mercoledì 12 agosto 2015

Cambiamo i parametri di bilancio europei

Si parla spesso di mettere in discussione i parametri di bilancio europei ma poco si dice su come li si vuole modificare.
Senza ribadire la storia da Maaastricht in poi fino al Trattato sulla Stabilità, Coordinamento e Governance nell'Unione Economica e Monetaria, meglio noto come Patto di Bilancio o Fiscal Compact (si clicchi sopra per scaricare copia del trattato in lingua italiana dal sito della Commissione Europea) e dando per scontato che si sia a conoscenza degli attuali vincoli in essere, desidero esprimere alcune riflessioni circa la mia personale valutazione su come questi dovrebbero essere modificati, in primo luogo perché non più coerenti con la situazione economica attuale che è diversa dalla realtà vissuta durante gli anni '70 e '80, cioè del periodo su cui i parametri fissati nel trattato di Maastricht hanno fatto riferimento.

Debito
Il rapporto tra il debito complessivo di un Paese ed il suo prodotto Interno Lordo a prezzi di mercato è attualmente fissato al 60% e nel Fiscal Compact è previsto che le nazioni che si trovano oggi ad avere un valore superiore giungano a rientrare entro tale limite nell'arco di un ventennio. Questo valore è stato scelto a suo tempo semplicemente perché rappresentava la media del debito in essere (rapportato al PIL) dei Paesi che per primi si apprestavano a formare l'Unione Europea e ad adottare l'euro quale moneta unica, tranne qualche eccezione come l'Italia che già nel 1992, anno del Trattato di Maastricht, aveva già un debito maggiore. L'obiettivo era semplicemente quello di consolidare quel livello e non aveva quindi alcuna motivazione economica che lo riconducesse al 60% sebbene sia provato che all'aumentare del peso del debito, e quindi del suo costo in termini di interessi, venga penalizzata la crescita di quella economia.

Riguardo a questa variabile la mia valutazione è che debba essere portata ad un livello maggiore: 80%.

Perché 80% e non di più? La mia stima prende in considerazione il costo del debito in termini di interessi passivi da pagare, escludendo quindi a priori l'ipotesi di finanziare il deficit attraverso l'emissione di moneta da parte della banca centrale.
Se prendiamo come riferimento i tassi di interesse reali, ovvero la differenza tra quelli nominali e l'aumento dei prezzi (inflazione), e ipotizziamo che il tasso medio ponderato sui titoli del debito emessi a diversa scadenza sia indicativamente (e possibilmente non oltre) il 3%, possiamo giungere alla conclusione che il costo a fronte di un debito pari all'80% del PIL sia quindi del 2,4% del PIL stesso, un valore sostenibile e non penalizzante per l'economia in questione.

Ad oggi il costo del debito ammonta a circa il 4,6% del PIL, ma a fronte di un debito che nel 2014 ha raggiunto il 132% del PIl stesso:


ne consegue quindi che il 'peso' degli interessi sia circa il 3,4% in termini nominali sul totale. Il PIL nel 2014 è stato di circa 1.600 miliardi di euro a prezzi correnti, quindi se il costo degli interessi è ammontato al 4,6%, in euro è di circa 74 miliardi che rapportato al debito complessivo di 2.135 miliardi circa, esso rappresenta quindi il 3,4% (sia in termini nominali che reali visto che i prezzi sono cresciuti mediamente dello 0,2%). Un valore che potrebbe scendere ulteriormente proprio se parimenti scendesse il livello del debito così da aumentare la fiducia degli investitori e soprattutto dei rating assegnati dalle agenzie a cui gli investitori stessi si affidano.
Ad essere precisi non tutto il debito pubblico è rappresentato da titoli di Stato emessi dal governo, infatti al 31/12/2014 l'ammontare dei titoli in circolazione era pari a 1.782 miliardi di euro (fonte Dipartimento del Tesoro), quindi il costo sarebbe del 4,2% se rapportato a questo dato, ma rimane valido quanto scritto in precedenza circa la possibilità di far scendere questo valore abbassando il debito.


Personalmente prevederei una fascia di possibile espansione del debito nel caso l'economia dovesse affrontare una situazione di recessione o di lunga stagnazione e necessitasse di stimoli attraverso investimenti in conto capitale. Questo punto è solo parzialmente considerato oggi con il conteggio del PIL potenziale mentre servirebbe una maggiore flessibilità per permettere ad un governo di adottare misure atte a stimolare l'economia. Dovendo servire inizialmente risorse finanziarie a fronte di un PIL in calo e che mostrerà i suoi effetti più tardi è quindi logico aspettarsi che il debito salga sensibilmente, per questo ritengo che si debba dare respiro all'economia in crisi e questo respiro si potrebbe concretizzare fino a raggiungere lo stesso ammontare del PIL, ovvero un rapporto debito/PIL del 100%.

Solo oltre quel livello il governo dovrebbe adottare misure orientate a contenere la spesa corrente senza però penalizzare gli investimenti strutturali.

Deficit
Per questa voce ritornerei al parametro fissato a suo tempo nel trattato di Maastricht e cioè al 3% sul PIL. Inutile precisare che sono completamente in disaccordo con il pareggio di bilancio.

Perché 3%? Se prendiamo la relazione tra deficit, variazione del PIL e debito raffigurata dalla formula seguente:


dove:
d = deficit
D = debito
delta-P = la variazione del PIL in percentuale

ne deriva che per mantenere inalterato il rapporto "debito/PIL" al 80% con un deficit al 3% occorre che il PIL cresca del 3,9% in termini nominali, quindi con l'inflazione inclusa. Se consideriamo che il tasso di crescita dei prezzi fissato come obiettivo dalla Banca Centrale Europea è prossimo al 2% ne consegue che il tasso di crescita reale deve essere intorno al 2%, valore che deve essere raggiunto affinché sia garantita una crescita adeguata e permettere una sufficiente creazione di posti di lavoro.

Nel caso l'economia dovesse affrontare un periodo di crisi dovrebbe essere permesso, come prima anticipato, di superare temporaneamente il limite a patto che la maggiore spesa sia effettuata a fronte di investimenti concreti che abbiano l'obiettivo di stimolare l'economia e migliorare la produttività, non per spese correnti ad eccezione degli interventi a sostegno della disoccupazione e del sociale in generale (welfare).

Quanto all'ammontare di un extra deficit per contrastare una situazione di crisi si dovrebbe considerare, come avviene oggi, il fattore output gap (*) ma anche consentire una quota ulteriore per gli investimenti citati poc'anzi e che potrebbe corrispondere ad un paio di punti percentuali di PIL per un primo biennio per poi essere eventualmente ridotto ad un 1% per gli anni successivi se l'andamento dell'economia non avesse ancora registrato cambiamenti in positivo. Questo fino a quando il debito del Paese in questione non giunga allo stesso valore del PIL, superato questo ammontare quanto appena stimato dovrebbe essere ridotto della metà, rispettivamente un extra 1% per un biennio e uno 0,5% a seguire.

(*) Per un'idea di come viene stimato il PIL potenziale ed il saldo di bilancio corretto per il ciclo cliccare sul seguente link che permette di scaricare un documento del 2013 direttamente dal sito del Dipartimento del Tesoro: