mercoledì 21 giugno 2017

Bagnai, il cambio e la produttività

Ieri sera stavo leggendo un articolo del Prof.Alberto Bagnai dal suo blog Goofynomics, dal titolo "Il moralismo del mainstream" (oramai mainstream è diventato termine di moda), quando giungo annoiato da un'introduzione insignificante quanto condito di fake news (anche queste due parole sono diventate di uso quotidiano) quale: " ...la Germania vuole l'atomica e che bisogna comunque prepararsi al peggio..." (dove abbia letto questa stupidaggine lo sa solo lui) ad una parte che raccoglie un minimo interesse da parte mia:


In sostanza lui afferma che una economia che possiede una valuta il cui cambio è sopravvalutato rispetto a quelle dei principali concorrenti si trova ad essere penalizzata, poi aggiunge che quando il cambio si apprezza la produttività decresce.
Ciò che afferma in linea generale è del tutto condivisibile benché io avrei qualche osservazione da fare, più che altro delle precisazioni. Purtroppo (più per lui) il Prof.Bagnai è allergico ai confronti con chi non condivide completamente ed insindacabilmente il suo pensiero, soprattutto se non ha pubblicazioni in Classe A su riviste scientifiche. Di certo io non rientro in nessuna delle due categorie, ho idee divergenti dalle sue in materia di pensiero economico e per scelta faccio un mestiere diverso da quello di economista, però una seppur minima conoscenza ritengo di averla anche se non del livello per pubblicare su classe A come l'esimio docente di Economia dell'Università di Chieti e Pescara.
Pazienza, mi limiterò ad esprimere queste mie osservazioni qui e mi rassegnerò a non ricevere mai una sua replica.

Il cambio e la produttività
Sul fatto che in presenza di un rapporto di cambio sopravvalutato le aziende esportatrici incontrino maggiori difficoltà nel vendere i propri prodotti non posso fare altro che concordare, mentre sulla diretta relazione con la produttività ho da muovere una osservazione. Da una parte è vero nella maggior parte dei casi ma dall'altra occorre tenere presente che la produttività è legata direttamente non al solo commercio estero ma alla produzione complessiva di una azienda, ovvero l'insieme di quanto si produce e si vende sia all'estero che nel proprio Paese. Pertanto se l'economia di un Paese si trova ad avere un cambio sopravvalutato, è facile che le aziende vendano meno all'estero e a parità di vendite interne il totale risulti inferiore alla situazione in cui il cambio sia in linea con la bilancia dei pagamenti ed implicitamente anche la produttività possa quindi subire un calo. Viceversa se il cambio fosse sottovalutato, come è il caso della Germania che Bagnai cita spesso, la produttività ne verrebbe stimolata. La Germania ha, come sappiamo, un notevole surplus delle partite correnti e se avesse ancora la propria moneta, il marco, questa avrebbe indiscutibilmente un valore maggiore rispetto alle altre. Con l'euro, il quale è condizionato dalle economie degli altri Paesi che ne determinano una quotazione inferiore, la competitività dei prodotti tedeschi ne risulta avvantaggiata. Le imprese tedesche quindi godono di un ostacolo in meno per vendere all'estero e questo comporta una maggiore produzione che combinata con una maggiore vendita e quindi produzione per il mercato interno consente di aumentare la produttività delle imprese. Quindi Bagnai ritiene che la scarsa produttività italiana dipenda più dal fatto che noi, a differenza dei tedeschi, con l'euro ci siamo dotati di una valuta che è invece per noi sopravvalutata e che questo impedisca alle nostre imprese di essere competitive come lo sarebbero avendo una valuta nostra. Insomma, se tornassimo alla lira venderemmo di più e questo migliorerebbe la produttività generale, così come è stato subito dopo aver lasciato temporaneamente lo SME nel 1992. Questo è il suo pensiero.

