterà per l'alleanza con i verdi e soprattutto con i liberali allora vi sarà un atteggiamento di minore disponibilità verso richieste di cambiamenti in chiave di flessibilità di bilancio in ambito europeo. FDP sostiene una linea dura verso i Paesi che entrano in crisi e sono poco propensi ad un aiuto in caso di crisi. Ma questo non comporterà a mio avviso stravolgimenti dell'attuale politica e/o dei trattati, ad esempio significherà una minore propensione (se questa c'era) a modificare il Fiscal Compact, il quale verrà quindi con ogni probabilità ratificato, poi probabilmente una serie di vincoli a proposte come quella ad esempio di un superministero dell'Economia europeo.
Staremo a vedere.

sabato 23 settembre 2017

FACT CHECKING: povertà e precariato in Germania

Ieri mattina (venerdì 22 Settembre) durante la trasmissione Omnibus, condotta dalla giornalista Alessandra Sardoni ed andata in onda sulla rete La7, sono stati citati alcuni dati relativi alla situazione della povertà in Germania oltre a quello sulla precarietà del lavoro. Nello specifico i dati sono stati esposti da un esponente della Lega: Vincenzo Sofo, dati che hanno sollevato perplessità da parte della presente in studio prof.ssa Veronica De Romanis, economista che insegna (se le informazioni sono aggiornate) Politica Economica Europea alla Stanford University a Firenze, all’Università Europea di Roma e alla Libera Università degli Studi Sociali Guido Carli (LUISS) di Roma, competente per quanto riguarda le tematiche che riguardano la Germania avendo scritto due libri indicativi: "Il Metodo Merkel - Il pragmatismo alla guida d'Europa" e "Il Caso Germania - Così la Merkel salva l'Europa" oltre alla sua ultima opera blasfema: "L'austerità fa Crescere - Quando il rigore è la soluzione".
Vincenzo Sofo (al minuto 29) ha contestato parzialmente la rappresentazione della Germania in cui tutto va bene in quanto, riportando dati letti su testate varie, ha affermato che in Germania vi sono 12 milioni di poveri, subito dopo nel ripetersi precisando che si riferiva ai cittadini a rischio povertà (definizioni non sicuramente omogenee), aggiungendo poi che l'occupazione in Germania è sì aumentata ma a favore dei rapporti precari, soprattutto dopo le fatidiche riforme Hartz.
Vediamo allora come stanno le cose prendendo i dati ufficiali ed ai quali aggiungerò qualche breve considerazione.

Popolazione a rischio povertà e poveri
Il dato citato da Vincenzo Sofo, quello però in seconda battuta secondo il quale in Germania vi sono 12 milioni di cittadini a rischio povertà, non è di per sè errato ma occorre vedere a quale definizione fa riferimento perché di classificazioni ve ne sono diverse, addirittura ve ne è una differente secondo la quale i cittadini poveri e a rischio povertà sarebbero addirittura 16 milioni. Ma veniamo al dato a cui verosimilmente l'esponente della Lega si riferiva.
Questo è il risultato in base alla definizione secondo una convenzione statistica UE che considera un cittadino a rischio povertà se ha un reddito netto, dopo eventuali trasferimenti fiscali, inferiore al 60% del reddito mediano. E l'ente statistico federale Statistiches Bundesamt infatti rileva:


In base a questa classificazione, la popolazione a rischio povertà è pari al 15,7% del totale nel 2016 e quindi a circa 12 milioni e mezzo di cittadini.
Da notare come vi siano due dati contrastanti: da una parte i Länder della ex DDR (neue Bundesländer) compresa Berlino che vede il dato in diminuzione e dall'altra i Länder occidentali (früheres Bundesgebiet) che invece hanno un andamento crescente.

Secondo una diversa definizione dell'ente di statistica tedesco, che considera a rischio povertà la persona che rientra in uno dei seguenti criteri, la percentuale sale al 20% (pari a 16 milioni di cittadini):
  • Il reddito netto percepito è inferiore alla prevista soglia (60% del reddito mediano)
  • La sua famiglia è soggetta ad una sostanziale privazione materiale
  • Vive in una famiglia con notevole bassa partecipazione al lavoro (riferito a familiari di età compresa tra 18 e 59 anni)

Quindi l'affermazione di Vincenzo Sofo è corretta, ma non credo di sbagliare se la perplessità espressa dalla prof.ssa De Romanis era riferita più alla prima versione, quella che in forma inesatta dava per 12 milioni i poveri veri e propri.

Una considerazione: questa definizione formale europea è da prendere con le dovute cautele, perché può risultare attendibile per alcune nazioni mentre in altre meno. Vediamo infatti a quanto ammonta attualmente il reddito mediano equivalente in Germania:


Da notare l'andamento dell'indice di Gini, che per quanto non sia altamente affidabile è comunque rimasto pressoché costante attorno al valore di 0,30 (qui indicato per cento a 30,1), migliore rispetto ad altri incluso quello italiano, nello specifico qui sotto dati OCSE per gli anni 2015 o per altri 2014:


Complessivamente (per uomini e donne) il reddito mediano è stato quindi nel 2015 pari a 20.668 euro annui, ovvero a circa 1.722 euro mensili. Secondo la definizione formale è pertanto a rischio povertà chi ha un reddito inferiore al 60% di questo, quindi 12.401 euro (26.041 euro per una famiglia con 2 adulti e due figli di età inferiore a 14 anni):


Lascio giudicare quanto a rischio povertà può essere un cittadino in Germania che ha un reddito netto di 12.401 euro annui (1.033 euro mensili) o di 26.041 euro (2.170 euro mensili) di una famiglia composta da due adulti e due figli sotto i 14 anni, benché di certo non si può dire che in entrambe le situazioni godano di una buona capacità di spesa. Infatti, se si prende in considerazione una definizione più realistica a mio modo di vedere, ovvero un paniere di beni essenziali e li si valorizza, si ha che oggi si deve considerare in condizioni di povertà colui che ha un reddito inferiore a poco meno di 800 euro mensili, soglia questa quindi che separa i cittadini a rischio povertà da quelli effettivamente in condizioni di povertà e questi ultimi ammontano oggi a circa 8 milioni.

