mercoledì 30 agosto 2017

Perché i "minibot" proposti dalla Lega sono un bluff

Recentemente ha avuto diffusione la proposta della Lega per mano del suo responsabile economico, Claudio Borghi Aquilini, dei cosiddetti minibot, una sorta di moneta parallela che avrebbe l'obiettivo di aumentare i consumi attraverso un incremento della quantità di moneta in circolazione senza però passare dalla Banca Centrale Europea e dai vincoli ai quali essa è tenuta a rispettare. Come si sa l'emissione di moneta, e non riferita alle sole banconote, è di sola competenza della Banca Centrale Europea, ciascun governo dell'Eurozona può emettere titoli di Stato (BOT, CCT, BTP etc...) a fronte del deficit di bilancio da coprire e dei titoli in scadenza da rinnovare, ma non può emettere moneta, cioè banconote.
Quello che propone Claudio Borghi è l'emissione di una sorta di obbligazioni come i BOT, cioè privi di cedola, del valore nominale tra 5 e 100 euro e renderli scambiabili tra i cittadini come fossero normali banconote in euro con rapporto 1 a 1 con l'euro stesso.

Questi titoli verrebbero inizialmente utilizzati dallo Stato per pagare i creditori degli enti pubblici a fronte di commesse eseguite e per le quali attendono ancora il pagamento. Questi titoli danno poi la possibilità al possessore di pagare imposte e contributi sociali dovuti allo Stato e come scritto precedentemente possono essere scambiati tra i cittadini, i quali quando lo ritenessero opportuno li consegnerebbero allo Stato per pagare il controvalore di tasse, imposte e contributi sociali.

La proposta al momento è alquanto lacunosa, superficiale, tanto che non c'è un documento che la descriva negli opportuni dettagli, infatti si può solo fare riferimento ad uno storify dello stesso Claudio Borghi qui. Per il resto ci sono interviste, video ed articoli dei quali si dovrebbe procedere a fare una serie di collage per capire man mano qualche dettaglio in più.
In ogni caso da quello che si può sapere si tratta di una proposta del tutto priva di senso, ridicola ed utile solo ad ingannare i cittadini. Vediamo il perché.

Questi titoli-banconota dovrebbero essere consegnati alle aziende creditrici delle amministrazioni pubbliche e già qui vorrei proprio vedere la parte pratica: consegnare valigie di minibot di vario taglio per pagare ad esempio importi di decine o centinaia di migliaia di euro di controvalore. Anche ammesso di usare solo il taglio da 100 euro a fronte di una fattura ad esempio da 30.000 euro servono comunque 300 di questi minibot. Fattibile certo, ma un po' ridicolo.
Ma non è qui l'aspetto controproducente, questo viene dopo.
Questi minibot possono essere utilizzati per pagare oneri fiscali e contributivi ed è logico pensare che vengano utilizzati in forma prioritaria, cioè se ho da versare ad esempio 10 mila euro di IVA e posseggo 4.000 euro in minibot utilizzerò prima questi ed il saldo lo verserò in euro.

E qui casca l'asino!
Vediamo le ripercussioni per le casse pubbliche con un esempio. Supponiamo in via esemplificativa che le entrate statali (di tutte le amministrazioni pubbliche) siano pari a 100 miliardi di euro e le uscite a 102 miliardi, quindi con un deficit pari a 2 miliardi (tralasciamo il valore del PIL che in questo ambito non interessa), e che si abbia un debito verso i fornitori di 10 miliardi di euro che il governo vuole onorare usando questi minibot.
Il Tesoro pertanto emette e consegna questi titoli ai fornitori per l'intero ammontare: 10 miliardi (si è detto che il rapporto è di 1 a 1 con l'euro).
Ora, cosa accadrà man mano che i fornitori dovranno versare tasse, imposte e contributi a prescindere da un eventuale scambio tra privati di questi minibot? Che li useranno come scritto precedentemente in forma prioritaria per pagare tutto o parte del dovuto saldando l'eventuale differenza con normali euro.

Lo Stato (tutte le amministrazioni pubbliche nel suo compesso) quindi si ritroverà a ricevere nel periodo (esercizio) successivo entrate sì, contabilmente, pari a 100 miliardi di euro ma costituite da 90 miliardi in euro e 10 miliardi in minibot. Le spese saranno 102 miliardi ma il deficit non sarà più di 2 miliardi bensì di 12! Questo perché i minibot incassati valgono a quel punto "zero" per lo Stato. Questo se non intende riemetterli nuovamente e ripetere il circolo che diventerà così vizioso.

Qualcuno potrà obiettare che a fronte di una crescita economica le entrate possono aumentare e invece di avere 90 + 10 miliardi di entrate queste possono diventare ad esempio 95 + 10 = 105 mld. Certo, ma anche le uscite nella realtà aumenteranno e comunque non cambia il senso di questa mia obiezione: l'emissione di minibot aumenterà il deficit reale, il bilancio contabile è solo un dato apparente!

