giovedì 26 marzo 2020

Helicopter Money, è giunto il momento di provarlo?

Nel pieno della emergenza sanitaria dovuta all'epidemia del virus SARS-Cov-2 dobbiamo prepararci anche alle conseguenze economiche a seguito dei provvedimenti adottati dai governi per fronteggiare la situazione, conseguenze che saranno decisamente pesanti tanto da prevedere una crisi maggiore di quelle del 2008 e del 2011, in sostanza sarà la più grave dal dopoguerra.

I governi, le banche centrali di tutto il mondo e le istituzioni dell'Unione Europea stanno predisponendo programmi di intervento per fronteggiare le ricadute sull'economia e le cifre sono elevate, di diverse centinaia di miliardi per le maggiori nazioni europee, di 2 mila miliardi di dollari per gli Stati Uniti.
Saranno sufficienti? E' presto per dirlo, fatto sta che occorre anche considerare le modalità con cui questo denaro verrà immesso. Occorre cioè vedere se le consuete modalità di trasmissione saranno adeguate. Ad esempio, l'acquisto di obbligazioni di aziende private e di titoli di Stato da parte delle banche centrali nazionali e della Banca Centrale Europea sono sì efficaci per fornire liquidità alle banche e aziende ma può non essere sufficiente perché questa crisi coinvolgerà lavoratori dipendenti, famiglie, lavoratori autonomi e piccole aziende che in molte occasioni si vedono negare aiuti da parte degli istituti creditizi per carenza di garanzie. Occorre quindi un intervento diretto, magari da parte dello Stato, verso queste categorie più deboli. Come? Ad esempio prendendo in considerazione una ipotesi di politica monetaria straordinaria formulata mezzo secolo fa.

Helicopter Money
Si tratta di uno strumento di politica monetaria teorizzata dall'economista Milton Friedman nel 1969 nell'eventualità che le consuete operazioni ordinarie non fossero sufficienti. L'espressione rendeva l'idea: come lanciare denaro da un elicottero!
In pratica il denaro creato dalle banche centrali giungerebbe direttamente ai cittadini senza intermediari come avviene oggi attraverso il sistema bancario.
Per fare un esempio basta citare il caso europeo in cui l'Eurosistema, ovvero la BCE assieme alle singole BCN (banche centrali nazionali), acquista titoli di Stato in cambio di denaro, denaro che le banche cercheranno di utilizzare attraverso prestiti alla clientela in quanto questo da solo non genera reddito e per le banche è come per una azienda produrre i beni tipici per poi tenerli a magazzino. Altri strumenti poi a disposizione delle banche centrali sono i tassi di interesse e altre operazioni che comunque hanno lo scopo di fornire liquidità ma con il minimo comune denominatore di non giungere direttamente a famiglie e imprese.
Questo strumento ipotizzato da Milton Friedman invece prevederebbe il passaggio diretto, semmai gestito attraverso i governi, a prescindere dalla capacità di restituzione dei destinatari in quanto sarebbe un trasferimento a fondo perduto.

Occorre dire che se da una parte in questi decenni, cioè da quando Friedman fece questa proposta, ad oggi molti economisti si sono mostrati scettici sulla sua utilità preferendo strumenti ortodossi, dall'altra è fondamentale rendersi conto che questa crisi è decisamente non solo diversa perché non derivante dal ciclo economico, ma è anche una crisi dalle dimensioni decisamente elevate, tanto da poterla paragonare a quella di una guerra. Ecco perché è il caso di prendere in considerazione strumenti cosiddetti non convenzionali ed eccezionali.
E' necessario che lavoratori e famiglie non debbano pagare a caro prezzo una crisi che non dipende da loro o comunque da fluttuazioni economiche ma da una crisi esterna di carattere sanitario.

Eventualmente si potrebbe anche prendere in considerazione una prima soluzione intermedia se la creazione di denaro attraverso questa soluzione dovesse far storcere il naso agli economisti, si potrebbe infatti ipotizzare un anticipo ai governi da parte delle banche centrali di quanto da queste dovuto annualmente tra imposte e parte degli utili netti.
Ad esempio la Banca d'Italia dall'esercizio 2018 ha dato al governo italiano quasi 7 miliardi, costituiti da 1,155 miliardi in imposte e 5,710 miliardi di euro in utili netti spettanti a termine di altre destinazioni (fondo rischi, dividendi etc...). Si potrebbe ipotizzare che la Banca d'Italia anticipi alcune annualità al governo italiano e nei prossimi anni questo rinunci ad incassare imposte e utili di sua competenza fino a restituzione dell'ammontare complessivo ottenuto. Supponendo un prestito corrispondente a 5 se non addirittura 10 anni il governo potrebbe disporre rispettivamente di circa 35 o 70 miliardi da utilizzare esclusivamente a favore di famiglie e imprese in difficoltà e che non possono accedere attraverso il normale sistema creditizio.
Questo prestito avrebbe il vantaggio di non dipendere dall'umore o comunque dalla fiducia degli investitori e consisterebbe in qualche modo in una partita di giro differita nel tempo tra governo e banca centrale.

Comunque sia è assolutamente necessario predisporre piani di intervento dalle dimensioni eccezionali oltre che adeguate perché diversamente si rischiano, soprattutto per l'economia italiana, conseguenze a dir poco disastrose tenuto conto che quest'anno il settore turistico subirà un deciso crollo e lo stesso per il commercio estero con conseguenze sugli investimenti privati dato che in queste condizioni ben poche attività intenderanno investire.
Considerando che il PIL medio trimestrale italiano è di circa 440 mld, stimando un calo anche solo di un terzo ne deriverebbe che la cifra annualizzata comporterebbe una recessione attorno al 10% del PIL. Questo ad essere ottimisti ed in assenza di efficaci misure intraprese.

lunedì 26 agosto 2019

Ma quanto è in crisi l'economia tedesca?

In queste settimane si è parlato molto della non favorevole situazione economica che stanno attraversando un po' tutte le economie mondiali, in particolare quelle dell'Unione Europea tra cui la locomotica tedesca, che nel secondo trimestre 2019 stando alla stima preliminare diffusa lo scorso 14 Agosto da parte dell'ente di statistica federale (Statistisches Bundesamt), i cui dettagli verranno comunicati domani martedì 27 agosto, ha visto un arretramento ufficiale dello 0,1% rispetto al trimestre precedente che fa scendere la crescita tendenziale, ovvero rispetto allo stesso trimestre del 2018, ad un +0,4%.