E' da osservare che sono crescita sia i salari in termini reali (Reallohnindex):


che il giudizio dei cittadini riguardo la propria posizione finanziaria:


dove coloro che la condiderano molto buona (sehr gut) sono passati dal 8,8% nel 2008 al 11,3% nel 2015. Quelli che la considerano buona (gut) sono passati dal 24,2% al 30,3%. In controtendenza chi la considera relativamente buona (relativ gut) mentre in calo chi ha risposto relativamente male (relativ schlecht) come del resto i meno entusiasti: male e molto male (schlecht e sehr schlecht).
La parte successiva riguarda la domanda su quanto ammonta il costo per l'abitazione: da nessuna incidenza (keine Belastung) a rispettivamente una incidenza media/abbastanza (gewisse Belastung) e pesante (große Belastung).

Chiudo questa parte riportando un dato relativo al 2014 che riguarda la distribuzione del reddito e che può interessare chi si occupa di queste tematiche:


Precarietà del lavoro
L'altra questione che è stata sollevata concerne la tipologia di rapporti di lavoro che si sono avuti recentemente, in particolare è stata posta una obiezione in merito ad un presunto aumento di quelli cosiddetti precari. Vediamo cosa dicono i dati ufficili, come fonte sempre lo Statistiches Bundesamt, l'Ufficio Federale di Statistica:


Come si può vedere, vi è stato un incremento degli occupati a tempo indeterminato negli ultimi 11 anni, ovvero dal 2005, anno in cui si sono concluse le riforme del mercato del lavoro Hartz. In questo periodo l'occupazione stabile è aumentata da 22,138 milioni nel 2005 a 25,641 milioni nel 2016, pari a 3,5 milioni di posti in più, quasi il 16%. Da notare che due terzi di questo aumento ha riguardato le donne:


Questo l'andamentoi per gli uomini:


I contratti di lavoro propriamente atipici sono sì aumentati, ma non certo in maniera esponenziale come ha affermato in trasmissione Vincenzo Sofo, tra l'altro è fenomeno del tutto naturale in una economia in crescita. Sono aumentati sensibilmente i part-time sopra le 20 ore settimanali ma ha riguardato in particolare le donne, alle quali probabilmente può anche andare bene per conciliare gli impegni familiari con quelli di lavoro.

Concludo con una considerazione di carattere politico visto che domani vi saranno le elezioni per il Bundestag. Non mi risulta che abbiano ricevuto particolari consensi i partiti che hanno focalizzato nel loro programma tematiche riguardanti il lavoro, piuttosto vedo un gradimento rivolto più a chi, come AfD, ha puntato su temi più sentiti quali l'immigrazione e la sicurezza. Il candidato Martin Schulz per la SPD, dopo una partenza scoppiettante ha poi visto ridurre il margine che lo separava dalla quasi certa vincitrice Angela Merkel e questo nonostante abbia incluso tra le proposte la "Arbeitslosengeld Q", in sostanza una correzione alla riforma del reddito di disoccupazione introdotta dall'ex cancelliere Gerhard Schröder con la sua Agenda 2010. Insomma, in Germania precarietà del lavoro e povertà sono temi meno sentiti di quanto pensiamo qui in Italia.

mercoledì 20 settembre 2017

Bagnai, gli ingegneri e...la Volkswagen!

Mi sono divertito a leggere alcuni articoli che il prof.Alberto Bagnai ha dedicato nel suo blog ad un certo Michele Corvo, ingegnere, reo di aver esposto in un primo commento alcune osservazioni in merito ad un articolo dello stesso Bagnai riguardante i dati sulla disoccupazione. Nello specifico, in questo articolo vengono evidenziate le categorie dei lavoratori part-time, gli inattivi e tra di essi gli scoraggiati, dati che poi Bagnai ha raccolto e messo a confronto tra Paesi diversi. In questo affronto commento l'ing.Corvo (se davvero si chiama così) sottopone alcune considerazioni da un punto di vista prettamente razionale, da ingegnere insomma.
Questa la sequenza della simpatica querelle:

  1. L'articolo da cui tutto scaturì (nei commenti, quello di Michele Corvo)
  2. La replica di Bagnai all'onta subita (con uno dei suoi QED* autoprodotti)
  3. A sostegno di Bagnai arriva Schulz (non Martin, candidato per la SPD alla cancelleria della Repubblica Federale di Germania, ma Charles, con il suo più famoso personaggio: Charlie Brown)
  4. Bagnai replica ad un nuovo villipendio commento di Michele Corvo
  5. Bagnai racconta la sua versione sulla concorrenza Fiat-Volkswagen (ai tempi dell'Italia da bere - non della sola Milano)
*QED = Quod Erat Demonstrandum

A me ora interessa soltanto muovere qualche affronto considerazione circa l'ultima analisi, quella sulla tesi di Bagnai secondo la quale le vendite a livello internazionale delle autovetture Fiat e Volkswagen durante i 'favolosi anni della lira' erano condizionate prevalentemente dall'andamento del tasso di cambio Deutsche Mark - Lira.
Personalmente non nego di certo che il cambio possa aver influito sull'andamento delle vendite, ma mi limito a far notare all'esimio economista dell'Università di Pescara che ridurre il tutto ad un grafico che pone questo aspetto come determinante lo ritengo un po' eccessivo. Questo sulla base di un - oramai vago - ricordo dei tempi degli studi universitari (di economia, non di ingegneria) in cui ci fu assegnato da un docente un case study proprio sulla Volkswagen, prima come esercizio di ricerca e raccolta dati e informazioni da svolgersi singolarmente e poi proseguito in aula. L'obiettivo era ricostruire le vicende che attraversò la casa di Wolfsburg analizzando le cause della crisi dei primi anni '70 ed il come essa sia riuscita ad uscirne attraverso un profondo cambiamento sul finire di quel decennio.