Osservando i due grafici che Bagnai ha incluso, si vede come nel primo il tasso di cambio effettivo reale (Real Effective Exchange Rate) dell'Italia sia calato dopo aver lasciato il Sistema Monetario Europeo e nel secondo come la produttività sia aumentata, almeno fino al 1995 incluso, poi tutto si sarebbe assestato in quanto si decise di rientrare nello SME, cosa che avvenne nel 1996. Da allora, vincolati alla parità prima e all'adozione dell'euro in seguito, tutto è tornato ad essere negativo: REER in aumento e produttività in calo, sebbene le esportazioni abbiano visto un trend in perenne crescita.

Il caso 1992: uscita dallo SME
Ecco, la mia osservazione sorge guardando proprio a quanto accadde nel periodo 1992-1995, dove la produttività vide una crescita che il Prof.Bagnai afferma derivare dai benefici del deprezzamento della lira nei confronti delle valute principali, con il marco tedesco:


il dollaro USA:


il franco francese:



Se guardiamo i dati macroeconomici di PIL e commercio estero per l'Italia:


sembra che tutto confermi le affermazioni di Bagnai. Il PIL, tranne che per il 1993 dove ha visto un andamento negativo, è cresciuto a livelli apprezzabili nel biennio 1994-1995. Le esportazioni sono cresciute sensibilmente già dal 1993 mentre le importazioni hanno registrato invece uno scarso aumento nello stesso anno per poi riprendersi nel biennio seguente. C'è da osservare che nel 1993, nonostante la buona crescita delle esportazioni e la sostanziale stabilità delle importazioni (che in termini reali, cioè scontando l'aumento dei prezzi, è stata negativa), il PIL ha visto un calo, seppur non rilevante, segno questo che il commercio estero non è determinante ai fini del risultato complessivo. Nel 1993 infatti, i consumi finali nazionali delle famiglie sono stati del 3% circa inferiori all'anno precedente (dati ISTAT). Poi come sappiamo le esportazioni rappresentavano in quel periodo una quota di poco superiore al 20% del PIL.

Ora però arrivo al dunque di questa mia riflessione. Il Prof.Bagnai sostiene che la produttività nel periodo 1993-1995 sia cresciuta grazie all'uscita dallo SME, al conseguente deprezzamento della lira rispetto alle altre valute che ha portato un incremento delle esportazioni ed un freno alla crescita delle importazioni, a un aumento così del PIL, almeno a partire dal 1994, e quindi della produzione che attraverso rendimenti di scala ha consentito appunto questo miglioramento.
Io però vorrei fare un passo indietro e mostrare la situazione da un altro punto di vista.
Prendiamo l'andamento dell'occupazione in quel periodo:


da cui si rileva che:

  • Nel 1993 si sono persi 614 mila posti di lavoro
  • Nel 1994 si sono persi altri 366 mila posti di lavoro
  • Nel 1995 si sono persi ulteriori 44 mila circa posti di lavoro
  • Nel 1996 finalmente il trend è cambiato in positivo e si sono generati quasi 125 mila posti di lavoro
Se nel 1993 non c'è da sorprendersi per il calo dell'occupazione a cui è seguito un calo del Prodotto Interno Lordo, viceversa desta curiosità il fatto che nel biennio successivo, nonostante il PIL sia stato in crescita come visto prima, l'occupazione è andata lo stesso diminuendo.
Ora prendiamo i dati delle ore lavorate in quel periodo di tempo:


da cui si evince che:

  • Nel 1993 vi è stato una calo del 2,7% delle ore complessivamente lavorate rispetto al 1992
  • Nel 1994 vi è stato un calo del 2% delle ore complessivamente lavorate rispetto al 1993
  • Nel 1995 vi è stato un leggero ulteriore calo dello 0,1% delle ore complessivamente lavorate rispetto al 1994
  • Nel 1996 vi è stato un aumento delle ore complessivamente lavorate del 1,3%
Se si ritorna al dato che riguarda l'occupazione e si calcola la variazione percentuale annua durante il periodo in questione si ha che:
  • Nel 1993 l'occupazione è calata del 2,7% rispetto all'anno precedente
  • Nel 1994 l'occupazione è calata del 1,6% rispetto all'anno precedente
  • Nel 1995 l'occupazione è calata dello 0,2% rispetto all'anno precedente
  • Nel 1996 l'occupazione è aumentata dello 0,6% rispetto all'anno precedente
Come intuibile le variazioni sono molto simili a quelle delle ore complessive.