Questa situazione è in gran parte dovuta al calo della produzione industriale che risente della debolezza degli scambi internazionali e quindi delle esportazioni mentre dall''altra parte la domanda interna è ulteriormente cresciuta, sia riguardo i consumi privati e sia di quelli pubblici, ma anche gli investimenti sono risultati maggiori rispetto al primo trimestre. Oltre alle esportazioni anche il settore delle costruzioni ha registrato un calo nel secondo trimestre.

Se però analizziamo in dettaglio i dati forniti ne risulta a mio avviso una situazione meno critica di quella che alcuni media hanno descritto. Cominciamo con il PIL:


Dai dati tratti dallo Statistisches Bundesamt si possono notare gli andamenti trimestrali rispetto a quello precedente una volta effettuate le dovute correzioni statistiche (dati concatenati a prezzi costanti, destagionalizzati e corretti per gli effetti di calendario) e si vede per l'ultimo trimestre solare l'arretramento dello 0,1%.
Se guardiamo i dati grezzi del PIL realizzato nel secondo trimestre questo ha visto un controvalore di € 844.730 milioni contro € 842.070 milioni del trimestre precedente e € 827.660 del secondo trimestre 2018. In pratica rispetto all'anno precedente si registra una crescita costante a prezzi correnti, poi le correzioni statistiche giungono ai dati riportati in colonna nel rettangolo rosso. Quindi la situazione più che di arretramento vede una economia che ha cessato di crescere e si è stabilizzata. Si consideri che l'inflazione registrata a Giugno era del 1,6%.

Questa situazione può essere vista con preoccupazione per una nazione che registra un alto tasso di disoccupazione (come l'Italia) ma la Germania gode di una situazione che non si aveva da decenni.
A giugno, al termine del secondo trimestre, i disoccupati erano 2.216.243 pari al 4,9% (fonte Bundesagentur für Arbeit).
Per quanto riguarda l'occupazione, che è un dato più indicativo per quanto riguarda l'andamento del mercato del lavoro, a fine dicembre 2018 gli occupati erano 45.083.000 mentre a fine Giugno scorso il numero è giunto a 45.295.000.
Insomma anche sotto il profilo dell'occupazione i dati ci dicono che l'economia tedesca ha frenato la crescita ma in una situazione che rimane sempre del tutto invidiabile.
Questo però non deve essere visto come una sottovalutazione della situazione che vive il settore manifatturiero ed in particolare quello degli autoveicoli che rappresenta quello più importante per la Germania e che sta attraversando una fase difficile sia sul mercato interno ma soprattutto nelle vendite all'estero. I dati dell'associazione di categoria dei costruttori tedeschi (VDA) lo mostrano chiaramente, qui di seguito quelli riferiti alla produzione di autovetture trasporto persone (Pkw) in Germania:


Si vede chiaramente come il trend medio di produzione, indicato con la linea punteggiata, è in calo da fine 2017, ovvero da una media mensile di circa 470 mila unità prodotte si è scesi a 400 mila, pari ad un -15%. Recentemente a fronte di questa situazione le case automobilistiche tedesche hanno annunciato un sensibile ridimensionamento del personale.
Ritengo che sia questa una delle ragioni principali che hanno indotto la Deutsche Bundesbank (la banca centrale tedesca) nella recente relazione mensile a paventare un possibile ulteriore arretramento anche nel terzo trimestre.

La situazione non è quindi positiva ma almeno per la Germania nemmeno preoccupante sebbene il ministro federale delle finanze Scholz ha annunciato domenica 18 u.s. la predisposizione di un pacchetto di possibile intervento pubblico a sostegno dell'economia, pacchetto che può arrivare fino a 50 mld di euro senza dover disattendere i parametri di bilancio delle norme UE dato che la Germania può giungere ad un deficit strutturale fino al 1% del PIL, PIL che è di oltre 3.300 mld.

giovedì 2 maggio 2019

Perché il surplus della Germania non viola alcun trattato

Sicuramente avrete ascoltato o letto almeno una volta che mentre a noi viene sempre contestato il deficit del settore pubblico, richiamandolo ad una costante riduzione al fine di ridurre contestualmente anche l'ammontare del debito, alla Germania viene (o verrebbe) concesso di eccedere da tempo il surplus delle partite correnti nel limite del 6% e che nessun richiamo le viene fatto, nessuna procedura di infrazione aperta e tantomeno inflitta una sanzione che, a detta di alcuni, sarebbe prevista.
Ebbene, queste affermazioni sono tutte cattive interpretazioni delle norme, o meglio Regolamenti comunitari, che contemplano questo tema (oltre ad altri).
Vediamo di spiegare in modo possibilmente chiaro come stanno realmente le cose, cosa prevedono le norme ed alla fine perché nonostante il surplus della Germania sia oltre il limite previsto essa non viola alcuna norma e di conseguenza nessuna sanzione le può essere inflitta, fermo restando che una procedura c'è, così come c'è verso tutte le nazioni che non rispettano gli indicatori macroeconomici stabiliti nel 2011 dalla Commissione Europea.

Un passo indietro
Nel novembre del 2011 Parlamento e Consiglio Europeo decisero una serie di Regolamenti e Direttive volti a rafforzare la crescita della zona euro e per contro ridurre gli squilibri macroeconomici. Furono emanati cinque Regolamenti ed una Direttiva chiamati nell'insieme Six-Pack e a seguire altri due Regolamenti chiamati Two-Pack che hanno modificato e rafforzato il Patto di Stabilità e Crescita. Tra questi Regolamenti vi furono il 1174/11 e 1176/11 del 16 Novembre 2011 che rispettivamente erano rivolti (1) a misure esecutive per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nella zona euro e (2) alla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici.