E l'asino cade due volte!
Qui arrivo ad illustrare la completa inutilità di questa ridicola proposta: i minibot sono inutili in quanto già ci sono i BOT (Buoni Ordinari del Tesoro) che possono essere usati e che non contravvengono i limiti dei trattati europei. Questi infatti vietano la concessione di scoperti o prestiti ad enti pubblici da parte delle autorità monetarie, ma non vietano assolutamente ad un governo di pagare una fattura usando obbligazoni sovrane e quindi ad esempio gli attuali BOT, BOT che vengono oggi collocati tramite asta pubblica non perché è richiesto da particolari norme ma per una semplice ragione finanziaria: chi ti presta denaro per un certo tempo (anche fosse qualche mese) vuole in cambio un premio, un interesse! Ma a fronte di una fattura per la quale il fornitore chiede solamente pari importo, l'amministrazione pubblica debitrice può tranquillamente pagare tramite questi titoli che, come i minibot proposti, sono al portatore quindi possono essere trasferiti tranquillamente tra privati prima di essere rimborsati. L'unica differenza è che i BOT hanno una scadenza prefissata (3, 6 o 12 mesi) mentre i minibot no, verrebbero onorati alla presentazione. Ma questo è un dettaglio irrilevante dato che come già scritto il possessore li utilizzerebbe non appena sia possibile in luogo degli euro veri e propri.
Il racconto poi che vorrebbe questi titoli scambiati come fossero banconote, alla pari degli euro, così da incrementare i consumi regge poco. Attualmente ci sono ad esempio in circolazione i buoni pasto, gli sconti prodotto al portatore emessi dalle rispettive aziende produttrici ed altri similari, eppure quanti di voi hanno scambiato questi con altre persone?

Insomma, immaginare che questo strumento possa servire ad aumentare i consumi è pura illusione, aumenterà o manterrà invece il deficit pubblico al medesimo livello. E comunque è proposta inutile dato che lo Stato ha già, come visto, gli strumenti per pagare i fornitori, oltre alla possibilità, non consigliata, di infischiarsene dei vincoli europei e procedere ad aumentare a propria discrezione la spesa pubblica e quindi il deficit. Le sanzioni sono di importo inferiore a quanto si otterrebbe, ma il problema non sarebbe quello bensì la reazione dei mercati per i quali la fiducia ed il rispetto delle regole sono fattori fondamentali, questo Claudio Borghi, che ha lavorato in ambito finanziario per una banca importante, dovrebbe saperlo.

mercoledì 16 agosto 2017

BCE-Corte Costituzionale Federale di Karlsruhe, una pantomima tedesca

Martedì scorso la Corte Costituzionale Federale della Germania ha inoltrato alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la richiesta di verifica di legittimità del programma di acquisto di titoli pubblici ed obbligazioni private operato dalle banche centrali dell'eurosistema per conto della Banca Centrale Europea, in sostanza l'attuale Quantitative Easing. E' una richiesta già presentata in passato sulla base sempre di obiezioni provenienti dalla Germania alla quale la Corte di Giustizia dell'Unione Europea con sede in Lussemburgo ha risposto che tale programma di 'allentamento quantitativo' è del tutto legittimo. Insomma siamo alla reiterazione di una pantomima tedesca che va contestualizzata nella attuale campagna elettorale in corso, in vista delle elezioni federali di Ottobre.

Ma per comprendere la questione occorre fare delle premesse. Una è quella appunto delle elezioni che comportano da parte delle forze politiche di opposizione di appellarsi a qualsiasi argomento pur di fare presa sull'elettorato e, come avviene anche in Italia, anche in Germania tra i temi più sentiti vi sono quelli dell'immigrazione, della sicurezza ed appunto della situazione economica, in particolare la politica monetaria condotta dalla Banca Centrale Europea che secondo molti tedeschi metterebbe a rischio i loro risparmi ed i rendimenti degli investimenti.
A riprova di questo - ingiustificato - diffuso timore una chicca: ogni anno la banca centrale tedesca, la Deutsche Bundesbank, apre le porte al pubblico e consente ai cittadini di visitare la sede a Francoforte sul Meno e di porre domande al presidente, che attualmente come sappiamo è Jens Weidmann. Bene, quest'anno l'evento è avvenuto nei giorni 1 e 2 Luglio scorsi ed il primo giorno, sabato 1 Luglio, indovinate quale è stata la prima domanda posta a Weidmann da un comune cittadino?
Esattamente!
Lo si può ascoltare al minuto 4 di questo video da quel signore con gli occhiali nell'immagine sotto che appunto chiede al presidente della Bundesbank chiarimenti circa l'attuale politica della BCE e gli effetti sui risparmi (cliccare sulla immagine per accedere al video):

Incontro del presidente Jens Weidmann con il pubblico 
Si sono poi susseguite altre domande da parte del pubblico, sempre riferite alla politica della BCE, alle quali Weidmann ha sempre risposto con chiarezza cercando di tranquillizzare i timori espressi.
In ogni caso larga parte dell'opinione pubblica tedesca non si stente sicura e tende ad ascoltare i proclami allarmistici di alcuni partiti di opposizione.