Non ho comunque intenzione di riassumere gli eventi, voglio infatti parlare della Volkswagen (e non solo) attuale e di come l'andamento delle valute incida meno oggi rispetto al passato a causa di quel fenomeno che abbiamo sentito menzionare spesso ma che non sempre viene compreso bene: la globalizzazione.

Il gruppo Volkswagen
Sappiamo che Volkswagen non è solo il nome di una casa automobilistica, la capostipite con sede a Wolfsburg nella Bassa Sassonia, ma rappresenta un gruppo di aziende:


Nel 2016 il gruppo ha realizzato un fatturato complessivo di 217.267 milioni di euro (+1,9% sul 2015) con un profitto netto pari a 5.379 milioni di euro, questo a fronte di un volume totale di vendite di oltre 10 milioni di veicoli, per la precisione 10.391.113 (10.405.092 quelle prodotte), segnando un +3,8% rispetto all'anno precedente.
Tanto per avere un termine di paragone il gruppo Volkswagen fattura più del PIL della Grecia o del Portogallo ed è simile a quello della Finlandia.

A titolo di curiosità, questi i dati di vendita 2016 dei marchi principali:


E questa la ripartizione geografica delle vendite conseguite:


Ma il dato che desidero sottolineare è questo, il numero di stabilimenti dell'intero gruppo per area geografica:



120 stabilimenti produttivi, di cui 68 per le autovetture:


Queste due cartine ci suggeriscono quanto sia cambiata la geografia del gruppo dal punto di vista della produzione, produzione che solo alcuni decenni or sono era concentrata in Europa. Oggi il gruppo ha stabilimenti in 20 Paesi in Europa ed in 11 tra Asia, America e Africa occupando complessivamente 626.715 dipendenti.

Ma per riagganciarmi agli articoli del prof.Bagnai ed alle argomentazioni espresse occorre considerare ancora un aspetto, anzi due.

Economia di scala e di scopo (o di gamma)
Il primo concetto è abbastanza conosciuto: ad un aumento del volume di produzione - generalmente - i costi unitari si riducono per effetto di una maggiore distribuzione di quelli fissi, ma anche in parte di quelli variabili. Se ciò non avviene ne deriva una economia di scala decrescente e questo è dovuto a fattori terzi che comportano una inefficienza.
Va comunque precisato che non bisogna confondere con l'economia di scala una riduzione dei costi unitari dovuta al semplice maggiore utilizzo della capacità produttiva verso il livello ottimale oppure di una maggiore produttività dovuta ad un migliore utilizzo degli impianti riducendo sprechi di vario genere. Questa, l'economia di scala, la si otttiene aumentando sì, il volume di produzione, ma a parità di livello di efficienza.
Ad esempio, se ho 10 macchinari e ne uso 7, non è che se aumenta la produzione e ne utilizzo 9 i costi unitari diminuiscono per effetto di una economia di scala, questa semmai la si ottiene se da 10 macchinari ne aggiungo uno (o più) e li utilizzo tutti.
Parlando in questo caso di Volkswagen, questa ha potuto ridurre i costi unitari di produzione grazie (anche) all'aumento dei volumi di vendita e quindi di produzione che si sono raggiunti nel tempo.

L'economia di scopo, il cui termine - infelice - è la traduzione letterale del concetto espresso in lingua inglese economies of scope (o anche scope economies), rappresenta quella particolare riduzione dei costi derivante dalla produzione congiunta di beni diversi anziché separatamente, utilizzando i medesimi fattori produttivi (personale, impianti).
Questa forma di 'economia' è diventata sempre più importante, soprattutto in campo automobilistico per la quantità di risorse finanziarie impiegate. Basti pensare che le aziende tedesche (Opel esclusa), o sarebbe meglio dire i gruppi automobilistici tedeschi, nel loro insieme fatturano complessivamente poco più del nostro export totale: nel 2016 circa 450 mld di euro.
Chi è appassionato di motori, o se è un ingegnere (categoria a quanto pare non tanto gradita al prof.Bagnai), avrà sentito parlare delle piattaforme in campo automobilistico, che semplificando sono la definizione tecnica di quello che noi chiamiamo comunemente linee di assemblaggio. Le piattaforme quindi sono quell'insieme di attrezzature che vengono usate per assemblare le varie parti di un veicolo.
Se inizialmente associamo ad ogni modello di autoveicolo una specifica piattaforma di assemblaggio, è intuibile quanto utile possa essere avere una singola piattaforma con la quale si possano assemblare modelli diversi. Negli anni tutte le case automobilistiche hanno investito ingenti somme di denaro per piattaforme sempre più universali. Chi ha seguito anni or sono l'interesse della FCA di Marchionne per la Opel, avrà probabilmente letto che una delle ragioni era proprio quella che la casa di Rüsselsheim am Main aveva delle piattaforme compatibili con molti modelli Fiat e questo poteva permettere all'azienda ex torinese di poter usare gli stabilimenti per i propri modelli, oltre che per quelli Opel, senza la necessità di dover costruire nuove linee o stabilimenti. Personalmente ritengo infatti che questa fosse la ragione principale, cioè una questione diciamo tecnica più che economica dato che Opel non ha mai brillato per profittabilità.