Gli indicatori macroeconomici e le soglie stabilite
In particolare il Regolamento 1176/11 stabilisce che la Commissione Europea fissi dei limiti a specifici indicatori macroeconomici e finanziari entro i quali i Paesi aderenti all'area euro debbano cercare di attenersi ed alla Commissione stessa il compito di sorveglianza.
Cliccando sopra i rispettivi numeri dei due Regolamenti menzionati si può accedere alla pagina istituzionale e scaricare i testi integrali in lingua italiana (così i sovranisti saranno soddisfatti).
Io mi limito a citare alcuni articoli del Regolamento N.1176/11 che prevede di stilare un elenco di indicatori:


Gli indicatori scelti e le relative soglie previste sono i seguenti e rientrano nel Macroeconomic Imbalance Procedure:


Come si può notare il primo indicatore riguarda proprio il surplus/deficit delle partite correnti (current account in inglese) i cui limiti sono stati stabiliti rispettivamente nel +6% e -4% del PIL nominale. Quindi non solo il surplus è oggetto di vincolo, ma anche il deficit. In sostanza le partite correnti rispecchiano in gran parte il saldo dello scambio merci e servizi, quindi un Paese (Germania) che esporta molto più di quanto importa si ritrova un surplus anche delle partite correnti dato che le altre voci che la compongono non modificano sensibilmente quello delle merci. Chi invece (Cipro) importa molto più di quanto esporta registra al contrario un deficit che va oltre il 4% stabilito e di conseguenza non solo ad esempio la Germania ma anche Cipro deve prendere provvedimenti per riequilibrare la situazione.

Cosa accade se un Paese non rispetta i limiti?
Se si guarda a tutti gli indicatori si può notare che non riguardano solamente quelli inerenti la Bilancia dei Pagamenti ma sono anche di altro genere. Abbiamo ad esempio la variazione del costo del lavoro nominale, il tasso di disoccupazione, sia complessivo che giovanile, la variazione del tasso di attività ed altri ancora. In totale sono 14 con una o due soglie previste per ciascuno. Insomma, non c'è solo il surplus delle partite correnti.

Se un Paese non rispetta tali soglie la Commissione Europea lo inserisce in un apposito report, chiamato Alert Mechanism Report (AMR). Come previsto dal Regolamento, in base alla gravità ed al grado di influenza (negativa) verso la stabilità economica degli altri Paesi membri, la Commissione d'accordo con le autorità competenti di quel Paese stabilisce le misure di intervento al fine di ridurre e rientrare nei limiti previsti. Non è prevista una sanzione in questa fase! La sanzione, tanto invocata da alcuni verso (solo?) la Germania per l'eccessivo e prolungato surplus delle partite correnti, può essere presa solamente se il Paese in questione si rifiuta di adottare provvedimenti che riducano lo scompenso e questo comporti per l'appunto effetti negativi alle economie degli altri Paesi membri della zona euro.

Nello specifico la Germania ha superato la soglia del 6% dal 2011 raggiungendo il dato più alto nel 2015 con un +8,5%. Da allora tale surplus è andato via via riducendosi fino a toccare +7,3% nel 2018 (fonte Eurostat) proprio a seguito di alcune misure adottate. Certo, molti economisti hanno chiesto e chiedono che la Germania faccia di più, ma non le si può imporre interventi maggiori. Per quanto riguarda i trattati, o meglio in funzione dei Regolamenti qui esposti, la Germania non viola alcun articolo in quanto ha sempre accettato e concordato misure da intraprendere. Diversamente potevano essere prese sanzioni comminate però dal Consiglio Europeo (capi di Stato e di Governo) e non dalla Commissione Europea che non ha titolo per infliggere alcuna sanzione.

mercoledì 3 aprile 2019

Industria 4.0 edizione 2019 e dintorni


Di ritorno dalla fiera ad Hannover (Germania, Bassa Sassonia), incentrata sulla Industria 4.0 (ma non solo), ho pensato di esporre alcune mie valutazioni. Oltre 20 padiglioni per accogliere visitatori da tutto il mondo, divisi per tematica di prodotto.
I 'padroni di casa' hanno fatto ovviamente la parte del leone ma quest'anno c'è stata una larga partecipazione di aziende italiane, anche se con qualche precisazione.:


In termini numerici l'Italia era ben rappresentata ma concentrandosi su tipologie di prodotti non propriamente avanzati sotto il profilo tecnologico. I padiglioni, infatti, che ospitavano la robotica ed i sistemi informatici di livello avanzato non hanno visto molte aziende del Bel Paese. Devo purtroppo constatare che per alcune di esse l'impressione che ho avuto è che più che essere lì per proporre vere e proprie novità cercavano nuova clientela approfittando del richiamo che l'evento ha a livello internazionale.

Alle imprese italiane manca un serio marketing
Ho avuto modo di dialogare brevemente con i rappresentanti di un paio di fonderie italiane presenti alla manifestazione fieristica ed al termine ho avuto perplessità circa la loro scelta di partecipare a quella specifica fiera. Ambedue infatti hanno avuto poco riscontro (sia quando ero presente che da loro ammissione quando ho chiesto come sono stati i primi due giorni). Mi sono quindi chiesto cosa si aspettavano nel presentarsi in una nazione che quanto a fonderie non mi risulta che sentano la necessità di conoscerne di nuove. I tedeschi non hanno certo problemi in questo senso e se necessario si rivolgono ad impianti o aziende collocate in quei Paesi come l'est Europa caratterizzati dal costo inferiore.
La domanda quindi è, ed è quella che mi sono posto dopo aver parlato con queste due aziende: "Hanno fatto una analisi di mercato accurata per verificare la potenzialità di quello tedesco?".

Non è la prima volta che mi capita di avere a che fare, seppur indirettamente, con aziende italiane che si recano in Germania, non tanto perché hanno valutato una opportunità, ma basandosi semplicemente sul fatto che quella è una economia grande e forte ed in crescita oltre al fatto che è a noi vicina geograficamente e con la quale abbiamo già un ottimo interscambio commerciale tanto da risultare il nostro partner principale.

Ma questo metodo non è efficace!

Prima di avventarsi in un mercato occorre valutare l'effettiva potenzialità, ricorrendo a quegli appositi e specifici metodi che un serio marketing conosce.
Vi racconto un aneddoto così da chiarire cosa intendo.

