venerdì 2 dicembre 2016

Quanto ci costa lo spread?

Sono passati cinque anni da quando abbiamo appreso un po' tutti un termine utilizzato in ambito finanziario: lo spread! Eppure ancora oggi vi è molta confusione attorno al suo significato e spesso viene interpretato erroneamente quale sinonimo di costo da sostenere a fronte di un prestito ottenuto dal governo.
In questo momento è tornato a far parlare di sé per l'andamento altalenante dei prezzi dei titoli di Stato, andamento perlopiù speculativo legato all'approssimarsi del referendum sulla riforma costituzionale e le possibili conseguenze politiche che possono aversi dall'esito negativo. Queste oscillazioni vengono (troppo) spesso commentate negativamente allorquando lo spread aumenta oltre che erroneamente quando si afferma che questo causerebbe un costo di parecchi miliardi di euro al governo. Queste affermazioni sono errate dal punto di vista concettuale in quanto lo spread (in questo contesto) non misura il costo del denaro preso a prestito, bensì la differenza tra quanto pagano due titoli di Stato diversi. Ma andiamo con ordine.

Cosa indica lo spread
In ambito finanziario questo termine anglofono ha il significato letterale di differenza di prezzo (price difference). La maggior parte degli italiani lo ha conosciuto in occasione della crisi finanziaria del 2011, eppure si può dire che sempre la maggior parte di noi, specialmente chi ad esempio ha sottoscritto un mutuo per l'acquisto di una casa, dovrebbe averlo visto in precedenza tra le clausole legate al tasso di interesse applicato dalla banca o dalla società finanziaria che ha concesso il mutuo stesso. Generalmente nel contratto si è fatto, e si fa tuttora, riferimento ad un tasso base (es.euribor) a cui viene applicato un tasso differenziale aggiuntivo (una sorta di provvigione) per giungere al tasso di interesse effettivo applicato. Quel tasso differenziale non è altro che lo spread e tale è denominato nel contratto:


Tornando in ambito titoli di Stato, lo spread indica la differenza tra quanto è il costo lordo in termini di tasso di rendimento di un generico titolo di una nazione e quello omologo di un'altra presa come riferimento. Convenzionalmente si prendono in considerazione, se non diversamente indicato, i titoli di durata decennale e sempre convenzionalmente il titolo preso a riferimento (benchmark) è quello (decennale) del governo tedesco, il bund, questo perché i titoli emessi dal governo di Berlino sono ritenuti tra i più affidabili e lo dimostra il fatto che i rendimenti, ovvero il costo complessivo che lo stesso governo paga per farsi prestare denaro, sono tra i più bassi al mondo.
E' bene rammentare che il rendimento di una obbligazione è costituito dall'interesse previsto nel titolo (cedola) e la differenza di prezzo tra il valore nominale e quello sostenuto per l'acquisto. Ad esempio se un titolo offre una cedola del 2% semestrale significa che ogni 6 mesi il suo possessore riceve il 2% del valore nominale, cioè quello che l'emittente pagherà una volta giunto a scadenza, che corrisponde generalmente a 100 euro, quindi in questo caso sarà pari a 2 euro. Se questo titolo avesse durata decennale, il possessore al termine riceverebbe 40 euro complessivi (2 € ad ogni semestre - 4 € all'anno - per 10 anni). Se avesse acquistato il titolo a 100 euro, il rendimento sarebbe del 4% all'anno, ma se lo avesse pagato diversamente il rendimento sarebbe o minore nel caso lo avesse pagato più di 100 euro oppure maggiore se viceversa.
Come si misura lo spread? Lo spread si misura in termini percentuali o più frequentemente in punti base, dove un punto base è il valore espresso in termini percentuali a due cifre decimali moltiplicato 100: esempio 2,15% corrisponde a 215 punti base.