Ebbene, di recente il gruppo Volkswagen ha investito alcune decine di miliardi (ho letto addirittura una sessantina) per una piattaforma all'avanguardia ed estremamente versatile in grado di produrre una gamma diversificata di autovetture Volkswagen, Audi, Škoda e Seat: la MQB-Plattoform, dove MQB sta per Modularer Querbaukasten:

MQB-Plattform

MQB-Plattform

Questi i risultati stimati ottenibili dall'utilizzo della piattaforma MQB della Volkswagen:


Una nota, tratta dal bilancio 2016 del gruppo, riporta che alla fine del 2016 sono state prodotte attraverso questa piattaforma ben 8 milioni di autovetture!

Un esempio dello sfruttamento di questa versatilità conseguita dall'uso di innovative piattaforme è lo stabilimento di Bratislava della Volkswagen Slovakia dove lavorano ben 11.542 dipendenti che assemblano le Volkswagen Touareg, Up! ed E-up!, l'Audi Q7, la Porsche Cayenne, la Škoda Citigo e la Seat Mii. Nel 2016 sono state prodotte circa 388.000 vetture, per la maggior parte vendute al di fuori della Slovacchia, con un fatturato di 7,6 miliardi di euro.

Un altro stabilimento di dimensioni del tutto simili e che occupa 11.631 dipendenti è a Győr (Ungheria), dove viene prodotta la serie Audi A3.

Ora, si capisce perché quando sorrido quando sento parlare taluni personaggi di quanto potrebbe perdere il gruppo Volkswagen (come le altre case automobilistiche tedesche) e viceversa guadagnarne FCA se uscissimo dall'euro e si tornasse tutti alle singole valute? E poi, FCA nel suo complesso o la sola produzione in territorio nazionale (oramai in minoranza) di un gruppo oramai formalmente straniero?
Sorrido anche quando sento affermare di una presunta competitività conquistata dal gruppo Volkswagen grazie ad una fantomatica deflazione salariale avvenuta in Germania e che avrebbe comportato un dumping competitivo, soprattuto quando poi leggo dal bilancio del gruppo 2016 che le spese per i salari del personale sono ammontate a quasi 30 miliardi di euro, ai quali si aggiungono 7 miliardi di oneri sociali e contributivi:


a fronte di quasi 620.000 dipendenti:


Il che comporta un salario medio lordo annuale di 48.000 euro e considerando che molti dipendenti sono distribuiti in vari Paesi dal basso costo della vita e quindi del salario rispetto a quello tedesco, è difficile pensare che in Germania quello sia il compenso medio.
Rimango poi perplesso quando sento menzionare a vanvera la moderazione salariale in Germania, avvenuta a partire dagli inizi di questo decennio non per pagare poco il lavoro ma per frenarne la crescita considerando che ad oggi il costo orario del lavoro nel settore manifatturiero in Germania si aggira sui 38 euro, valore da sempre più alto tra i principali Paesi esportatori, che si riduce a 33 euro includendo i servizi. Per l'Italia, tanto per fare un confronto, sono entrambi attorno ai 27 euro:

Costo unitario del lavoro (fonte Statistisches Bundesamt su dati Eurostat)

Insomma, quando leggo che si invoca l'uscita dall'euro per recuperare competitività grazie al deprezzamento della lira rispetto all'euro, o all'eventuale neo marco tedesco, rimango basito e sorrido al pensiero che facilmente il giorno dopo (il deprezzamento) è invece probabile che il prezzo di una auto tedesca addirittura scenda!

Come può essere possibile?

Diciamo che chi ha riflettuto leggendo quanto sopra riportato facile che lo abbia già intuito. Se l'auto è stata assemblata ad esempio in Ungheria, con componenti anch'essi prodotti per la maggior parte non in Germania, Ungheria che al momento ha il fiorino e non l'euro e se la lira dovesse sì, deprezzarsi nei confronti dell'euro (o del neo marco tedesco), ma apprezzarsi rispetto alla valuta ungherese, beh...la Audi A3 prodotta a Győr costerebbe paradossalmente meno!


Ma la realtà è che qualsiasi azienda che abbia stabilimenti in vari Paesi non ha un listino per ciascuno di essi, semmai ha in qualche modo prezzi che tengono conto del potere di acquisto nei Paesi dove è presente come vendite, ma la differenza non corrisponde a quella sui costi di produzione. Questo significa che in caso di uscita dall'euro dell'Italia, la Volkswagen potrà anche mantenere i listini inalterati. Ad esempio un'auto che oggi costa 20 mila euro, in caso di ritorno alla lira verrebbe inizialmente 20 mila lire dato che la conversione euro-lira avverrebbe alla pari, e a fronte di un deprezzamento ad esempio della neo lira del 20% rispetto all'euro la casa di Wolfsburg può decidere di mantenere quel prezzo e non portarlo a 24 mila lire come l'effetto cambio suggerirebbe.