Qualche anno fa notai nel giro di poco tempo che alcune aziende tedesche nel loro sito internet avevano pagine tradotte in varie lingue ma non in italiano. Un giorno mi trovai a pranzo con il direttore commerciale di una di esse e senza correre il rischio di porre una domanda tendenziosa mettendolo eventualmente in imbarazzo mi limitai a chiedere come mai non avessero incluso la lingua italiana, se per caso ritenevano non interessante il nostro mercato. Insomma avevano pagine in russo, in spagnolo, in ceco oltre alle naturali inglese e francese ma non in italiano!
Costui mi rispose che, al contrario, ritenevano quello italiano un mercato interessante ma potenzialmente inferiore quanto a redditività o meglio, per usare una terminologia tecnica, in termini di ROI (Return of  Investment). Cioè senza mai mettere in dubbio l'interesse per l'Italia egli mi disse che le loro stime davano, tanto per fare un esempio, un ROI del x%, investendo una determinata somma, ma la medesima somma investita altrove (si può intuire in quei Paesi per cui hanno tradotto le pagine web nella loro lingua) potevano ottenere un livello maggiore. Questo non significava che non erano interessati al nostro mercato, ma che non erano al momento inclini a mettere soldi direttamente, erano comunque ben disponibili se una impresa italiana si fosse fatta avanti per trattare i loro prodotti qui.

Ecco allora la domanda che mi sono posto a riguardo alcune aziende italiane presenti ad Hannover, tra le quali le due fonderie: "Non era magari preferibile effettuare preventivamente una accurata analisi di mercato e optare per una fiera in altra località? Era davvero la Germania la scelta più promettente?"

Industria 4.0 e gli inconsistenti (per me) timori per la sua diffusione
Tornando al centro della manifestazione di Hannover, sicuramente la robotica industriale stravolgerà il sistema di produzione ma gli effetti saranno in meglio. Osservando un robot confezionare una scatola di prodotti vari, lì rappresentato da semplici tavolette di legno colorate, oppure quello più grande in grado di assemblare le parti di una autovettura, mi sono chiesto cosa questo apporterà al reparto assemblaggio (o confezionamento nel primo caso). Certamente la sostituzione da parte di una macchina del lavoro di una persona può causare preoccupazioni, ma è davvero una prospettiva negativa? E' così gratificante eseguire quelle operazioni che domani potranno essere svolte da una macchina e anche più velocemente? Un operaio che per decenni svolge praticamente migliaia di volte la medesima operazione non si sente per caso demotivato da questo?
E' certamente vero che si sia preoccupati per il riflesso sull'occupazione ma non è assolutamente vero che questo porterà ad un calo dell'occupazione, sostituita in misura sempre maggiore da macchine. Ne consegue invece una trasformazione di competenze e qualifiche, anziché ripetere continuamente operazioni logoranti per la loro ripetitività, dovranno occuparsi di seguire i robot, intervenire quando necessario, programmarli. Aumenterà il numero di ingegneri che avranno il compito di progettare e migliorare le performance dei robot stessi. Alla fine porteranno benefici in fatto di occupazione e anche ai salari visto che all'introduzione delle macchine si accompagna sempre un aumento della produttività e quindi delle prospettive di crescita salariale.
Insomma, non bisogna assolutamente nutrire timori verso questa recente ed attuale rivoluzione industriale!

domenica 10 marzo 2019

Peter Bofinger chiede al governo tedesco un programma di investimenti di 60 miliardi.

L'economista tedesco, in questa intervista d'addio quale membro del Consiglio di Esperti economici del governo tedesco, analizza la politica finanziaria del suo governo. "Nessun Paese lascia tanto potenziale inattivo."

Articolo tratto dalla rivista Handelsblatt e pubblicato il 08.02.2019.


Articolo originale di Martin Greive e Donata Riedel dal titolo:

Il consigliere economico Peter Bofinger invita il governo federale a lanciare un grosso programma di investimenti. "Lo Schwarze-Null pensiero (pareggio di bilancio) è un grosso problema. Sarebbe abbastanza se mantenessimo il nostro debito costante in termini di Prodotto Interno Lordo. Con una crescita nominale del 3% potremmo quindi investire circa 60 miliardi di euro in più all'anno. 60 miliardi! " ha affermato Bofinger ad Handelsblatt.
"Con i soldi potremmo sostenere il trasporto ferroviario, il traffico locale, l'espansione della banda larga, l'istruzione o la costruzione di alloggi sociali", ha detto ancora Bofinger.
"Non conosco un paese che ha tanto margine finanziario quanto la Germania ed allo stesso tempo lascia così tante opportunità di sviluppo."
Bofinger non ritiene vi siano problemi nemmeno con il fatto che tali spese significherebbe la rottura del freno all'indebitamento (Schuldenbremse). Ad una precisa domanda su questo aspetto ha risposto: "Sì, e allora?"

Bofinger è invece critico verso la proposta della SPD per aumentare il salario minimo a 12 euro l'ora. "Non suggerirei 12 euro, sarebbe troppo rischioso per me. Ma penso che sarebbe giusto muoversi più velocemente verso 10 euro ".

Bofinger ha anche criticato la sua stessa professione. Il problema dello Schwarze-Null (pareggio di bilancio) e la mancanza di una strategia di politica industriale "è ampiamente trascurato dagli economisti tedeschi, perché non si può incolpare la politica".
Bofinger si ritirerà dal suo incarico di Consigliere Economico del governo alla fine di febbraio (prima di questa pubblicazione), dopo 15 anni.


L'intervista completa

Signor Bofinger, dopo 15 anni Lei lascerà l'incarico di Consigliere economico. Cosa le mancherà di più?
Soprattutto il dialogo stimolante e la buona atmosfera con i colleghi. Anche se spesso non siamo d'accordo in termini di contenuto, ci siamo capiti molto bene nei nostri rapporti personali.

La collaborazione con i colleghi è cambiata molto durante gli anni?
Sì, certo. L'inizio è stato molto gelido. Il primo anno si è concluso con un contrasto, perché il mio collega Wolfgang Wiegard aveva detto ai media poco prima di fine anno che non poteva lavorare con me e si sarebbe quindi dimesso da presidente. Con il senno di poi devo dire che è stata anche colpa mia. All'inizio ero abbastanza irruente e chiedevo una completa riorganizzazione del Consiglio di Esperti. Non è stato particolarmente abile da parte mia.

E il lavoro vero e proprio?
Nei primi tempi non c'erano limitazioni, solo le prime analisi erano estremamente laboriose. Poi è migliorato.

Sono ancora utili queste relazioni annuali? Non avrebbero più senso più brevi e frequenti?
Sì, ovviamente. Tuttavia, per noi, l'attività nel Consiglio di esperti non è un lavoro a tempo pieno, ma un'attività ausiliaria. Se scrivessimo rapporti più spesso dovremmo trovare il tempo necessario durante l'anno, il che non sarebbe facile.