Ora, la produttività è la misura della quantità di produzione (o di output) per ora lavorata (se riferita al tempo) oppure per occupato (se riferita alle risorse di manodopera). Il Prodotto Interno Lordo è sostanzialmente la quantità di produzione effettuata e la sua variazione è calcolata in termini reali, ovvero a prezzi costanti, così il risultato non viene influenzato dall'andamento (in genere in crescita) dei prezzi.
In definitiva, se negli anni 1994 e 1995 il PIL è stato crescente ma sia l'occupazione che il monte ore complessivamente lavorate sono stati in calo, ne consegue che il rapporto tra queste variabile, con il PIL al numeratore, per definizione aumenta e questo rapporto altro non è che la Produttività!

Insomma, nel 'magico' periodo dell'uscita dallo SME la produttività non è cresciuta grazie ad una maggiore economia di scala resa possibile da un incremento della produzione la cui componente estero è stata determinante in virtù del deprezzamento della lira, bensì questa - la produttività - è aumentata in quanto vi è stato un calo di occupati e quindi di ore complessivamente lavorate al quale ha fatto seguito un aumento del volume complessivo di produzione. Si può quindi parlare di una ottimizzazione delle risorse, ma non di economia di scala. Questa vi sarebbe stata se si fosse avuta una crescita della produzione (PIL) in misura maggiore rispetto a quella degli occupati, oppure con una crescita nulla di questi. Ma se io nella mia azienda a fronte di un aumento di lavoro licenzio personale non posso chiamare in causa una presunta economia di scala per spiegare la maggiore produttività.

Conclusioni
E' quindi mia personale opinione che questo aumento della produttività, peraltro di breve durata, sia dipeso da una riallocazione delle risorse di manodopera, riallocazione o ottimizzazione che è passata attraverso dismissioni di parte del personale. Quando a partire dal 1996 il fattore (o componente) lavoro è tornato a crescere, a fronte dell'aumento del volume di produzione (PIL), la produttività anziché salire è rimasta pressoché costante per un certo periodo per poi calare leggermente. Le ragioni di questo andamento dovrebbero però essere cercate non nella moneta, nel cambio, ma in altre aree come ad esempio l'investimento di capitale tecnologico, l'evoluzione della tipologia di prodotti realizzati (se ad alto o ridotto valore aggiunto), le dimensioni aziendali (rimaste piccole), l'organizzazione del lavoro.
Non so cosa ne pensino dalle parti del Dipartimento di Economia dell'Università di Chieti e Pescara ma temo che rimarrò senza risposta. Io non ho pubblicazioni in "classe A".