Un esempio lo si può fare con la Nuova Polo 1.0 MPI Comfortline BMT 55kW/75CV benzina, che in Italia di listino è pari a € 12.670,67 (IVA esclusa) mentre in Slovacchia costa (o parte da) € 10.990,00.
Come si nota la differenza ammonta a circa il 15%, nulla esclude che questo possa essere anche lo 'sconto' che la casa tedesca decida di applicare per mantenere la stessa competitività in Italia in caso di ritorno alla  lira.
La morale è che io non mi affiderei più a queste soluzioni legate ai cambi della valuta, in passato avevano una loro indiscutibile influenza, ma oggi l'hanno meno ed ancora meno in futuro a fronte di una sempre più diffusa globalizzazione.
E il prof.Bagnai dovrebbe ascoltare anche le argomentazioni tecniche, oltre che prettamente economiche, potrebbe così apprendere che in molti casi, come quello della Volkswagen, la riduzione del costo unitario di prodotto si ottiene più attraverso incrementi di produttività via economie di scala e di scopo, oppure delocalizzando la produzione dove il costo del lavoro (e non solo quello) è decisamente inferiore, rispetto nel comprimere i salari in casa, il cui scopo semmai è di indurre meno delocalizzazioni piuttosto che realizzare fantomatici dumping.

sabato 16 settembre 2017

2011, la grande 'cospirazione' mai avvenuta!

Rieccoci!
Ieri, durante la trasmissione televisiva "Otto e Mezzo" condotta dalla giornalista Lilli Gruber sul canale La7, l'ex ministro dell'Economia e Finanze Giulio Tremonti ha citato per l'ennesima volta il presunto complotto (?) che sarebbe stato attuato nel 2011 a colpi di spread per rovesciare un governo, quello Berlusconi quater, 'democraticamente eletto' (??).
Sorvoliamo per l'occasione di chiedere quando un governo in Italia sia mai stato eletto dato che la nostra Costituzione prevede che sia il Presidente della Repubblica a nominare il Presidente del Consiglio ed i suoi ministri su indicazione di quest'ultimo e che a seguire il governo incaricato ottenga la fiducia presso il Parlamento, senza mai passare quindi dagli elettori.
Veniamo al racconto su questo fantomatico complotto citato spesso anche da altri esponenti politici, di recente ad esempio anche da parte di Renato Brunetta e per la categoria "te lo raccomando" Gianni Alemanno.

La ragione finanziaria
Sostanzialmente questo presunto golpe franco-tedesco viene raccontato partendo dalla vendita da parte di Deutsche Bank di titoli di Stato italiani durante il primo semestre del 2011. Questo fatto è vero, peccato che risulta alquanto difficile intravedere ombra od odore di complotto in una operazione che è stata distribuita su alcuni mesi e che ha riguardato non solo titoli di Stato italiani ma anche di altri Paesi il cui rating attribuito dalle agenzie specializzate era basso. La Deutsche Bank, che nel Novembre 2010 aveva ottenuto la maggioranza della Deutsche Postbank la quale aveva in corpo una notevole quantità di titoli di Stato dei Paesi a basso rating tra cui l'Italia, decise di ridurre la propria esposizione senza però creare turbativa nel mercato, infatti per quanto riguarda le quotazioni non si sono riscontrate oscillazioni particolari come si può vedere dai rendimenti lordi all'emissione dei vari titoli di Stato (fonte Dipartimento del Tesoro del Ministero dell'Economia e delle Finanze):


Questo l'andamento dei BTP decennali sul cosiddetto mercato secondario:


Ad essere pignoli c'è stato in realtà un certo surriscaldamento che ha interessato prevalentemente i titoli a breve termine, ovvero i BOT, i CTZ e parzialmente i BTP quinquennali, ma la ragione non riguardava l'Italia in sé e presunti complotti, bensì una crisi che vedeva coinvolta l'intera Unione Europea, in particolare l'eurozona, che causò nervosismo da parte degli investitori (coloro che investono risparmi con orizzonte a medio-lungo termine) con intervento della speculazione (coloro che investono a breve termine lucrando sulla differenza di prezzo) i quali trasferirono gli investimenti dai titoli delle nazioni a basso rating a quelli a più alto grado di fiducia.

Infatti, questo fu l'andamento ad esempio dei titoli governativi decennali della Spagna:


Portogallo:


Grecia (!):


e Francia (Ma Tremonti non parlava di un complotto franco-tedesco? I francesi si sarebbero quindi autocomplottati?):



Dove si sono rivolti quindi gli investitori (e speculatori)? Ad esempio in Germania:


Ma anche in Gran Bretagna (complotto anglo-tedesco allora?):


E se fosse stata invece una manovra eversiva made in USA (o addirittura anglo-tedesco-americana)?


Qui la fantasia trova ampio spazio di manovra!

Lo spread, comunque, rappresenta la differenza tra due valori, in questo contesto tra una obbligazione sovrana di durata specifica (decennale) ed una equivalente presa a riferimento (benchmark), in questo caso quella della Germania: il Bund.
Questo 'trasferimento' è facilmente spiegabile: a fronte di una dissoluzione della moneta unica gli investitori, come anche la speculazione, dirottano i fondi verso quei Paesi la cui moneta rispetto a quella unica subirà una rivalutazione, abbandonendo invece gli altri. Quindi, se prendiamo l'euro e diamo ad esso valore 1, un neo marco tedesco vedrebbe un apprezzamento (1,1, 1,2, 1,3 etc...) rispetto all'euro e dal passaggio si otterrebbe un guadagno. Al contrario, una neo lira (o peseta, dracma etc...) che vedrebbe scendere la quotazione (0,90, 0,80, 0,70...) rispetto all'euro comporterebbe come conseguenza una perdita. Quindi, in pratica, se c'è la prospettiva di una dissoluzione dell'euro vendo BTP (o bonos spagnoli o altri) ed acquisto Bund (ma anche Treausury USA) in quanto dopo il ritorno alle rispettive valute nazionali otterrò un guadagno lucrando sul cambio.
Insomma, questo fu all'origine della perturbazione finanziaria sui titoli nel 2011 e questo avverrà anche in futuro se si prospettasse uno scenario simile. Nessun complotto massonico o dei poteri forti.