Le relazioni annuali riciclano ripetutamente le stesse posizioni. Uno sguardo a temi attuali non avrebbe più senso?
Abbiamo già provato a raccogliere argomenti attuali. Nell'ultimo rapporto abbiamo esaminato il mercato immobiliare, la digitalizzazione, i saldi delle partite correnti, la Brexit, la migrazione ...

Nel Consiglio degli Esperti economici è stato spesso detto: Bofinger contro gli altri. Quale dei voti da Lei espressi in minoranza si pente?
Nessuno.

Quale ha avuto più successo?
Ho detto chiaramente prima dell'introduzione del salario minimo che funzionava senza innescare effetti negativi sull'occupazione. Contrariamente alle paure degli altri, la mia affermazione è stata convincente. Il salario minimo non era un tuffo nell'acqua fredda. C'erano in precedenza salari minimi in alcuni settori ed esperienze dall'estero.

Il salario minimo orario può salire a 12 euro, come richiede Olaf Scholz (ministro delle finanze)?
Nella Commissione sul salario minimo c'è un aspetto errato nella sua composizione: che solo i datori di lavoro e i sindacati decidono, entrambi i quali hanno un interesse per un salario minimo piuttosto basso. Perché i sindacati preferiscono sostenere i loro contratti economici collettivi. Ora è appena cresciuto del 2% in due anni. Questo è chiaramente troppo poco. Non consiglierei 12 euro, sarebbe troppo rischioso per me. Penso che sarebbe giusto muoversi più velocemente verso 10 euro.

Quale tema ha principalmente sottovalutato il Consiglio degli esperti durante il Suo mandato?
Il duro crollo durante la crisi finanziaria del 2008. E poi gli effetti sull'occupazione della recessione che abbiamo completamente sovrastimato. Semplicemente non abbiamo visto quanto bene la riduzione di orario poteva risultare efficace in questi tempi di orari di lavoro flessibile. E' stato sensazionale! Secondo la dottrina economica prevalente avremmo dovuto avere un'enorme disoccupazione.

Anche nella ripercussione della crisi finanziaria in quella dell'euro eravate in ritardo ...
Ma lo erano tutti. Nell'autunno del 2009 non abbiamo visto cosa stava accadendo in Grecia. Guardando indietro, si può chiaramente vedere che Grecia, Portogallo e Spagna avevano accumulato enormi disavanzi delle partite correnti. Come quasi tutti gli analisti abbiamo trascurato che i deficit della Grecia non erano mai corretti in tempo reale. La bolla del credito immobiliare in Spagna avrebbe potuto essere diagnosticata anche nel 2007, i numeri erano tutti disponibili. Probabilmente è perché la dimensione monetaria, cioè quella dei mercati finanziari, è sottoesposta nell'economia.

Ancora oggi, nonostante la crisi finanziaria?
Sì, ancora. I libri di testo standard ignorano ancora la capacità delle banche, in linea di principio, di fare soldi illimitatamente. Descrivono le banche come semplici intermediari che trasferiscono il capitale dal risparmiatore all'investitore e utilizzano modelli che dipingono il sistema finanziario per una 'economia del grano'.

Quindi la prossima crisi è inevitabile ...
Beh, ci sono esperti che osservano i cicli del credito molto accuratamente.

Condivide l'impressione che il Consiglio di Esperti abbia perso importanza?
Oh, questo lo sento da 15 anni. Se questo è sempre l'argomento, non può essere così completamente privo di significato.

Se potesse riformare il Consiglio, come lo cambierebbe?
Questo potrebbe sorprenderla ora, ma penso che come è attualmente non sia così male. Un vantaggio è l'indipendenza. Il Consiglio di Esperti economici è quindi una specie di associazione dei consumatori per la politica economica.

Quando si è insediato, è stato descritto "l'ultimo keynesiano della Germania". E' ancora così?
Non era del tutto vero neanche allora. Oggi ci sono alcuni colleghi tra i più giovani come Tom Krebs, Achim Truger o Marcel Fratzscher, per i quali il pensiero keynesiano è molto marcato.

Cos'è il keynesianismo oggi?
Questo può essere spiegato bene con riferimento alla crisi finanziaria. Quello che abbiamo vissuto da allora è stato Keynes puro. Dopo la massiccia recessione economica le banche centrali hanno tagliato i tassi di interesse in maniera massiccia e la politica fiscale è andata a tutto gas. Funzionava come nei libri di testo. Sfortunatamente, la zona euro è stata rallentata troppo presto a causa della crisi dell'euro, quindi c'è stata una seconda recessione. Con l'aiuto di Mario Draghi è stato possibile abbandonare le dure politiche di austerità dal 2014 facendo sì che l'economia riprendesse slancio. Quando gli economisti più giovani chiedono che abbiamo bisogno di nuovi paradigmi, mi sento come un vecchio nonno quando dico: in realtà, alcuni dei vecchi paradigmi non sono poi così male.

La gestione della crisi finanziaria potrebbe non essere stata negativa. Ma è d'accordo che la Germania in seguito non abbia usato la ripresa economica per le riforme?
No. Forse è giusto che non abbiamo fatto tante riforme se gli ultimi anni hanno dimostrato che anche un'economia con una buona sicurezza sociale può avere successo. Il salario minimo ha funzionato, la pensione a 63 anni non ha avuto effetti devastanti, dalla riforma della protezione dal licenziamento illegittimo nessuno ne parla più. Ma ciò che manca è un'idea creativa per un Paese che è dipendente dal mercato globale quasi come nessun altro. Sono molto preoccupato per questo, specialmente per quanto riguarda la Cina.

Perché?
La Cina persegue una strategia molto chiara: la Repubblica Popolare sta promuovendo fortemente le aree in cui la Germania è forte, industria avanzata e alta tecnologia. Anche la Cina sta investendo molto nell'elettromobilità. Allo stesso modo la Cina è molto più avanti nella digitalizzazione. Siemens fa ricerca sull'Intelligenza Artificiale da Pechino. Ci si deve quindi chiedere: cosa si può fare al riguardo?

E cosa si può fare al riguardo?
Non c'è in Germania come in Europa una strategia di politica industriale. Mentre in Europa una fusione tra Siemens e Alstom viene impedita, la Cina ha da tempo unito i suoi produttori di treni in un'unica grande azienda. Proprio come necessita un concetto europeo di mobilità elettrica. E sono necessarie regole chiare per gli investitori cinesi. Se gli investitori cinesi sono autorizzati ad acquistare società tedesche, ciò deve essere possibile allo stesso modo per gli investitori tedeschi in Cina.