mercoledì 14 giugno 2017

Elementi basilari di Economia monetaria in versione semplificata

In un periodo come quello attuale dove i temi di carattere economico occupano uno spazio rilevante nei dibattiti è utile conoscere gli aspetti basilari in maniera da poter smascherare più facilmente i ciarlatani e raccontafavole. E purtroppo in giro per il web, nei social forum come tra i politicanti costoro abbondano facendo leva proprio su coloro che non dispongono della sufficiente competenza presentando argomenti di facile leva emotiva oltre al fatto di possedere in qualche modo una certa logica, sebbene fallace.
Un esempio eclatante è quello di chi sostiene che riprendendo la cosiddetta sovranità monetaria (senza però spiegare bene a cosa ci si riferisca con questo termine) il nostro Paese sarà finalmente in grado di uscire dalla condizione asfittica della sua economia, dare lavoro ai disoccupati, incrementare i salari, inserire finalmente un welfare e chissà che altro ancora.
Per dimostrare però quanto questo assomigli più alla rappresentazione del Paese dei Balocchi di Pinocchio rispetto alla realtà in cui viviamo occorre che si posseggano le corrette basi, cioè una seppur minima conoscenza delle dinamiche economiche e monetarie. Qui provo a descrivere in forma alquanto semplificata la parte che riguarda la moneta, i suoi aggregati e le principali politiche monetarie che sono utilizzate dalle autorità competenti (le banche centrali) seguendo un ordine diverso rispetto a quello dei testi ufficiali di macroeconomia ma che ritengo essere di più facile comprensione.

La moneta
Saltando le definizioni formali in base alle quali la moneta è il mezzo di pagamento che regola i rapporti economici, che è anche una riserva di valore, eccetera... eccetera... eccetera... che è sì importante ma non fondamentale, almeno per chi per obbligo non deve studiarlo, vediamo in cosa consiste e come poi questa viene classificata formalmente.
Proviamo a partire da noi come cittadini. Tutti o quasi abbiamo un conto corrente presso un istituto di credito (oppure presso le Poste). Supponiamo di avere ad oggi 10 mila euro su tale conto e che nel portafoglio si abbiano altri 100 euro tra banconote e monete. In economia per moneta si intende genericamente ciò che è utilizzato come normale mezzo di pagamento per una transazione (di beni e/o servizi) quindi la nostra disponibilità complessiva di moneta non è limitata a ciò che abbiamo nel portafoglio né tantomeno alle vere e proprie monete metalliche, bensì alla somma tra questo ed il deposito in conto corrente, quindi nel nostro esempio il totale corrisponde a 10.100 euro. Questa disponibilità la potremo utilizzare per i nostri acquisti attraverso le varie forme di pagamento che conosciamo:
  • Contanti
  • Carte di debito (bancomat) o di credito
  • Assegni circolari
  • Bonifici
Ce ne sono poi altre ma usualmente queste sono quelle che vengono utilizzate dalla maggior parte di noi come normali consumatori.

Curiosità: perché il bancomat è chiamato carta di debito a differenza di quelle che sono chiamate invece carte di credito?
Perché ad ogni pagamento effettuato con il bancomat viene generato direttamente un ordine di addebito per l'importo corrispondente sul conto corrente al quale la carta è associata, mentre nel caso della carta di credito in realtà viene sottratto solo l'importo dell'operazione da quello totale (o quello netto rimanente) che l'ente emittente della stessa ci ha concesso ad inizio periodo e l'addebito complessivo di quanto utilizzato sul nostro conto corrente avviene solo in un secondo tempo, alla scadenza di un determinato periodo di tempo (in genere il mese di calendario).

E' importante capire che la quantità di contanti che abbiamo in portafoglio non cambia la nostra disponibilità di moneta in senso lato, questo perché se prelevassimo con il bancomat o allo sportello ad esempio altri 100 euro in banconote, il saldo in conto corrente verrebbe ridotto di pari ammontare (9.900 euro nel nostro esempio) e la nostra disponibilità complessiva rimarrebbe esattamente la stessa. Diciamo che l'ammontare in contanti che ciascuno di noi decide di detenere dipende in gran parte dalla necessità prevista che si stima per l'uso di questa forma di pagamento rispetto ad altre.
Se la quantità di contanti (o circolante, il termine adoperato formalmente) che decidiamo di detenere non cambia la nostra disponibilità complessiva e che possiamo definire come la nostra quantità di moneta, allo stesso modo anche le banche detengono un certo ammontare di banconote e monete sufficiente a soddisfare le richieste della clientela ma che questo non altera in alcun modo la quantità di moneta di cui dispone la banca.