La ragione politica
Il governo Berlusconi diede le dimissioni, non a causa dello spread, ma semplicemente perché non aveva più la maggioranza. Le cause risalgono al 2010, quando a seguito di contrasti interni al PdL venne deciso di cacciare Gianfranco Fini ed alcuni suoi diretti collaboratori. Questo fatto causò la perdita di 10 senatori e ben 33 deputati, poi diventati 38. Mentre al Senato la maggioranza rimase relativamente al sicuro, alla Camera invece questa fu appena superiore al minimo richiesto (316 deputati) e la prova avvenne nell'autunno dello stesso anno, quando fu presentata una mozione di sfiducia che vide il governo Berlusconi 'sopravvivere' per 3 soli voti: 314 a 311. Quel governo proseguì quindi l'attività ma vi furono diversi incidenti durante il 2011, con la maggioranza che venne spesso battuta in Parlamento dalle opposizioni.
Il giorno 8 Novembre 2011 la Camera approvò il Rendiconto Generale del Bilancio con 308 voti favorevoli e Berlusconi si rese quindi conto di non avere più la maggioranza (316), così si recò dal Presidente Napolitano ed annunciò le dimissioni non appena fosse stata approvata la Legge di Stabilità e così fu. La decisione fu presa onde evitare l'esito di nuova mozione di sfiducia che fu presentata dalle opposizioni alla quale Berlusconi sapeva che sarebbe stato molto difficile uscirne vincitore.

Se quindi complotto c'è stato, occorre verificarlo chiedendo a chi nei mesi precedenti ha abbandonato la coalizione di governo e per quali ragioni lo ha fatto. In ogni caso la motivazione è solo e solamente politica, la finanza internazionale non c'entra nulla!

Le conseguenze
Vengono poi chiamate in causa le mancate elezioni, ma anche questa tesi è del tutto priva di fondamento, non fosse altro perché la Costituzione prevede che il Presidente della Repubblica possa sciogliere le Camere non prima di aver sentito l'opinione dei presidenti dei due rami del Parlamento e verificato la possibilità di formare un nuovo governo. Per questa ragione, a fronte delle dimissioni di un governo come è stato per quello Berlusconi IV, il Presidente della Repubblica riceve i presidenti di Camera e Senato ed a seguire le delegazioni dei partiti politici presenti in Parlamento.
In quella occasione non risulta da nessuna parte che il PdL o il PD avessero mai espresso parere favorevole per andare alle urne:




Non solo vi fu da parte dei due maggiori partiti un chiaro appoggio per un governo tecnico affidato al neo Senatore Mario Monti, ma esclusero una partecipazione diretta all'interno di esso con esponenti politici che lo stesso Monti chiese ai partiti che lo avrebbero appoggiato.
Il seguito poi lo dovremmo ricordare, tutti i provvedimenti presentati dal governo Monti furono approvati a larga maggioranza, compreso il tanto discusso Fiscal Compact con annesso pareggio di bilancio inserito in Costituzione senza passare dal voto popolare, dato che fu approvato con una maggioranza tale che, secondo la Costituzione, non richiese una consultazione tra i cittadini:

Il voto alla Camera dei Deputati

Il voto al Senato
Da tenere sempre presente che le leggi le approva il Parlamento e che in Parlamento il governo Monti non aveva alcuna rappresentanza propria ma era sostenuto da formazioni politiche diverse tra loro che in comune avevano, per ragioni differenti, l'evitare la consultazione elettorale.

Anche il presunto 'massacro fiscale' che avrebbe perpetrato il governo Monti fu in realtà dovuto in gran parte al suo predecessore, il quale assieme a Tremonti, che occupava il ruolo di ministro dell'Economia e delle Finanze, predispose nell'agosto 2011 una manovra da ben 45 miliardi di euro con effetti nei successivi due anni e quindi 'scaricati' di fatto sul successore:


Quanto poi il governo Monti aggiunse fu sempre approvato a larga maggioranza da PdL e PD in Parlamento, come la discussa riforma delle pensioni presentata dall'allora ministro Elsa Fornero, quindi la responsabilità, se responsabilità si vuole dare, è di chi le leggi le ha approvate ovvero il Parlamento, non il Governo!

Ma i sostenitori del presunto complotto obietteranno portando come prova una immagine che conosciamo bene:


Se per un complotto fosse sufficiente una risata...

venerdì 8 settembre 2017

La situazione dei rifugiati in Germania (da Der Spiegel)

Alcuni giorni fa il quotidiano Der Spiegel ha pubblicato una analisi della situazione relativa ai profughi giunti in Germania negli ultimi anni e ha fornito dati che illustrano risultati contrastanti.

Titolo originale: Flüchtlingspolitik in Zahlen

Die Messlatte

(di Susmita Arp, Anna Reimann und Mirjam Schlossarek)



"Lo possiamo fare!" ("Wir schaffen das!") disse la cancelliera Angela Merkel nel momento più critico dell'afflusso di rifugiati (2015). Quali risultati si sono avuti in Germania da allora? Questi i dati dello stato del mercato del lavoro per l'Ufficio Federale per l'Immigrazione e Rifugiati (BAMF - Bundesamt für Migration und Flüchtlinge)

Se la campagna elettorale riguarda i rifugiati, allora riguarda quelli che sono venuti dall'Africa in Italia negli ultimi mesi. Si vuole ridurre il suo numero o comunque non si vuole che in Germania si ripeta un afflusso così elevato come nel 2015.

In ogni caso sarà difficile farlo con chi è già qui. "Ce la facciamo" disse la cancelliera Merkel due anni fa.