Cosa pensa dell'iniziativa di Altmaier (ministro dell'Economia) per una nuova politica industriale?
Questo va nella giusta direzione. Se tuttavia si dovessero mettere le singole imprese sotto la protezione settoriale, dubito. Ma ora è così: facciamo politica industriale per noi stessi, oppure i cinesi la fanno per noi, come è successo nel settore dell'energia solare e per le celle per batterie sarebbe molto preoccupante se non facciamo nulla.

Il modello di esportazione tedesco può ancora essere mantenuto nei periodi di protezionismo di Trump e della politica offensiva della Cina?
Non sono così pessimista riguardo al protezionismo. Credo che Trump ora noti che i suoi dazi agiscano come tasse più alte per i consumatori statunitensi. Ma tuttavia è chiaro, solo l'Europa può negoziare a parità di condizioni con gli Stati Uniti e la Cina. La politica di Trump e della Cina deve essere un campanello d'allarme per rafforzare politicamente l'Europa.

Come?
Abbiamo bisogno di maggiore coordinamento in materia di politica commerciale estera, politica industriale e dell'innovazione, politica ambientale e politica fiscale. Macron ha fatto molte importanti proposte nel suo discorso alla Sorbona, ma sfortunatamente la Germania ha reagito troppo tardi e troppo debolmente.

Ma l'Eurogruppo a dicembre non ha deciso importanti riforme?
Gli argomenti principali non sono cambiati molto. Alla domanda sull'assicurazione europea contro la disoccupazione, non erano nemmeno d'accordo se era necessaria. Su molte questioni, come la creazione di una capacità fiscale o l'istituzione di una regolamentazione in caso di insolvenza per gli Stati membri, le discussioni sono durate a lungo senza successo. L'Italia non sosterrà mai una regolamentazione contro l'insolvenza, che è richiesta principalmente a causa dell'Italia, perché sarebbe la propria tomba.

A differenza dell'Italia, la Germania è finanziariamente solida. La Germania stabilizzerà quindi l'unione monetaria o Berlino dovrà fare debiti per investire di più?
Il pensiero Schwarze-Null (pareggio di bilancio) è un grosso problema. Se manteniamo il freno all'indebitamento e l'economia cresce nominalmente di circa il 3%, il nostro rapporto debito/PIL nel 2030 sarà del 43 percento. Nessun economista può spiegarmi perché questo è significativamente migliore del 60 percento.

Cosa suggerisce?
Sarebbe sufficiente se mantenessimo il nostro debito costante in termini di Prodotto Interno Lordo. Con una crescita nominale del 3% potremmo quindi investire circa 60 miliardi di euro in più all'anno. 60 miliardi! Con i soldi potremmo promuovere le ferrovie, i trasporti pubblici, l'espansione della banda larga, l'istruzione o l'edilizia popolare.

E interromperebbe il freno all'indebitamento (Schuldenbremse).
Sì, e allora? Non conosco nessun Paese che abbia la stessa flessibilità finanziaria della Germania e allo stesso tempo lasci perdere così tante opportunità di sviluppo. E inoltre, i tedeschi amanti della sicurezza avrebbero nuovamente delle obbligazioni più sicure su cui investire.

Lei ha consigliato la politica per molti anni. Ritiene che ci sia sufficiente conoscenza economica nei ministeri se qualcosa va storto?
Sì. Perché il problema dello schwarze Null (pareggio di bilancio) e la mancanza di una strategia di politica industriale sono stati gravemente trascurati, soprattutto dalla scena degli economisti tedeschi, non si può incolpare la politica. Nel frattempo politici come il ministro dell'Economia Peter Altmaier e il capo della CDU, Annegret Kramp-Karrenbauer, affermano che  dobbiamo occuparci del contenzioso con la Cina e con la politica industriale di Trump. Questi temi sono arrivati prima alla politica che nella cerchia degli economisti.

domenica 3 marzo 2019

Economisti tedeschi si interrogano sulla politica del 'freno all'indebitamento' (da Handelsblatt)

Gli economisti tedeschi discutono sulla regola del deficit: mentre alcuni chiedono riforme, altri mettono in guardia contro il ritorno al sentiero del debito.

Articolo tratto dalla rivista Handelsblatt e pubblicato il 26.02.2019.


Articolo originale di Jan Hildebrand e Donata Riedel dal titolo:

Il freno all'indebitamento (Schuldenbremse) è considerato sacrosanto in Germania. Nemmeno il Fondo Monetario Internazionale (FMI) osa mettere in discussione la regola sancita dalla Legge Fondamentale (la Costituzione tedesca). Almeno non pubblicamente.
Gli esperti del FMI, nelle relazioni sulla situazione dei vari Paesi, chiedono regolarmente al governo federale tedesco di spendere più denaro in investimenti e di rinunciare al bilancio in pareggio (schwarze Null), ma nei colloqui diretti con i funzionari governativi questi dubbi su questa politica del Schuldenbremse non sono mai affrontati. Politicamente, il dibattito è semplicemente troppo sensibile. Politicamente è un argomento troppo scomodo.

Oggi non sono degli economisti anglosassoni, che sono sempre stati scettici sull'austerità tedesca, che hanno sollevato la discussione, ma Michael Hüther: "La regola del debito funge da freno per la riduzione delle tasse e degli investimenti. Ci siamo imprigionati." ha affermato ad Handelsblatt il direttore dell'Istituto tedesco di Economia IW (Institut der deutschen Wirtschaft). Ma allo stesso tempo per lui è eccessivo. Ci si deve chiedere, egli dice, se la demonizzazione del debito sia corretta, soprattutto perché oggi non solo i tassi di interesse sono bassi, ma anche i bisogni di investimento del governo sono enormi. "I tempi sono cambiati" ha detto Hüther "Almeno una volta bisogna aprire la finestra".

Altri economisti, come Jens Südekum dell'Università di Düsseldorf, sono d'accordo. Il freno all'indebitamento ha contribuito al risanamento dei conti pubblici, ma: "Nel frattempo ha superato il suo scopo". Ora ostacola la necessaria costante politica di modernizzazione e di crescita. "Ecco perché dovremmo abolirlo di nuovo."