Le seconda premessa che occorre fare riguarda la possibilità in Germania, diversamente da quanto ad esempio è previsto da noi, che ogni cittadino possa rivolgersi direttamente alla Corte Costituzionale Federale.
Il ricorso alla Corte di Karlsruhe infatti è stato effettuato non dal governo di Angela Merkel, ma da tre cittadini tra cui due esponenti politici: Bernd Lucke, fondatore del partito Alternative für Deutschland (AfD), e Peter Gauweiler, ex vice presidente della CSU (Unione Cristiano Sociale della Baviera) ed ex parlamentare del Bundestag dimessosi da entrambe le cariche nel 2015 proprio a causa del suo dissenso in merito alle politiche di salvataggi europei. Il terzo è il Prof. Markus Kerber, ex Direttore Generale della BDI (la Confindustria tedesca) e membro dell'associazione Friedrich A. von Hayek-Gesellschaft con sede a Berlino.
I tre sostengono che il rischio che la Germania si starebbe assumendo a causa di questa politica monetaria sarebbe troppo alto e hanno quindi chiesto alla Corte di Karlsruhe (dove ha sede la Corte Costituzionale Federale tedesca) di intervenire bloccando il Quantitative Easing o in alternativa di obbligare la Bundesbank a non partecipare più al programma.

Per quanto riguarda la legittimità del programma da parte della BCE, la Corte di Karlsruhe non ha potuto fare altro che rivolgersi a quella di competenza: la Corte di Giustizia dell'Unione Europea dato che riguarderebbe la presunta violazione di un articolo del Trattato dell'Unione Europea, quello sul divieto di finanziamento agli Stati: art.123 (ex art.101 TCE):
  1. Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate "banche centrali nazionali"), a istituzioni, organi od organismi dell'Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.
  2. Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell'offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati.
L'esito di questa richiesta è praticamente scontato, in virtù della precedente sentenza del 2015 che dava piena legittimità al programma deciso dalla BCE.

Più controversa, anche se sempre di difficile accoglimento, è la parte che riguarda espressamente la questione interna, ovvero la Costituzione tedesca. Qui occorre spiegare alcuni aspetti per comprendere le ragioni di questo ricorso da parte dei tre esponenti sopracitati ed è una questione che vede coinvolgere più i giuristi che gli economisti, in particolare i costituzionalisti. Devo quindi prenderla un po' alla larga per arrivare al punto centrale in questione.

La Legge Fondamentale della Germania (la Costituzione, qui nella versione in lingua inglese dal sito del Ministero di Giustizia) o Grundgesetz in tedesco, così come recita anche la nostra Costituzione, prevede che il potere venga esercitato dai cittadini attraverso i loro rappresentanti eletti (art.20 comma 2). Il potere di controllo riguarda anche l'aspetto finanziario e di bilancio, infatti questo deve essere approvato dal Bundestag se federale, e se coinvolge anche gli Stati federati (Länder) anche dal Bundesrat, o dai rispettivi governi se riguarda lo specifico Stato (Land). In sostanza a livello centrale il governo di Berlino non può spendere nulla che non sia approvato dal Bundestag, se ciò avvenisse verrebbe a mancare il principio di potere di controllo o di sovranità da parte dei cittadini, anche se indiretto via loro rappresentatnti in Parlamento (Bundestag). Questo è riscontrabile dagli articoli che riguardano appunto la materia (dal 104a al 115 della German Basic Law).

E' ad esempio questo fattore quello che impedisce alla Germania di accettare gli euro bond, perché questi, che sarebbero emessi da ciascun Paese ma coinvolgendo gli altri quanto a garanzia del loro pagamento a differenza di quelli attuali dei quali è responsabile il solo governo che li emette, costringerebbe in sostanza a concedere un assegno in bianco a fronte di un eventuale mancato pagamento. In pratica, se ad esempio un Paese non procedesse al pagamento di un titolo da questi emesso, sarebbero chiamati gli altri a farlo in ragione della propria quota di appartenenza dove la Germania ha quella più alta, ma non potendo stabilire a priori l'ammontare il governo di Berlino si troverebbe a dover pagare un conto non autorizzato dal Bundestag e quindi in violazione dei principi costituzionali vigenti.
Altra questione sono invece i fondi salvastati, rispettivamente l'ex EFSF e l'attuale ESM. In questo caso l'ammontare a carico di ciascun Paese membro era precedentemente preventivato e per la Germania sottoposto all'approvazione del Bundestag. Nel caso del ricorso contro il fondo permanente ESM ad esempio, la Corte di Karlsruhe ha sentenziato che esso non viola la Legge Fondamentale ma ha stabilito che in caso di prossime richieste da parte di questo, circa interventi finanziari, questi devono di volta in volta essere autorizzati.
In sostanza il Bundestag ha approvato a suo tempo la partecipazione della Germania al fondo ESM con il conseguente impegno nominale (190 mld di euro a fronte del 27% circa di quota di competenza, dei quali 21,7 mld già versati a fronte del capitale iniziale di funzionamento). Se in seguito il fondo dovesse chiedere altri interventi che rientrano nella cosiddetta quota callable (cioè la parte rimanente pari a 190 - 21,7 mld. = 168,3 mld circa) la Corte di Karlsruhe ha sentenziato che questi devono essere di volta in volta approvati dal Bundestag.