Gli aggregati monetari
Per comprendere facilmente cosa sono gli aggregati monetari che vengono contraddistinti formalmente con le sigle M1, M2 e M3 partiamo da dove si è appena giunti. Se nell'esempio fatto in precedenza mettiamo insieme gli importi di quello che si è ipotizzato avere sul conto corrente (10 mila euro) e nel portafoglio (100 euro), cioè complessivamente 10.100 euro che rappresentano la nostra disponibilità di moneta, possiamo assegnare una sigla che la contraddistingua: M1.
M1 è quindi la nostra capacità di spesa immediatamente utilizzabile.

Però tutti noi possediamo anche dei beni materiali che hanno un valore intrinseco di mercato, cioè possono essere commercializzati. Ad esempio la nostra auto, un motorino, un quadro, dei mobili di arredo (specialmente se antichi) etc... Possediamo quindi dei beni che generalmente non possono essere utilizzati come mezzo di pagamento diretto ma che avendo un valore di mercato possono essere ceduti in cambio di circolante (banconote e monete) e quindi monetizzati. Non andremo quindi a pagare un pieno di benzina con un comò del '700 per poi farci dare il resto ma possiamo cederlo in diversa occasione e pagare il carburante con parte del contante ricevuto in cambio.
Possiamo quindi considerare anche questi beni come moneta in quanto possono essere scambiati con circolante (monetizzati) anche se questo richiede del tempo. Se riusciamo a stimare il suo controvalore possiamo assegnare a questo importo una sigla specifica, ad esempio dM1 e sommando questo a quello precedente (M1) possiamo assegnare una sigla, M2, che rappresenta l'insieme di M1 e dM1. M2 quindi è la nostra capacità di spesa costituita da quella immediatamente utilizzabile (deposito in conto corrente, banconote e monete) e quella che può esserlo in tempi brevi.

Molti posseggono anche beni immobili come una casa, un appartamento, anche questo è un bene che può essere liquidato, cioè venduto in cambio di circolante o più verosimilmente di un assegno o accredito sul nostro conto corrente mediante bonifico. Ci vorrà del tempo però, non è così veloce la vendita di un immobile, sicuramente più di quanto necessario per i beni descritti precedentemente. In ogni caso anche questa tipologia rappresenta una nostra capacità di spesa e quindi di moneta. Se riusciamo a stimarne l'ammontare ed assegniamo ad esso ad esempio la sigla dM2 possiamo poi assegnare anche una sigla, M3, alla somma di M2 e dM2. Avremo quindi con M3 il totale della nostra ricchezza, della nostra capacità di spesa e quindi in un certo senso della quantità di moneta che possediamo.

Praticamente abbiamo compreso come le sigle M1, M2 e M3 rappresentino in economia diversi aggregati monetari il cui passaggio è legato alla capacità di essere convertiti, più o meno velocemente, in mezzo di pagamento usuale. Ogni banca centrale definisce i diversi livelli di aggregati monetari M1, M2 e M3. Per la Banca Centrale Europea sono questi:
  • M1 - somma di circolante (banconote e monete) e dei depositi cosiddetti overnight (quelli delle banche commerciali verso la banca centrale e che riguarda la liquidità in eccesso);
  • M2 - somma di M1 con i depositi con un grado di maturità fino a 2 anni e depositi riscattabili con un avviso fino a 3 mesi;
  • M3 - somma di M2 con attività finanziarie che possono fungere da riserva di valore e liquidabili in un tempo più lungo rispetto a quelli inclusi in M2 (esempio pronti contro termine, le obbligazioni di aziende e dei governi - Titoli di Stato - con maturità fino a 2 anni).
Ogni banca centrale determina sia l'ammontare che la variazione dei vari aggregati monetari nel tempo in quanto è essenziale al fine di determinare quali misure di politica monetaria adottare in funzione del contesto economico. Normalmente vengono considerati gli aggregati M1 (narrow money) e M3 (broad money) in quanto l'intermedio M2 è meno determinante:


Nota: la U.S. Federal Reserve ha cessato qualche anno fa di pubblicare i dati relativi all'aggregato M3 e si ferma a quello di M2.

La velocità di circolazione della moneta
Sappiamo che vi è un legame tra quantità di moneta ed inflazione, se la prima cresce eccessivamente determina facilmente un aumento dei prezzi che può essere anche alquanto rilevante. La storia economica ha numerosi esempi in tal senso, dalla iperinflazione della Repubblica di Weimar a quella attuale del Venezuela.
Ma la sola quantità di moneta non è sufficiente a spiegare o a causare un aumento dei prezzi, occorre anche che vi sia un livello elevato di circolazione della stessa.

Cosa si intende per velocità di circolazione della moneta?

Un esempio semplice può chiarire il concetto. Supponiamo che in un ipotetico sistema chiuso vi siano pochi operatori tra cui noi, e che solo noi si possegga moneta per un ammontare pari a 1.000 euro. Se spendiamo questa somma a favore di un secondo operatore, ad esempio un negoziante, è facile intuire che si avrebbe una differenza tra il caso in cui il negoziante depositi in banca la somma ricevuta, non procedendo a scambi di alcun tipo per un certo periodo (esempio 1 mese), ed il caso invece in cui egli effettui a sua volta una spesa trattenendo solo 100 euro, cioè un acquisto pari a 900 euro e che questo si ripeta con un terzo operatore che riceve i 900 euro e a sua volta trattenga 100 euro e ne spenda il rimanente verso un quarto e così via per un altro passaggio.
Avremmo quindi i seguenti casi:
  1. Scambio di soli 1.000 euro da noi al primo operatore;
  2. Scambio di complessivi 3.400 euro (1.000+900+800+700) da noi al secondo operatore, da costui al terzo, dal terzo al quarto e infine da questo al quinto.
I 1.000 euro, che come detto rappresentano l'ammontare complessivo di moneta che detenevamo solo noi, hanno visto un passaggio di pari valore nel primo caso e di 3.400 euro nella seconda ipotesi.
La velocità di circolazione della moneta è rappresentata dal rapporto tra l'ammontare degli scambi avvenuti e la quantità di moneta complessiva, rispettivamente quindi 1 nel primo caso e 3,4 nel secondo.

E' logico intuire come a parità di quantità di moneta una maggiore velocità di circolazione influisca sui prezzi e che il combinato di incremento della quantità con una sua maggiore velocità di circolazione abbia effetti ancora più incisivi sui prezzi,
E' intuibile anche pensando a coloro che, nonostante abbiano capacità di spesa, preferiscono tenere i risparmi sul conto rinunciando a spendere determinando così una ridotta domanda di beni e servizi e quindi una minore sollecitazione verso un loro aumento.
E' questa una delle cause per le quali l'aumento di massa monetaria decisa dalla Banca Centrale Europea attraverso il noto Quantitative Easing ha avuto scarso successo. Le condizioni di domanda debole da parte dei consumatori, ma anche del settore pubblico, non ha incentivato i privati (le aziende) ad investire nonostante il settore creditizio (le banche) avesse abbandonato la stretta creditizia (credit crunch) a seguito della crisi finanziaria avvenuta nel 2008 e fossero finalmente disponibili a concedere prestiti senza troppi vincoli. La massa monetaria da una parte è cresciuta ma dall'altra non è circolata a sufficienza nell'economia e ancora oggi, dopo due anni dall'inizio di questa cosiddetta misura di politica monetaria non convenzionale, il livello dei prezzi non ha raggiunto gli obiettivi stabiliti, ovvero di crescita prossimi al 2%. Recentemente infatti questo livello lo si è quasi raggiunto ma non con l'indice core dei prezzi, cioè scorporando l'influenza data dai prezzi di quei beni che presentano una notevole volatilità come energia e alimentari. Infatti se questo è l'indice generale:


se scindiamo le componenti vediamo come quella dell'energia abbia influito molto e come escludendo questa, quella che riguarda i generi alimentari ed il tabacco, più soggetti a variazioni rilevanti di prezzo, questi siano cresciuti sensibilmente meno (+0,9% contro l'indice complessivo di +1,4%):