Anche da Marcel Fratzscher, capo dell'Istituto tedesco di Ricerca Economica (DIW - Deutschen Instituts für Wirtschaftsforschung), viene una critica: "Per la Germania il freno all'indebitamento è controproducente perché lascia troppo spazio al governo nei tempi buoni e troppo poco nei momenti difficili".


Gli inizi del Schuldenbremse (freno all'indebitamento)

Il freno all'indebitamento è stato deciso all'inizio del 2009 dalla prima grande coalizione guidata dalla cancelliera Angela Merkel (CDU). Era il momento della grande emergenza di bilancio. L'allora ministro delle finanze Peer Steinbrück (SPD) programmò un disavanzo di 86 miliardi di euro, il debito pubblico totale salì al 80 percento del Prodotto Interno Lordo e quindi ben oltre il limite di Maastricht del 60 percento.

A quel tempo Merkel e Steinbrück decisero di porre un freno al ricorso all'indebitamento modificando la Costituzione. La norma stabilisce ora che al governo federale è consentito prendere in prestito un massimo dello 0,35% del PIL in "normali condizioni di congiuntura economica".
Ai Länder, dal 2020, non sarà consentito il deficit nei normali cicli economici. Il debito dei periodi di calo deve essere ridotto nella fase di ripresa. Quando in seguito a Steinbrück fu chiesto cosa si sarebbe ricordato del suo mandato, disse: "Sarà il freno all'indebitamento. Sono orgoglioso di questo."
Da alcune parti del SPD il freno all'indebitamento era e rimase un argomento controverso. Anche i sindacati considerarono un errore finanziare gli investimenti statali dalle entrate fiscali correnti e non più come in precedenza dall'indebitamento netto.

Dal punto di vista di Lars Feld, membro del Consiglio di Esperti Economici del governo federale, il recente dibattito sul freno all'indebitamento come causa degli anni di debolezza degli investimenti della Germania è un déjà vu. "Nell'attuale discussione vi sono gli stessi argomenti che c'erano quando vi fu l'introduzione del freno all'indebitamento", ha detto ad Handelsblatt. "È stato introdotto perché dagli anni '70 al 2008 non era mai stato possibile ridurre il rapporto debito / PIL in modo sostenibile".
Nei periodi di congiuntura economica positiva si registrava sempre troppo poco consolidamento dopo che l'indebitamento era aumentato nelle recessioni per sostenere l'economia. "Abbiamo praticato Keynes con un braccio solo e questo sarebbe stato il caso senza il freno all'indebitamento" ha detto Feld.


Nessun freno agli investimenti

Lars Feld dissente con veemenza che il freno all'indebitamento sia un freno agli investimenti. "Con le giuste priorità il governo può finanziare anche gli investimenti. La modernizzazione va con tutte le spese ministeriali, se si vuole. Il freno all'indebitamento è più un freno alla riduzione delle tasse ", ha affermato Feld.
Le entrate fiscali, che confluiscono nelle casse dello Stato durante una fase economica positiva, devono essere utilizzate dal governo per ridurre il debito derivante dalla precedente recessione. Se la crescita è superiore alla crescita potenziale, il governo federale deve generare eccedenze nel bilancio corrente.
E le spese finanziate dalle riserve, come quella per i rifugiati, fanno parte del deficit strutturale. Così ha fatto il governo federale nel 2017 sotto la linea del pareggio di bilancio. Tuttavia, secondo le regole del freno all'indebitamento, ha conseguito un deficit strutturale. Ma solo pochi se ne sono accorti al di fuori del Ministero delle Finanze.

Secondo Feld il freno all'indebitamento soddisfa pienamente il suo scopo. "Un tempo le associazioni imprenditoriali chiedevano tagli alle tasse ed i politici maggiori spese sociali. Questo ora si deve bilanciare perché il ricorso a nuovo debito è limitato ", ha dichiarato Feld.


Spesa sociale prima degli investimenti nell'economia

Ma Hüther ed altri economisti ora pongono la domanda se la politica possa efficacemente bilanciare spesa sociale ed investimenti. Tanto più che la politica ha promesso allo stesso tempo di porre un limite ai contributi previdenziali al 40 percento. Ciò dovrebbe portare a un maggiore sussidio dal bilancio federale che già oggi spende circa la metà della spesa Sociale.

Nella realtà della politica bilancio, negli ultimi anni è stato molto più facile per i governi rinviare gli investimenti piuttosto che tagliare i benefici sociali. Di fatto, quindi, gli scettici del freno del debito sostengono che questo ha ritardato gli investimenti pubblici troppo a lungo ed eccessivamente, con la conseguenza che strade e binari ferroviari fatiscenti oggi hanno bisogno di enormi investimenti per il loro ripristino in condizioni di efficienza.

"Il freno all'indebitamento aggrava anche la debolezza dell'investimento pubblico, perché in tempi difficili di solito vengono tagliati prima gli investimenti", ha detto il CEO di DIW Fratzscher. E questo nonostante i tassi di interesse siano ai minimi storici e molti economisti prevedono che rimarranno tali ancora per qualche tempo. Sarebbe quindi conveniente per lo Stato finanziare investimenti attraverso il credito.

Già da lungo tempo il Fondo Monetario Internazionale ha mostrato al governo federale che in queste circostanze gli investimenti finanziati a debito si ripagano perché aumentano la crescita potenziale. Al contrario, la Germania negli ultimi anni ha ecceduto nel freno all'indebitamento: dal 2014 il governo federale non ha emesso nuovi debiti.

Il capo dell'istituto IW Hüther non vuole comunque tornare alla vecchia regola, secondo la quale il deficit non dovrebbe essere più alto dell'investimento. Ha in mente un budget speciale statale per gli investimenti. Questa spesa dovrebbe quindi essere finanziata dal debito.

Anche il capo dell'istituto DIW Fratzscher è favorevole ad una riforma.
"Il freno all'indebitamento dovrebbe essere sostituito da una saggia regola di spesa nominale che leghi strettamente la spesa statale alla performance economica", ha affermato Fratzscher. "Inoltre, il governo federale dovrebbe introdurre una regola per gli investimenti che garantisca che lo Stato non sprechi risorse pubbliche, ma investa adeguatamente in infrastrutture pubbliche".