A questo punto si giunge all'obiezione in questione: l'attuale programma di acquisto deciso dalla BCE ed attuato dalle banche centrali nazionali, tra cui la Bundesbank, hanno una possibile ripercussione sul bilancio tedesco e violano le norme costituzionali?
Personalmente faccio fatica ad accogliere una obiezione di questo tipo ma non sono un costituzionalista e quindi la mia è solo una semplice opinione, come opinione è che finirà tutto in una bolla di sapone dal sapore puramente elettoral-propagandistico.
Oggi, tra l'altro, proprio il Ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble ha dichiarato che la BCE non sta oltrepassando i limiti del proprio mandato!

lunedì 14 agosto 2017

Come sta la Spagna?

La Spagna viene spesso tirata in ballo da parte sia di chi vuole sottolineare l'efficacia sull'economia delle riforme strutturali che vengono caldamente sollecitate dall'Unione Europea (ma non solo) oppure, viceversa, dai detrattori di queste nonché delle politiche economiche e monerie della UE stessa cercando tra i dati elementi a sostegno della tesi di come queste siano controproducenti.
Ma ad oggi, senza schierarsi da una parte o dall'altra, quale è lo stato di salute dell'economia spagnola nel suo complesso?
Come sappiamo l'economia mondiale ha subito recentemente vistosi cambiamenti ed analizzare l'andamento di una nazione considerando un orizzonte temporale di lungo termine (oltre 5 anni) è a mio avviso controproducente. In questo arco di tempo troviamo quasi per tutti andamenti altalenanti con una situazione peggiorativa che segue la crisi del 2008 ed una seconda dopo il 2011. Ritengo quindi più esemplificativo analizzare un periodo di medio termine, ovvero degli ultimi tre anni: dal 2014 al 2016.

Prodotto Interno Lordo e suoi principali aggregati
Il Prodotto Interno Lordo a prezzi costanti della Spagna è cresciuto sensibilmente negli ultimi 3 anni:

- 2014..... +1,4%
- 2015..... +3,2%
- 2016..... +3,2%

Fare considerazioni senza entrare nel dettaglio può portare facilmente ad errate valutazioni, pertando partendo dalla famosa identità macroeconomica:

Y = C + I + G + (X -M)

dove:
Y è il Prodotto Interno Lordo
C sono i consumi delle famiglie
I sono i consumi delle imprese (investimenti)
G la spesa delle amministrazioni pubbliche
X le esportazioni
M le importazioni

vediamo l'andamento di ciascuna variabile durante questo triennio. I dati qui sotto rappresentati sono di fonte Banca Centrale Spagnola (Banco de España) e, attenzione, a prezzi di mercato:


Dai dati così esposti in dettaglio possiamo ora formulare delle valutazioni voce per voce.
  • Consumi delle famiglie: anche al netto dell'aumento dei prezzi che qui può essere valutato considerando il deflatore del PIL (ultima riga), emerge un progressivo incremento dei consumi interni da parte delle famiglie e molto meno da parte delle amministrazioni pubbliche. Infatti l'incremento in termini reali, cioè al netto del deflatore implicito, è stato rispettivamente del 2% nel 2014 (la spesa per consumi delle famiglie nel 2013, non riportata in tabella, è stata pari a 587.697 milioni di euro), del 2,1% nel 2015 e del 2,7% nel 2016.
  • Spesa delle amministrazioni pubbliche: l'incremento di spesa del settore pubblico in termini reali è stato rispettivamente  dello 0,4% nel 2014 (la spesa nel 2013 è stata complessivamente di 201.840 milioni di euro), del 2,7% nel 2015 e dello 0,6% nel 2016.
  • Investimenti: questa voce vede incrementi sensibili, pari rispettivamente al 3,4% nel 2014 (la spesa nel 2013 è stata in valore di 192.371 milioni di euro), del 6,4% nel 2015 e del 4,4% nel 2016.
  • Saldo commerciale con l'estero: nel 2014 la Spagna ha realizzato un avanzo commerciale in beni e servizi pari a 25.071 milioni di euro, nel 2015 per 26.346 mln e nel 2016 per 32.414 mln. Da notare comunque come lo scambio di beni sia in passivo, sebbene in riduzione, mentre risulta in attivo quello dei servizi, ed in incremento, che arriva più che a compensare il deficit precedente.
Riassumendo, si nota come tutte le voci siano in crescita, a livelli accettabili la spesa per consumi delle famiglie, moderata o contenuta quella delle amministrazion pubbliche, sostenuti invece - come dovrebbe essere - gli investimenti e buono anche l'avanzo commerciale sebbene non rilevante (2,9% del PIL nel 2016).

Mercato del lavoro
Insomma l'economia spagnola è in salute e questo si ripercuote anche sul mercato del lavoro con i dati di occupazione:


e disoccupazione:



La disoccupazione è scesa dal 25,93% di inizio 2014 al 17,22% del II trimestre di quest'anno, complessivamente i disoccupati si sono ridotti di poco più di 2 milioni di unità in due anni e mezzo e che si sono trasformati quasi tutti in occupati: 1.863 migliaia.
C'è chi fa notare - a ragione - che guardando le forme contrattuali la maggior parte di questi incrementi ha interessato quelli a tempo determinato su quelli a tempo indeterminato, in ogni caso il progressivo aumento degli occupati fa ritenere che questi poi si siano trasformati come stabili una volta che le aziende hanno potuto vedere che la crescita economica è solida e non temporanea. Inoltre è da notare che il 90% dei contratti è a tempo pieno e solo il resto part-time:


Costo del lavoro e retribuzioni
Guardiamo ora l'andamento delle retribuzioni e del costo del lavoro da una tabella recente pubblicata sempre dalla Banca Centrale di Spagna:


E' evidente come i salari (wages) non abbiano visto una sostanziale crescita, ma questo è del tutto spiegabile dal fatto che l'economia spagnola si è venuta a trovare in una crisi pesante che ha portato la disoccupazione a livelli elevati quindi è comprensibile come nella fase di ripresa i salari rimangano pressoché allo stesso livello oppure in alcuni casi, come in quello delle costruzioni, subiscano un calo dovuto al ridimensionamento del settore dopo la bolla immobiliare di alcuni anni fa.
Ritengo che questa situazione, se il trend di crescita economica e quindi anche dell'occupazione rimane costante, durerà ancora poco ed a breve si assisteràad una crescita anche dei salari.
Si noti come il costo sia del lavoro che dei salari per ora lavorata veda un calo sostanziale in questa prima fase del 2017 (oltre il 4% rispetto al trimestre dell'anno precedente) e questo è determinato da un aumento della produttività, non da un calo dei salari che invece vedono un incremento dello 0,8% rispetto allo stesso trimestre dell'anno precedente nell'industria a fronte di riduzioni del 1% nelle costruzioni e dello 0,3% nei servizi.

Conti pubblici
Una delle critiche che vengono talvolta mosse alla Spagna è che usufruisce su concessione delle autorità europee (la Commissione UE) della possibilità di effettuare deficit di bilancio rilevanti grazie ai quali può sostenere la ripresa. Allora, è vero che la Spagna ha avuto deficit più alti di altri Paesi, Italia in primis, ma occorre fare alcune osservazioni nel merito e non fermarsi grossolanamente ai dati finali.
Intanto il deficit è in progressivo e sensibile riduzione e così il livello del debito complessivo rispetto al Prodotto Interno Lordo, poi va fatto notare ai fautori dell'utilità della spesa pubblica che la Spagna ha un livello di questa rispetto al PIL notevolmente inferiore al nostro quindi se fosse vero che a maggiore spesa pubblica corrisponde una maggior crescita dovremmo essere a noi ad andare meglio.

Vediamo comunque l'andamento di entrate ed uscite del bilancio spagnolo negli ultimi due anni:


Risulta ben visibile come il disavanzo pubblico abbia visto una riduzione dai 30,4 mld di euro del 2015 ai 29,3 mld del 2016 grazie soprattutto ad un calo della spesa (Total current and capital uses), riduzione che è molto più accentuata confrontando i semestri Gennaio-Giugno (j-j) 2016-2017 dove si è passati da un deficit conseguito nel periodo Gennaio-Giugno del 2016 di € 21,5 mld a € 13,2 mld nel primo semestre di quest'anno, questo risultato dovuto in egual misura da un aumento delle entrate e da una riduzione della spesa.

Il debito pubblico spagnolo ha già cominciato a calare dal 100% del PIL del 2014 al 99% del 2016 contro quello italiano che invece è passato dal 131 al 132% nello stesso periodo.
Va infine rammentato, a chi guarda ai diversi livelli di deficit concessi, che Spagna e Italia hanno diversi livelli di output gap. Secondo stime del Fondo monetario internazionale la Spagna aveva nel triennio 2014-2016 i seguenti livelli di output gap rispetto al PIL: -6,8%, -4,5% e -2,3% mentre l'Italia rispettivamente: -4,1%, -3,3% e -2,4%. Da qui corrisponde una correzione più accentuata nei conti pubblici da parte della Spagna, come in effetti è avvenuto e sta avvenendo, rispetto all'Italia alla quale è stato appunto sempre richiesto una riduzione del deficit inferiore a quanto chiesto agli spagnoli.

Conclusione
Da quanto visto è innegabile che la situazione dell'economia spagnola sia migliore quanto a performance di crescita e vitalità rispetto a quella italiana, sebbene loro abbiano un livello di disoccupazione ancora sensibilmente maggiore, ma al momento sono sulla giusta strada, contrariamente alla situazione italiana che da un punto di vista migliore vede invece un andamento decisamente fiacco anche se registrando lievi incrementi. Questa valutazione è riscontrabile anche nella fiducia dei mercati che si ripercuote sui rendimenti dei titoli di Stato, al momento inferiori a quelli italiani.
Ciascuno faccia pure le sue personali considerazioni sulle ragioni di questo migliore andamento, lo attribuisca al maggior deficit pubblico di cui ha goduto la Spagna oppure ad una non tanto chiaramente dimostrata riduzione dei salari.
La mia è quella di chi ritiene determinate un peso inferiore del settore pubblico e soprattutto di una sua migliore allocazione delle risorse. Una classe dirigente quindi più consapevole, responsabile e reattiva di fronte alle difficoltà che eventi recenti hanno determinato.


domenica 13 agosto 2017

Flessibilità pericolosa (da Die Zeit del 02.08.2017)

Alcuni giorni fa ho letto un interessante articolo sul quotidiano tedesco Die Zeit che sembra descrivere una realtà italiana, mentre invece analizza nello specifico un fenomeno in atto in Germania come anche negli altri Paesi industrializzati: quella del progressivo aumento del lavoro part-time ed autonomo anche per mansioni che fino ad oggi riguardavano rapporti di lavoro stabili ed a tempo pieno. Questo fattore può creare problemi soprattutto quando non è voluto dai lavoratori ma al contrario sono vittime di un cambiamento del mondo del lavoro soprattutto con l'avvento delle tecnologie digitali ed informatiche.

Questa è la traduzione in italiano:

Flessibilità pericolosa
Minijobber, Clickworker e falsi lavoratori autonomi: le nuove forme contrattuali di lavoro mettono in pericolo lo Stato Sociale.

In Germania come anche in altre nazioni industrializzate il modo e le fome di come le persone lavorano è cambiato radicalmente. Quindici anni fa molte meno persone lavoravano part-time, a tempo determinato, con minijob o autonomamente. Anche il numero di contratti a tempo pieno è aumentato nel recente passato ma l'incremento complessivo di posti di lavoro in Germania è dovuto principalmente ai contratti part-time. Dal 2000 il loro numero è raddoppiato ed oggi costituiscono il 27% degli occupati. Questo cambiamento ha enormi conseguenze per il benessere delle persone, ma anche per il welfare della Germania ed il suo futuro.

Nella fase più recente questo trend vede sempre più persone lavorare nella cosiddetta "economia digitale", prevalentemente nelle piattaforme Internet. Alcuni lavorano come liberi professionisti da casa, altri nei numerosi locali in condivisione che si sono diffusi a Berlino, Amburgo e Monaco di Baviera. Non hanno un lavoro stabile, nessun datore di lavoro fisso e senza orari di lavoro stabiliti.

Alcuni sono chiamati Clickworker e lavorano per coloro che intendono avvalersi delle loro specifiche competenze come sviluppatori sotware, programmatori, gestori di dati, web designer, traduttori o correttori di testi. Molti lavorano allo stesso tempo per più società e per questo devono costantemente destreggiarsi tra lavori diversi. Alcuni lavorano a tempo pieno, altri part-time. Un contratto, un mandato, un progetto, può durare poche ore, giorni o anche settimane.

Anche altre forme professionali sono afflitte da discontinuità, ad esempio nella fornitura di prodotti alimentari, servizi domestici ed immobiliari. Questi settori lavorano oggi con specifiche piattaforme lavorative e ricevono gli ordini dai clienti via Smartphone o attraverso Internet. Questi lavoratori impiegano molto tempo non retribuito nella ricerca del prossimo lavoro ed ottengono in cambio poco in termini di contributi sociali. I compensi variano molto a seconda dell'attività, chi opera nel settore IT può guadagnare molto, altri riescono appena a superare il compenso minimo.

Nel complesso l'occupazione è diventata sempre più complessa. Molti lavoratori cambiano diverse forme di lavoro nel corso della loro vita, da lavoro autonomo a tempo determinato, da tempo pieno a part-time, da rapporto di lavoro diretto a terzista e viceversa. Sempre più lavoratori incrementano le loro entrate con un secondo, terzo o quarto lavoro. Secondo Eurostat il numero di tedeschi che praticano contemporaneamente due lavori è quasi raddoppiato negli ultimi 10 anni: da 1,2 a 2,2 milioni.

Le aziende preferiscono un contratto di lavoro con liberi professionisti così riescono a ridurre il costo del lavoro dal 25 al 30% non dovendo più pagare l'assistenza sanitaria, i contributi pensionistici, per la malattia, le ferie e nemmeno l'assicurazione contro la disoccupazione. Le lavoratrici autonome non hanno diritto al congedo di maternità. Il lavoratore autonomo è tenuto a pagare sia la propria quota di assicurazione sanitaria e sia quella come datore di lavoro e ciò corrisponde ad almeno al 14,6% del reddito. Per alcuni liberi professionisti con redditi bassi la quota può arrivare al 46,5%.

Se così tante forme di lavoro si mescolano diventa complicato l'osservanza delle leggi sul lavoro ed in diverse indagini sono stati riscontrati degli abusi. Molte aziende hanno collaboratori che lavorano per loro però come liberi professionisti, così risparmiano sui contributi sociali e si sottraggono agli obblighi contrattuali di legge dovuti ai dipendenti. In molti casi quindi si tratta di falsi lavoratori autonomi.

Ufficialmente i lavoratori autonomi rappresentano circa il 10% degli occupati ma le ripercussioni sull'economia vanno ben oltre. Il contesto è reso ancora più difficile dal fatto che è più semplice per l'economia digitale lavorare con liberi professionisti e temporaneamente invece che con impiegati stabili. Tuttavia molti leader tedeschi banalizzano questo tema, essi sostengono che la quota di questi Clickworker rispetto al totale della forza lavoro non è grande abbastanza da creare preoccupazione.