Ma che cosa è stato fatto e dove per l'integrazione, il mercato del lavoro, l'istruzione? Come è la situazione dell'alloggiamento? Come procede intanto il processo delle pratiche di richiesta presso l'Ufficio Federale per l'Immigrazione e Rifugiati? E quanti nuovi richiedenti asilo giungono attualmente? In breve: quali numeri ci illustrano la situazione della politica per i rifugiati in Germania?

ARRIVI
Il numero di nuovi arrivi si è talmente ridotto rispetto al 2015 che anche il capo della CSU bavarese Horst Seehofer si è dissociato da quel limite massimo di 200.000 rifugiati che erano stati stabiliti dall'accordo di coalizione in quanto quest'anno i numeri sono molto inferiori. Rispetto al 2015 e 2016 i nuovi arrivi in Germania si sono decisamente ridotti.

Nell'autunno del 2014, il ministro dell'Interno Thomas de Maizière ha dichiarato: "Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale l'Europa non ha mai visto un così numero di rifugiati". Alcuni Comuni tedeschi sono arrivati a raggiungere il limite nel numero delle accoglienze. In ogni caso nei primi sette mesi del 2014 giunsero meno rifugiati in Germania (quasi 98.000) che nello stesso arco di tempo di quest'anno (106.604).

(Arrivi di richiedenti asilo in migliaia di unità)

PROCEDURA DI RICHIESTA ASILO POLITICO
L'Ufficio Federale per l'Immigrazione e Rifugiati di Norimberga decide sulle richieste di asilo e svolge perciò anche per l'integrazione un ruolo chiave. Fino a quando non si è deciso sulla richiesta è molto più duro per queste persone trovare lavoro o un alloggio, molti non hanno accesso ai corsi di tedesco e non possono essere espulsi.

La durata media per definire le pratiche di richiesta dello status di rifugiati è abbastanza lunga e non è facile ridurla nonostante i grossi sforzi svolti. Nel quarto trimestre del 2016 il tempo trascorso dalla presentazione della richiesta alla decisione è stato in media di 8,1 mesi, nel primo trimestre del 2017 è aumentato a 10,4 mesi e nel secondo trimestre addirittura è arrivato a 11,7 mesi. Nell'ufficio di Norimberga giustificano i tempi lunghi per il fatto che erano già presenti da tempo diverse pratiche da definire e dalla complessità di alcune.

(Durata in mesi della pratica di richiesta asilo)

In realtà il numero di procedure aperte è sceso da quasi 385.000 di gennaio 2017 a quasi 130.000 a fine luglio 2017. Secondo l'Ufficio Federale per l'Immigrazione e Rifugiati, la gestione delle domande di asilo effettuate a partire dal 1° gennaio 2017 è molto più veloce - meno di due mesi. Tuttavia questo dato è fuorviante, in quanto le domande che non sono ancora state decise entro la fine di luglio non sono incluse in queste statistiche.

MERCATO DEL LAVORO
Secondo l'Agenzia Federale per il Lavoro nel mese di luglio 2017 erano 492.000 i rifugiati in cerca di lavoro che si sono registrati. Meno della metà di costoro, appena 185.000, risultano ufficialmente disoccupati, il resto partecipa ad esempio a corsi di integrazione (corsi di lingua e principi basilari della Germania) ed a politiche del mercato del lavoro. Il numero dei rifugiati in cerca di occupazione è aumentato negli ultimi mesi a causa dell'elevato afflusso e del numero di rifugiati ai quali è stato riconosciuto tale status nonché del numero di lavoratori dei principali Paesi dei richiedenti asilo.

(I rifugiati dei principali otto Paesi di provenienza nel mercato del lavoro)

Complessivamente gli esperti dell'Istituto di Ricerca del Mercato del Lavoro e della Ricerca Professionale di Norimberga (IAB) ritengono che l'integrazione dei rifugiati nell'occupazione sia almeno simile o, a causa della buona situazione economica, anche leggermente migliore rispetto ai periodi precedenti in cui molti richiedenti asilo sono giunti in Germania. Secondo un sondaggio IAB-Bamf-SOEP, nell'estate ed inverno del 2016 erano occupati il 10% dei rifugiati in età lavorativa giunti nel 2015, il 22% di quelli giunti nel 2014 ed il 31% di quelli arrivati nel 2013. In questo contesto un tasso di occupazione del 50% tra i rifugiati dopo circa cinque anni di permanenza appare realistico.

INTEGRAZIONE NEL MERCATO DEL LAVORO
Numero di migranti forzati che dalla situazione di disoccupazione hanno trovato una prima occupazione:


Tuttavia tali tassi implicherebbero che il numero assoluto di profughi disoccupati sarebbe più elevato nei prossimi anni che negli anni '90 o primi anni del 2000 semplicemente perché sono giunti molti più profughi.

ESPULSIONI E RIMPATRI VOLONTARI
Al 30 giugno 2017 erano 111.000 i richiedenti asilo espulsi, di questi però il 70% godeva di una qualche indulgenza a causa di documenti mancanti, motivi sanitari o perché alcuni Stati tedeschi (Bundesländer) non espellono verso Paesi come ad esempio l'Afghanistan. Sono circa 32.000 quelli costretti a lasciare il Paese. In ogni caso essendo queste richieste contenenti un termine entro il quale si deve lasciare il Paese è difficile relazionarlo all'effettivo numero di espulsioni.
Il numero di espulsioni non è aumentato rispetto allo scorso anno: nella prima metà del 2017 sono state espulse 12.545 persone. A titolo di confronto, nel 2016 le espulsioni sono state 25.375.
Quello che si può dire è che "lo sforzo a livello nazionale" che la cancelliera Merkel aveva richiesto non c'è stato.
Anche il numero dei richiedenti asilo che si sono ritirati lasciando volontariamente il Paese non è aumentato. Anche se questo tema riveste un ruolo essenziale nella politica dei rifugiati, non c'è nessuno stanziamento federale complessivo per i rimpatri volontari. Solo coloro che sono stati assistiti da finanziamenti da parte dei singoli Stati se ne sono andati volontariamente.
Nel 2016 sono state circa 55.000 persone, il doppio di quelle espulse e quest'anno questo dato non è andato migliorando.
Nel primo semestre di quest'anno a fronte di 12.545 espulsioni ci sono stati 16.645 rimpatri volontari. Non sono tuttavia conteggiati coloro che hanno beneficiato di sovvenzioni dei Länder per lasciare il Paese come anche quelli che non l'hanno avuto dopo che la richiesta di asilo è stata respinta con la minaccia di espulsione.