Lars Feld, che dirige l'Istituto di Friburgo Walter Eucken orientato alla politica ordoliberale, è al contrario convinto che i progetti di investimento non sono implementati soprattutto perché la resistenza di singoli gruppi di popolazione è spesso molto alta. Egli suggerisce di guardare per ciascun progetto da cosa è bloccato o rallentato.
In ogni caso, un ritorno alla vecchia via del ricorso al debito è considerato pericoloso da Feld. "Nel contesto dell'invecchiamento della società, la Germania non può permettersi un debito nazionale in crescita dinamica. Questo cambiamento demografico inizierà a verificarsi dal 2020 con l'ondata di pensionamento di coloro nati all'epoca del baby boom" ha detto.

domenica 19 agosto 2018

Perchè difendo i Benetton

Oliviero Toscani ha affermato che "gli Italiani sono un popolo di frustrati e infelici pieni di cattiveria e livore."
Concordo.
Sono anni che una parte consistente della popolazione cerca un soggetto verso cui scaricare le proprie insoddisfazioni. Una volta la UE, una volta la Germania, una volta i migranti (in particolare quelli provenienti dall'Africa). Oggi una famiglia che ha la 'colpa' di detenere il pacchetto azionario di maggioranza relativa di una società che a sua volta detiene la quasi totalità delle azioni della società che gestisce gran parte della rete autostradale italiana.

Premessa: io non ho mai condiviso l'assegnazione a privati della gestione delle autostrade ed in merito alla tragica vicenda se verranno accertate gravi responsabilità da parte di chiunque costoro meriterebbero l'ergastolo! Ma solo dopo un regolare e civile processo che stabilisca al di là di ogni ragionevole dubbio le colpe.

Questo è alla base dello Stato di Diritto!

In questi giorni sono stati scritti fiumi di inesattezze e di affermazioni prive di fondamento, il tutto per alimentare quel clima di rancore, di frustrazione, che caratterizza oramai da tempo la società.
I ponti cadono, purtroppo, non è sempre possibile prevenirlo. Gli interventi di manutenzione sono indispensabili, fondamentali, ma non sufficienti ad impedire un loro collasso. I fatti ci dicono che non c'è differenza tra opere sotto il diretto controllo pubblico e quelle gestite da società private. A marzo dello scorso anno crollò un ponte lungo la A14, tratta gestita da Autostrade per l'Italia, provocando 2 vittime. A ottobre del 2016 però crollò un cavalcavia causando una vittima lungo la statale 36 del Lago di Como, strada gestita dall'Anas e sempre di competenza Anas un altro cavalcavia nel cuneese lungo la tangenziale di Fossano nell'aprile del 2017, fortunatamente senza provocare vittime ma schiacciando una vettura dei Carabienieri. Di competenza Anas anche il viadotto crollato in Sicilia sulla statale 121 poco dopo l'inaugurazione nel gennaio 2015.
E questi solo per citare gli episodi più recenti e sempre rimanendo in ambito nazionale perché se si guarda anche all'estero i ponti - ahimè - crollano dappertutto. E non perché azionista della società che li ha in gestione è un privato e di nome fa Benetton.

In questi giorni si sono affacendati soggetti che fino al giorno prima non sapevano nemmeno cosa fosse uno strallo oppure attraverso quali strumenti - e come - sia possibile determinare le condizioni della infrastruttura ma che ha già sentenziato cause e responsabilità. La Procura competente stessa si affiderà ad un gruppo di esperti, ma per il governo in carica non si può attendere che costoro svolgano le indagini e determinino le eventuali responsabilità, serve un colpevole! Uno da dare in pasto alla folla che chiede, anzi pretende, la testa di qualcuno.
Alcuni ministri hanno parlato di 'difesa degli interessi e della sicurezza' del popolo. Dicono di parlare a nome del popolo. I Benetton non fanno parte del popolo? Per loro no. Se fate caso tra le righe delle loro affermazioni si noterà che per costoro il popolo è costituito da quelli che stanno al livello inferiore della condizione economica. I benestanti e ancor di più coloro definiti ricchi sono al di fuori. Sembra di essere tornati indietro di decenni alle famigerate lotte di classe.
I Benetton quindi sono responsabili non perché amministratori della società che ha in gestione le autostrade, ma in quanto azionisti di un terzo scarso di quella che possiede l'88,06% della concessionaria.

Ecco piovere una raffica di inesattezze a cominciare dal presunto 'regalo' che sarebbe stato fatto loro dal governo Prodi nel 1999 che decise di trasferire a privati la gestione fino ad allora di competenza dell'IRI. Un 'regalo' da 2,5 miliardi di euro, per l'esattezza 4.911 miliardi di lire, per acquistare nemmeno la maggioranza assoluta, bensì il 30%. Una cordata via società Schemaventotto capitanata dal gruppo Benetton attraverso la società Sintonia e che includeva Acesa (ora Abertis), Fondazione CRT, UniCredito e Assicurazioni Generali. Gli unici a presentarsi. In seguito vi fu una regolare scalata via OPA (Offerta Pubblica di Acquisto) che permise di raggiungere la maggioranza assoluta. Una parte del pacchetto azionario fu poi venduto e la società controllante cambiò denominazione in Atlantia, della quale il gruppo Benetton detiene oggi il 30,25% e che a sua volta questa detiene l'88,06% di Autostrade per l'Italia, società che compensa egregiamente gli azionisti ma anche lo Stato attraverso le imposte ed i diritti di concessione (ad oggi quasi 900 milioni, 885 milioni nel 2017).

Ora, che si contesti la gestione, il livello di condizione delle autostrade, il fatto che il costo del pedaggio sia elevato o che i margini di profitto siano eccessivi ci sta e personalmente mi trova d'accordo sebbene non so quanto meglio potrà essere la gestione o quanto meno cari possano risultare i pedaggi se la competenza tornasse allo Stato, ma addebitare già ora la morte di decine di persone ad una criminale sottovalutazione dello stato delle condizioni dell'opera ai massimi vertici della società, prima ancora di determinarne le cause del crollo o addirittura incolpando anche e solamente coloro che detengono il pacchetto di maggioranza della società che a sua volta possiede quello della concessionaria, è davvero inconcepibile, soprattutto quando il governo per bocca del suo premier afferma che "non possono attendere i tempi della Giustizia".
Il 'popolo' ha una testa, il popolo è soddisfatto.

Concludo citando il commento di una imprenditrice veneta dopo aver visto i funerali di ieri:
"Per me quegli applausi sono solamente la conferma che il popolo sceglie Barabba. Sempre."