I liberi professionisti nel digitale sono difficilmente stimabili, il loro lavoro può essere rilevato a malapena dalla statistica e può essere che le cifre ufficiali siano troppo basse. Secondo uno studio del McKinsey Global Institute il numero di tedeschi che lavorano in forma "indipendente" invece che con tradizionale contratto tra datore di lavoro-dipendente è quasi il doppio di quello stimato dal governo. Ad esempio il numero di Clickworker tedeschi che cerca ordini attraverso la piattaforma americana Upwork è aumentato in soli 9 mesi a Luglio 2017 a 59.000 ed in Luglio questo gruppo ha ricevuto 22.400 ordini. E questo è solo un canale on-line di ricerca di lavoro, ve ne sono decine di altri.

Secono alcuni studi sono tra uno ed i due milioni (dal 2,3 al 4,6% degli occupati totali) i tedeschi che guadagnano grazie a queste piattaforme. Secondo i dati preliminari di un recente sondaggio commissionato dal Ministero Federale del Lavoro, lo scorso anno il 3,1% dei lavoratori hanno conseguito un reddito su queste piattaforme.

Ancora più rilevante è un'altra questione: se questi lavoratori sono impiegati da parte di aziende o privati da altre parti del mondo, i committenti spesso non riportano alle autorità tedesche quanto è stato il compenso ed a chi è andato. E' quindi presumibile che il lavoratore nasconda al fisco una grossa parte di questi redditi. In un rapporto per la Commissione Europea il Prof. Gerhard Bäcker dell'Università di Duisburg-Essen solleva la questione: "Come si può controllare il reddito dei Clickworker?".

E' una domanda difficile. Secondo stime sono circa 4 miliardi di euro l'ammontare evaso al fisco e 600 milioni di mancati contributi. E più lavoratori freelance nel settore digitale trovano lavoro su queste piattaforme e più ammonta la perdita per lo Stato per l'istruzione, i trasporti, la sanità e la transizione energetica (da nucleare a pulita - ndr).

E' molto in gioco. Se la tendenza va verso un maggiore part-time e lavoro autonomo, non nel corretto modo, questo comporta un rischio per il futuro. Non solo una perdita delle entrate per lo Stato Sociale, ma anche il rapporto datore di lavoro-dipendente ed il delicato equilibrio tra solidarietà e partecipazione si disintegrano.

Quello che vale per gli Stati Uniti e per le altre nazioni industrializzate vale anche per la Germania: si devono raccogliere meglio i dati che sono necessari per individuare i molteplici e diversi modi di come oggi le persone lavorano. Inoltre si propone una rete flessibile di welfare che includa anche i lavoratori autonomi fino ad oggi esclusi.
Questo potrebbe avvenire ad esempio estendendo la cassa previdenziale per artisti KSK, originariamente dedicata a quei liberi professionisti che lavorano spesso da casa come gli artisti, i musicisti ed i giornalisti.


(Articolo originale: "Gefährlich flexibel" di Steven Hill, giornalista che vive a San Francisco)

domenica 6 agosto 2017

Autostrade, una manna per le concessionarie, un salasso per gli automobilisti

Estate, periodo di vacanze, di trasferte, di spostamenti per raggiungere le località di villeggiatura e le autostrade sono una delle vie terrestri preferite di percorrenza. Ovviamente vengono utilizzate frequentemente da molti automobilisti anche negli altri periodi per ragioni di lavoro o anche personale per spostarsi velocemente salvo incidenti o blocchi del traffico per incidenti, maltempo o motivi vari. Chiunque le frequenti è consapevole che il costo in Italia del pedaggio non è irrivelante, specialmente se fa un consuntivo della spesa complessivamente sostenuta in un anno.

Ma quanto rendono complessivamente i pedaggi alle società concessionarie?
La rete autostradale italiana è costituita in totale da circa 6.500 Km, di questi 6.000 sono gestiti da 27 concessionarie private e soggette a pedaggo, pedaggio che varia da tratta a tratta in funzione del tipo di infrastruttura, del suo costo di realizzazione, quindi del suo ammortamento nel tempo, e del suo mantenimento. Una autostrada con parecchi ponti, viadotti e gallerie (esempio la A22 del Brennero) avrà un pedaggio superiore rispetto ad una in pianura priva o quasi di queste strutture (esempio la A4 Torino-Trieste). La A1, la prima ad essere stata realizzata, ha oggi un costo basso essendo già ammortizzata per quanto riguarda la realizzazione e quindi il pedaggio ha lo scopo di mantenerne l'efficienza e recentemente di assorbire la variante costruita nel tratto Bologna-Firenze.


Dei 6.003 km circa complessivi, 4.072 km sono a 2 corsie per senso di marcia, 1.807 a 3 corsie e 124 a 4 corsie.
Il pedaggio in Italia è dovuto da ogni mezzo circolante, dai motocicli alle autovetture, dalle corriere ai mezzi pesanti. Complessivamente i pedaggi conseguiti nell'anno 2016 da tutte le concessionarie è stato pari a 7.765 milioni di euro, dei quali 1.397 di IVA e 635 milioni di canone aggiuntivo (fonte AISCAT).
Questo significa che ogni chilometro di autostrada genera un introito annuo di circa 1,29 milioni.