Mercato primario e mercato secondario
Prima di analizzare l'eventuale costo per un governo in caso di variazione dello spread, occorre specificare una questione fondamentale, ovvero la differenza tra un titolo da collocare ed uno già collocato.
Quando un governo si trova nella necessità di coprire un deficit di bilancio, ovvero la differenza in negativo tra entrate fiscali e spese, emette delle obbligazioni facendosi così prestare i soldi dagli investitori, in cambio di un prezzo che è costituito dal tasso di interesse proposto (la cedola). Gli investitori provvederanno poi a farlo più o meno favorevolmente a fronte del grado di fiducia che assegnano a quel governo e questo comporterà che il prezzo che saranno disposti a pagare per prestare quanto richiesto potrà risultare maggiore di quello nominale se la fiducia è alta, oppure inferiore se la fiducia dovesse essere bassa e questo influirà come visto prima sul rendimento complessivo, ovvero il costo complessivo. Se nell'esempio fatto prima i mercati avessero una scarsa fiducia nel governo emittente proponendo di pagare ad esempio 96 euro contro i 100 nominali, il costo per quel governo sarà quindi non solo costituito dai 40 euro in interessi, ma anche altri 4 euro a fronte di ogni titolo venduto, aumentando così il rendimento complessivo nominale per l'investitore.
Se il governo avesse necessità di ottenere per ciascuna obbligazione almeno 98 euro e non di meno per coprire il deficit, dovrebbe quindi alzare la cedola, portandola nel nostro esempio a più del 2% semestrale.

Ma andiamo ora a fare una ulteriore doverosa precisazione per evitare errate interpretazioni quando si parla di spread. Il governo riceve il denaro richiesto solo nella fase di collocamento, o meglio a collocamento ottenuto, cioè quando i titoli sono stati sottoscritti dagli investitori istituzionali (e abilitati) alle condizioni richieste dal governo.
Questo avviene nel cosiddetto mercato primario. Questi titoli possono poi essere scambiati tra i possessori, ovvero tra coloro che se li sono aggiudicati inizialmente, in quello che viene chiamato il mercato secondario.
Generalmente le quotazioni ed i relativi rendimenti che vengono resi noti dagli organi di informazione si riferiscono a questi ultimi, a quelli cioè scambiati tra investitori (privati cittadini, banche, finanziarie, fondi pensione etc...) dove lo Stato non viene coinvolto, ovvero non riceve né paga alcunché.
In definitiva se oggi leggiamo che lo spread è aumentato, facendo riferimento appunto alle quotazione sul mercato secondario, per lo Stato non implica nulla per due ragioni: la prima perché il costo è rappresentato dal rendimento e non dalla differenza tra quanto paga una sua obbligazione e quella di altro governo, e secondo perché quello spread è riferito allo scambio tra investitori e per lo Stato non cambia nulla visto che il denaro lo ha già incassato al momento del collocamento. Semmai le quotazioni sul mercato secondario influiscono poi sulle aste di nuovi titoli. Quindi se il rendimento di un  generico BTP decennale sul secondario è ad esempio del 2%, è presumibile che lo stesso rendimento sarà quello atteso se non preteso dagli investitori nel momento della sottoscrizione di nuovi BTP che il governo andrà a collocare.

Ma anche se ci si riferisse al mercato primario, un incremento dello spread non implicherebbe necessariamente un incremento di costo per il governo. Si consideri ad esempio una situazione in cui l'Italia paga per un generico BTP decennale un rendimento del 4,40%, mentre un corrispondente Bund il governo tedesco il 2,10%, avremmo uno spread del 2,30% (4,40% - 2,10%) o per esprimerlo più tecnicamente di 230 punti base (2,30% x 100).
Se in un secondo tempo i rendimenti dei titoli di Stato dovessero calare e avessimo che il rendimento del BTP fosse del 4,10% e del Bund tedesco del 1,30%, avremmo che lo spread passerebbe dai precedenti 230 punti base a 280 punti base (o 2,80%), cioè aumenterebbe rispetto a prima ma il costo per il governo risulterebbe inferiore e non viceversa come l'aumento dello spread farebbe credere!

In conclusione, se si vuole analizzare il costo del debito per un governo, non si deve considerare lo spread, bensì il rendimento medio ponderato! Lo spread esprime semplicemente il differenziale di fiducia che gli investitori nutrono verso due diversi debitori (nel nostro esempio rispetto al governo italiano e tedesco).
Inoltre occorre considerare i rendimenti all'atto del collocamento (nel cosiddetto mercato primario), cioè quando il governo effettivamente incassa il denaro sottoscritto, non dopo quando la variazione dei prezzi e dei rendimenti coinvolge esclusivamente i possessori.

Quando costa una variazione dello spread dei rendimenti al governo?
Arriviamo ora al punto centrale di questa riflessione, quanto costerebbe un incremento, in termini percentuali, dei rendimenti dei titolo di Stato per il governo italiano. Iniziamo con l'analizzare la composizione più recente (Settembre 2016) dei titoli di Stato in circolazione, disponibile sul sito del Dipartimento del Tesoro del nostro Ministero dell'economia e delle Finanze:


Come si vede la quota maggiore è costituita dei BTP di varie scadenze. Da notare che l'importo complessivo, pari a quasi 1.864 miliardi di euro, è inferiore all'ammontare complessivo di debito delle amministrazioni pubbliche che a Settembre è stato di 2.212 miliardi di euro, in leggero calo rispetto ai 2.224 mld di Agosto e i 2.255 mld di Luglio (fonte Banca d'Italia).

Dallo stesso sito del Dipartimento del Tesoro abbiamo anche l'andamento nel tempo della struttura del debito - via titoli di Stato - e la sua vita media ponderata:


La vita media ponderata è di 6 anni e 9 mesi circa, questo in virtù del fatto che il 70% circa dei titoli di Stato in circolazione sono costituiti da BTP la cui scadenza è in gran parte precedente ai prossimi 10 anni. La vita media ponderata è comunque in aumento, segno che i titoli in scadenza vengono sostituiti da altri a scadenza più lunga. Strategicamente questa via è preferibile in situazioni come quella attuale di bassi tassi di interesse del mercato in cui a fronte di un costo (interesse) maggiore per scadenze più lunghe si evita di dover rimborsare e sostituire i titoli in scadenza con una frequenza maggiore. In pratica è preferibile ad esempio emettere un titolo a scadenza 10 o 15 anni pagando qualcosa in più, piuttosto che doverlo fare ogni 3 o 5 anni non sapendo come saranno le condizioni del mercato in quel periodo, dove ci si potrebbe trovare in una situazione di turbolenza finanziaria ed essere così costretti a pagare tassi elevati come è avvenuto nel secondo semestre del 2011.

Ora che abbiamo fatto le dovute premesse e considerazioni possiamo stimare quanto costerebbe al governo un incremento medio dei rendimenti di un punto percentuale. Sapendo che l'ulteriore costo verrebbe sostenuto durante l'intera fase di cosiddetto roll-over,  cioè di sostituzione (rinnovo) dei titoli in scadenza con altri di nuova emissione, fase che al momento durerebbe complessivamente fino al 2063 in quanto recentemente sono stati collocati titoli di durata cinquantennale, anche se questi rappresentano una minima parte del totale.
Comunque, se complessivamente i titoli in circolazione ammontano in controvalore a quasi 1.864 mld di euro e nell'ipotesi che questo importo rimanga inalterato, a fronte di un aumento dell'interesse medio del 1% ne deriverebbe un costo complessivo di circa 18,6 mld di euro, costo che comunque avverrebbe in larga parte in un primo periodo di breve e media durata dato che le scadenze si concentrano entro i prossimi 5 anni:


Da questa figura, tratta dal Rapporto sul Debito Pubblico 2015, osserviamo gli importi in scadenza suddivisi per anno e si vede come quest'anno sono previsti in scadenza 180 mld circa, quasi 200 mld nel 2017, poco meno di 140 mld nel 2018 e poco più l'anno successivo. Un aumento medio dei rendimenti (non dello spread!) di un punto percentuale comporterebbe una spesa aggiuntiva per il governo di 2 mld nel 2017, 1,4 mld nel 2018 e poco più l'anno seguente, fino ad arrivare al totale di 18,6 mld una volta conclusa del tutto la fase di roll-over, ovvero di rinnovo dei titoli in scadenza con emissione ex novo di altri. Questo naturalmente secondo la situazione attuale e ipotizzando che l'ammontare dei titoli in circolazione non cambi, ipotesi poco attendibile visto che è obiettivo del governo di ridurre il debito pubblico e di conseguenza l'ammontare dei titoli in circolazione.
In ogni caso è importante notare come la stima del costo dovuto ad un incremento dei rendimenti dei titoli di Stato (e non dello spread!!) sia ben diversa dalle dozzine di miliardi o altri importi del tutto inattendibili affermate spesso da politici e giornalisti poco avvezzi a trattare tematiche di economia e finanza.