(Le espulsioni nel 1°semestre 2017 per Land)

La stessa tendenza la si può rilevare dai dati dei singoli Länder. Il quotidiano Berliner Zeitung ha scritto, riferendosi all'Ufficio Regionale per gli Affari dei Rifugiati di Berlino (LAF), che da gennaio a giugno 793 persone hanno lasciato volontariamente la città-Stato di Berlino. Secondo le stesse fonti nell'intero anno scorso sono state 1.837 i rifugiati a lasciare Berlino.

Confronto tra partenze volontarie (a sinistra) ed espulsioni (a destra) dei rifugiati per Land nel 2016:



ALLOGGIAMENTO
Quanti rifugiati che sono arrivati nel 2015 vivono ora in una propria abitazione, quanti in comunità e quanti in alloggi di emergenza? Queste cifre non sono disponibili centralmente a livello nazionale, devono essere semmai richieste dai singoli comuni. Una ricerca condotta da Der Spiegel nella primavera del 2017 ha mostrato che c'erano ancora circa 15.000 persone che vivevano in rifugi di emergenza, quasi 55.000 in meno rispetto all'anno precedente.

L'uscita dei rifugiati da palestre, vecchi depositi e caserme è proseguito da allora, anche se lentamente. Esempio: a Berlino, in primavera, più di 13.000 richiedenti asilo vivevano in sistemazioni improvvisate, secondo la LAF a metà agosto erano ancora 9.000.
Procede lentamente la costruzione di alloggi precari dotati di una minima riservatezza. Secondo le informazioni provenienti dalle autorità di Berlino, 2.100 rifugiati vivevano in primavera in tali strutture, nel mese di agosto erano ancora 1.700.

Anche da altri Länder ci sono dati contrastanti: un'indagine condotta dall'agenzia di stampa DPA in Nord Reno-Vestfalia ha recentemente mostrato, ad esempio, che a Dortmund degli 8.237 rifugiati che vivono là, più di 6.800 abitano in appartamenti. Al contrario, la situazione nella capitale del Land, Düsseldorf, dove circa l'80% dei richiedenti asilo vive ancora in alloggi in comune.

CORSI DI INTEGRAZIONE
L'Ufficio Federale per l'Immigrazione e Rifugiati è responsabile non solo per le domande di asilo ma anche per i corsi di integrazione statali in cui vengono svolti corsi di tedesco e conoscenza di base del Paese. Non si nota un significativo incremento del numero dei corsi: secondo l'Ufficio Federale più di 11.000 corsi sono stati fin qui avviati nel 2017 con circa 170.000 nuovi partecipanti. Nel 2016 i corsi sono stati 20.000 con circa 340.000 partecipanti, dei quali oltre ai rifugiati c'erano anche un gran numero di cittadini dell'Unione Europea e cosiddetti vecchi immigrati. Allo stesso tempo, l'anno scorso, sono state rilasciate 534.648 autorizzazioni a frequentare corsi che illustrano così la discrepanza tra offerta e domanda.

Il fatto che ci siano centinaia di migliaia di rifugiati che necessitano di imparare urgentemente il tedesco e che non possono frequentare in tempi brevi un corso suggeriscono un loro potenziamento.
I richiedenti asilo da Siria, Iraq, Iran, Eritrea e Somalia dovrebbero avere accesso ai corsi di integrazione federali grazie alle loro buone prospettive di permanenza. Nel 2016, tuttavia, solo 407.646 persone provenienti da questi quattro Paesi hanno presentato una domanda di asilo mentre da gennaio a fine luglio 2017, da questi Paesi, sono stati solo 52.320.

Tuttavia nel 2016 solo 218.000 siriani, iracheni, iraniani ed eritrei hanno frequentato un corso, molti richiedenti sono quindi rimasti esclusi. Soprattutto i richiedenti asilo afghani non hanno avuto accesso ai corsi di integrazione durante l'esame delle pratiche, anche se l'Afghanistan è uno dei tre paesi da cui provengono maggiormente i profughi ed il 56% delle richieste di asilo di costoro vengono accolte.

Non ci sono dati per i tempi di attesa, il quotidiano Die Welt aveva recentemente riportato che solo il 54% dei partecipanti ai corsi di integrazione possono iniziare le lezioni entro sei mesi, un obiettivo limite di tempo che l'Ufficio Federale si era dato. "La sfida al momento risiede nelle zone rurali dove talvolta non ci sono sufficienti candidati disposti a partecipare in quanto ci possono essere tempi di attesa che non sono né nell'interesse loro né dell'Ufficio Federale." afferma l'Ufficio Federale per l'Immigrazione e Rifugiati.

E anche in termini di successo il bilancio dei corsi di integrazione è piuttosto variegato. Complessivamente, solo il 56% dei partecipanti ottiene il livello desiderato B1 raggiungendo così sufficienti abilità linguistiche con le quali si possono esprimere semplicemente su temi quotidiani.