Da una relazione effettuata dalla Banca d'Italia e presentata alla Camera dei Deputati nel Giugno del 2015 è risultato che si è avuto un sostanziale divario nel tempo, nella fattispecie dal 2004 al 2013, tra la crescita degli introiti incassati attraverso i pedaggi e l'aumento dei prezzi (inflazione) ma soprattutto rispetto all'andamento del volume di traffico:


Ma un altro dato è emerso e che è degno di attenzione: la differenza tra gli investimenti programmati e quelli effettivamente realizzati:


Se questo è spiegabile come conseguenza della crisi giunta a fine 2008 che ha comportato una riduzione del traffico rendendo superfluo potenziare la rete, dall'altra però non si spiega come mai i pedaggi siano comunque costantemente aumentati. Infatti, come si vede dalla figura n.2, l'incremento dei pedaggi vede una crescita superiore a quella dei prezzi proprio dal 2008 ed in corrispondenza della riduzione del traffico. Si è quindi portati ad ipotizzare che questo derivi da una volontà di non perdere fatturato a fronte della minore circolazione. Ma si potrebbe ipotizzare a ragione anche una seconda ipotesi, quella della posizione dominante della società concessionaria.

Un confronto internazionale
Prendiamo la Germania come riferimento, non tanto perché è la nazione che spesso usiamo per fare confronti quanto perché ha un sistema diverso dal nostro per l'esercizio della rete autostradale, gestita direttamente dall'amministrazione centrale di Berlino.
Quelli che si sono recati o comunque hanno attraversato la Germania in automobile sanno che le autostrade tedesche sono per loro prive di pedaggio, infatti è previsto solamente per gli autocarri di peso superiore a 7,5 tonnellate. Al momento sono esclusi dal pedaggio anche le corriere.
Il pedaggio in Germania è legato alla distanza percorsa (come in Italia), alla tipologia di appartenenza del veicolo in base al livello di inquinamento prodotto, quindi in funzione alla classe Euro di appartenenza (da categoria A per gli attuali euro 6 alla F per gli euro 0 e 1), ed infine dal tipo di veicolo in base al numero di assi. Le tariffe sono omogenee per qualsiasi tratta autostradale e parte da 8,1 centesimi per chilometro per gli autocarri euro 6 a 2 assi per arrivare a 21,8 centesimi a chilometro per gli euro 0 e 1 a 5 o più assi.
La rete autostradale tedesca è lunga circa 13.000 km, praticamente il doppio di quella italiana. Va precisato che se da una parte avremmo bisogno di qualche tratta aggiuntiva, dall'altra la differente morfologia e conseguente distribuzione sul territorio della popolazione tra i due Paesi fa sì che vi sia una maggiore necessità di rete stradale e autostradale in Germania rispetto all'Italia.

Quanto ammonta l'introito da pedaggi in Germania?
Dal bilancio federale 2017 (fonte Ministero delle Finanze) ci si aspetta una entrata complessiva pari a 4.661 milioni di euro dai pedaggi (nel 2015 si è registrata una entrata complessiva di 4.336 milioni).
Dal lato delle uscite, sempre dal bilancio 2017, si prevede una spesa pari a 2.110 milioni per il mantenimento delle autostrade (Erhaltung Bundesautobahnen) ai quali vanno aggiunti 586 milioni per costi di servizio (Betriebsdienst) e 992 milioni per la gestione dei pedaggi (Straßenbenutzungsgebühr). Tralasciando le uscite per investimenti futuri e progetti vari si arriva ad una spesa complessiva di 3.688 milioni.
Occorrerebbe tenere in considerazione anche questi ultimi costi ma i loro importi, considerando che sono distribuiti su più esercizi, non comportano variazioni di rilievo, si può ipotizzare che le uscite complessive  arrivino ad essere di circa 4 miliardi annui.

Il dato relativo alle entrate ci dice che il costo da parte di chi è tenuto a pagare il pedaggio e quindi i relativi introiti dello Stato centrale ammontano a circa 359 mila di euro per chilometro contro i nostri 1,29 milioni!
Questa differenza era già evidente nella relazione prima citata della Banca d'Italia e che riporta un confronto datato 2011:


Da questa tabella emerge che il pedaggio medio più caro per chilometro di tratta autostradale era (e forse è ancora oggi) in Francia mentre l'Austria seguiva l'Italia non tanto distante.
Nella stessa relazione viene sottolineato che se negli anni successivi all'arrivo della crisi del 2008 e fino al 2012 (ultimo anno rilevato) si è registrato un calo dei pedaggi conseguiti, dall'altra la redditività è rimasta comunque elevata:


Dai dati più recenti pubblicati dalla Associazione Italiana Società Concessionarie Autostrade e Trafori (AISCAT) emerge che il volume di traffico dal 2014 è in ripresa raggiungendo oramai il livello pre crisi:


In conclusione si può dire che in Italia i pedaggi incidono considerevolmente sui bilanci degli automobilisti, a prescindere che la ragione dell'uso delle autostrade sia per lavoro o privato, mentre per quanto riguarda il traffico pesante commerciale il costo non dovrebbe differenziarsi molto da quello in vigore ad esempio in Germania e comunque questo viene conteggiato dalle aziende come costi di trasporto che poi saranno parte di quelli complessivi pagati alla fine dagli acquirenti dei beni e servizi offerti.
Dal lato invece delle società concessionarie questo business rappresenta una ottima fonte di reddito con un alto profitto praticamente garantito, non stupisce quindi la presenza tra i soci delle concessionarie stesse di gruppi industriali importanti.