La politica monetaria
La politica monetaria è l'insieme degli strumenti utilizzati da una banca centrale al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati di politica economica in generale. Alla Banca Centrale Europea come sappiamo l'obiettivo è uno solo: la stabilità dei prezzi che è definita da una crescita moderata dei prezzi ad un tasso inferiore ma prossimo al 2%. Per conseguire questo obiettivo la BCE, come le altre banche centrali, ha diversi strumenti, i principali sono:
  • Variazione del livello di riserve presso la banca centrale chieste al sistema bancario
  • Variazione dei tassi di interesse per i depositi e per la concessione di liquidità overnight
  • Operazioni di mercato aperto
RISERVE MINIME
Le riserve minime richieste dalla banca centrale alle banche commerciali influiscono sulla quantità di moneta in quanto ad un incremento del livello richiesto diminuisce la capacità da parte degli istituti di credito di concedere prestiti e quindi si avrà una riduzione dell'offerta di moneta.
In passato il livello di riserva era determinato da una percentuale sui depositi che la banca aveva dalla propria clientela, oggi tale livello è determinato in relazione a precisi e periodici elementi di bilancio delle banche stesse.
Ad essere precisi, il controllo dell'offerta di moneta da parte della banca centrale in questo caso avviene attraverso il moltiplicatore monetario ma preferisco non addentrarmi troppo su argomenti tecnici. Ad ogni modo questo è rappresentato dal rapporto tra la somma dei depositi della clientela privata presso le banche commerciali più il circolante, con la base monetaria, che è la somma di circolante e depositi delle banche commerciali presso la banca centrale stessa. La banca centrale controllando la base monetaria (cioè il volume di circolante ed i depositi delle banche presso di lei) e conoscendo il valore approssimativo in quel momento del moltiplicatore è in grado di controllare, seppur indirettamente, l'offerta di moneta.

VARIAZIONE DEI TASSI DI INTERESSE
Ogni banca può a fine giornata aver necessità di un prestito temporaneo a breve termine oppure depositare un eccesso di liquidità anche in questo caso per un breve periodo (un giorno, o meglio una notte), entrambi vengono chiamati rispettivamente prestiti e depositi overnight. Variando i tassi di interesse (rispettivamente a debito e a credito) influiscono sull'offerta di moneta. Incrementando il tasso di interesse per la concessione di un prestito oppure quello sui depositi, quindi l'eccesso di liquidità, si disincentiva la banca dal chiedere liquidità nel primo caso oppure si spinge la stessa a lasciare la liquidità in eccesso presso la propria banca centrale piuttosto che darla in prestito. Naturalmente questo strumento basato sui tassi non ha efficacia di breve termine ma necessita di tempi mediamente lunghi affinché abbia effetto.
Attualmente la BCE ha fissato il tasso di interesse sui prestiti overnight allo 0,25% e quello sui depositi ad un tasso negativo dello 0,40%, cioè invece che concedere la banca centrale un interesse sui depositi in eccesso è la banca stessa a dover pagare.

OPERAZIONI DI MERCATO APERTO
A dispetto della terminologia tecnica, questo genere di interventi è di facile intuizione oltre ad essere di maggiore efficacia rispetto ai precedenti. Si tratta infatti della compravendita di obbligazioni (inclusi titoli di Stato) e asset vari sul mercato secondario, cioè già collocati, con lo scopo di variare direttamente l'offerta di moneta. Se la banca centrale intende aumentare la quantità di moneta (come sta facendo in questo periodo) acquisterà asset (obbligazioni di aziende private, titoli del debito dei governi etc...) ed il contrario se intende ridurre la massa monetaria.
Generalmente i Titoli di Stato acquistati sono quelli a breve scadenza, così da influire direttamente sui tassi di interesse di questi - a breve termine - ed indirettamente sui rendimenti dei titoli a scadenza più lunga. Gli investitori infatti trovando i rendimenti in calo sulle scadenze a breve si rivolgeranno verso quelli di durata più lunga aumentandone il prezzo e riducendo parimenti così i rendimenti.

Il Quantitative Easing (alleggerimento quantitativo) non è altro che una operazione di mercato aperto di grandi dimensioni e caratterizzato dal fatto che è una misura di politica monetaria comunicata preventivamente agli investitori, a differenza della usuale operazione di mercato aperto. Vengono comunicati ai mercati la quantità, la durata e gli obiettivi. Ad esempio per quello in corso della BCE:

  • Obiettivo di portare l'inflazione nuovamente prossima ma sotto il 2%
  • Quantità di acquisto pari a 60 mld di euro al mese
  • Durata prevista almeno fino a fine 2017 con possibilità di essere protratta se gli obiettivi non fossero conseguiti
Il fatto di informare preventivamente gli investitori ha l'obiettivo di aumentare la sua efficacia perché gli stessi agiranno di conseguenza.
Le banche vendendo i propri asset ad un prezzo leggermente superiore a quello in corso conseguiranno un primo vantaggio, in seguito saranno incentivate a prestare il denaro ricevuto agli operatori economici (imprese e famiglie) dato che se lasciato allo stato di liquidità e depositato presso la banca centrale non produrrà ricavi, ma anzi con un attuale tasso negativo rappresenta addirittura un costo.

Vincoli della banca centrale
Abbiamo visto quali sono gli strumenti che ha a disposizione una banca centrale per controllare e modificare l'offerta di moneta, vediamo ora cosa invece la maggior parte di esse - BCE inclusa - non può fare.

Sappiamo che la BCE, come anche quasi tutte le altre banche centrali dei Paesi avanzati economicamente, non può finanziare direttamente i governi acquistando i titoli di Stato in fase di collocamento ma solo in un secondo momento dai privati sul mercato cosiddetto secondario.
Non può altresì finanziare aziende private, anche in questo caso può acquistare solo in seconda battuta le loro obbligazioni quando sono già collocate.
Questo per evitare il cosiddetto azzardo morale (moral hazard), cioè il facile tentativo da parte dei governi a lasciarsi andare ad una finanza  allegra, a rispettare cioè meno i principi base dei vincoli di bilancio spendendo molto di più di quanto sono le entrate. Gli effetti di questo atteggiamento poco disciplinato lo si è sperimentato negli anni '70 dove l'inflazione è arrivata a superare il 20% annuo nel 1980. In molti se lo sono già dimenticato. Livelli di inflazione del genere con gli attuali tassi di crescita della ricchezza prodotta (il PIL), ben inferiori a quelli di allora, avrebbero un effetto devastante. 

Una stupidaggine che circola in rete è la possibilità che una banca centrale acquisti Titoli di Stato e rinunci a ricevere il controvalore dal governo una volta giunti a scadenza così da ridurre l'ammontare di debito pubblico. Questa è una soluzione che è attuabile solo nella fantasia di qualche perditempo che di politica monetaria ne sa ben poco. Per dire, il nostro Paese rinnova ogni anno circa 300 mld di euro di Titoli di Stato vari, pensare che la Banca d'Italia possa - nell'eventualità le sia data facoltà - acquistare una sola annualità per poi rinunciare a farseli pagare alla scadenza, comporterebbe una perdita a bilancio secca di tale ammontare (300 mld di euro) per Bankitalia ed un corrispondente aumento di massa monetaria che a quel livello ed in un così limitato periodo di tempo causerebbe un innalzamento considerevole dei prezzi. Basti dire che una stupidaggine del genere non l'ha mai praticata nessuna banca centrale.