lunedì 29 agosto 2016

Il TTIP è morto, viva il TTIP!

La notizia diffusa ieri in cui il vicecancelliere nonché ministro dell'Economia della Germania Siegmar Gabriel (SPD), durante una intervista rilasciata all'emittente televisiva tedesca ZDF, ha affermato che il trattato per il libero scambio tra Stati Uniti e Unione Europea, noto con la sigla TTIP, è di fatto fallito, non è dì per sé una novità. Da mesi già si ipotizzava un suo fallimento, almeno per quest'anno, nonostante sia un accordo promosso dalla amministrazione Obama e sul quale lo stesso auspicava una sua positiva conclusione prima dello scadere del mandato presidenziale.
Sebbene in linea di principio un trattato di questo genere sia auspicabile al fine di favorire gli scambi commerciali tra le due grandi aree geoeconomiche, va detto che le trattative sono state sin dall'inizio molto contrastate in quanto Stati Uniti ed Unione Europea hanno diverse legislazioni e standard inerenti le caratteristiche di molti prodotti, non solo quelli alimentari.

La notizia, quella vera, di ieri è stato semmai il corollario che il ministro tedesco ha fornito a margine, ovvero che su 27 aree tematiche diverse e dopo ben 14 round di incontri tra le due delegazioni, non si è giunti ad un solo accordo! Ed il motivo il ministro lo dice testualmente senza remore: "Die Verhandlungen mit den USA sind de facto gescheitert, weil wir uns den amerikanischen Forderungen natürlich als Europäer nicht unterwerfen dürfen.". [I negoziati con gli USA sono di fatto falliti, perché come europei non possiamo sottostare alle richieste americane.]

Capito?

Qui siamo di fronte ad una serie di richieste avanzate dalla delegazione USA secondo cui quella europea dovrebbe sottostare! Prendere o lasciare.
Già nei mesi precedenti lo stesso ministro Gabriel aveva espresso perplessità in quanto aveva notato una certa rigidità da parte americana nel venire incontro alle rimostranze europee circa i nostri standard che sono diversi (e aggiungo, migliori!) di quelli presenti da loro.

E la posizione del nostro governo?
Il ministro che sta seguendo con più attenzione l'evolversi delle trattative è quello dello Sviluppo Economico Carlo Calenda che ieri ha così commentato a caldo su Twitter:


Di fronte all'evidenza dei fatti emersa dalle dichiarazioni di Siegmar Gabriel, il ministro Calenda non ha potuto fare altro che prendere atto della realtà, ovvero che le trattative non proseguivano su nessun punto ("offerta US insufficiente").
Quello che però a me personalmente ha urtato, è il fatto che lo afferma apertamente ora, mentre prima sembrava che i negoziati andassero avanti seppure con qualche difficoltà e con perplessità solo legate alla tempistica. Questo l'articolo apparso sull' Huffington Post dello scorso 5 Luglio:


.Sebbene condivido la posizione del ministro, come della UE, di giungere ad un accordo con gli Stati Uniti per creare un'area di libero scambio, prospettiva che rappresenterebbe una opportunità per le nostre imprese, non sono di certo favorevole a barattare regole, standard di sicurezza o altro, per ottenerlo e chiedo come cittadino di essere costantemente e correttamente informato circa i dettagli di un accordo che avrà una influenza di non poco conto per la nostra economia ed in quella alimentare in primis. Un settore costituito da molteplici piccole realtà imprenditoriali che si troveranno a competere con multinazionali.

Sono stufo di leggere quindi dettagli significativi, o dalla stampa estera o da rivelazioni di ministri stranieri, voglio essere informato dai ministri del mio governo e voglio esserlo adeguatamente ed in maniera trasparente.

Non è possibile che il nostro Paese sottoscriva trattato dopo trattato in maniera superficiale senza valutare le conseguenze, per poi rinnegarlo parzialmente o chiedere deroghe il giorno dopo come è il caso del Fiscal Compact, che prevede la riduzione del debito pubblico ma che la stiamo rinviando da oramai due anni. Oppure del Bail-in, che poco prima di entrare in vigore formalmente quest'anno è stato messo in discussione all'indomani della sua applicazione nel salvataggio delle oramai tristemente famose quattro banche: Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti.

Pertanto al ministro Calenda l'invito, una volta riaperte le trattative, di essere come governo italiano trasparente verso noi cittadini, illustrando con chiarezza e sincerità gli sviluppi e senza barattare in nome dell'accordo gli interessi delle aziende italiane, cosa purtroppo già avvenuta in passato attraverso accordi condotti dall'Unione Europea ma con l'approvazione di molti nostri rappresentanti al Parlamento Europeo, nelle singole delegazioni o nel governo stesso (v.eliminazione dazi dell'olio tunisino o la riduzione per prodotti ortofrutticoli dal nord Africa).

martedì 23 agosto 2016

Lavorare e vivere in Germania

Spesso mi è stato chiesto di dare qualche suggerimento riguardante la prospettiva di recarsi in Germania per lavoro e quindi di stabilirsi permanentemente. Io a tale proposito sono sempre restio nell'incitare o scoraggiare chiunque, amico o conoscente che sia, nel fare una scelta così radicale e importante per la sua vita e, come talvolta è, anche per la sua famiglia. Mi limito solamente a fornire le informazioni che ho appreso da fonte sicura o sulla base di esperienze effettuate e termino con la raccomandazione di valutare attentamente i pro ed i contro prima di prendere una decisione. Recarsi all'estero non è come andare in un'altra provincia o regione italiana, è sì da una parte stimolante, avventuroso, ma contiene anche ostacoli maggiori.

Sappiamo che attualmente le mete europee che possono offrire maggiori opportunità di lavoro sono la Germania e la Gran Bretagna, ma personalmente io non escluderei anche Paesi come la Spagna che sta crescendo a buoni ritmi, o l'Irlanda, ma anche alcune nazioni dell'est Europa come la Repubblica Ceca. Di contro queste ultime hanno il fatto che sebbene il costo della vita sia inferiore a quello dell'Europa occidentale, anche le retribuzioni sono decisamente più basse e quindi il potere di acquisto può alla fine risultare inferiore anche una volta trovato lavoro.
La Germania è conosciuta per avere generalmente retribuzioni più alte di quelle italiane con un costo della vita che in base allo stile che si adotta può risultare anche inferiore. Ribadisco ancora che nella maggior parte dei casi i compensi sono più alti, ma per molti altri le retribuzioni sono basse a tal punto che i percettori fanno fatica ad arrivare a fine mese. Anche per la stessa mansione vi sono quelli che guadagnano in misura soddisfacente, come ad esempio i camerieri, ed in altri che invece percepiscono meno di quanto prende generalmente un omologo in Italia.
Prima di dare qualche indicazione sul tema lavoro in Germania desidero fare una doverosa premessa per inquadrare la cultura che è largamente presente in quella nazione: i tedeschi sono molto selettivi e meritocratici. Questo può essere positivo da un lato come controproducente dall'altro.
Per comprendere meglio descrivo brevemente il loro sistema scolastico.

Il sistema scolastico
Amministrativamente la Germania è una Repubblica Federale composta da 16 Stati (Länder) che godono di una ampia autonomia rispetto al governo centrale (Bundesregierung); 13 di questi sono vere e proprie regioni mentre 3 sono Città-Stato (Berlino, Amburgo e Brema). I Länder hanno la competenza del sistema scolastico e questo può variare da Stato (Land) a Stato sebbene vi sia comunque una certa uniformità di fondo.
Come in Italia, a sei anni si inizia la scuola elementare (Grundschule) e questa dura però 4 anni (contro i 5 da noi). A 10 anni i giovani studenti tedeschi sono chiamati ad effettuare già una scelta determinante per il loro futuro. Infatti, a differenza nostra dove sono previsti 3 anni di scuola media (o scuola secondaria di primo grado), il sistema tedesco prevede che gli studenti scelgano il tipo di istruzione che li accompagnerà fino alla maggiore età, in linea generale è costituita da queste tre tipologie:
  • Hauptschule
  • Realschule
  • Gymnasium
Senza entrare nello specifico delle differenze tra questi istituti, mi limito ad evidenziare il fatto che solo gli studenti che possiedono un livello accettabile (medio alto) di rendimento possono accedere al Gymnasium e solo questi ultimi possono poi accedere eventualmente all'Università! Durante questa fase è comunque previsto che si possa cambiare, cioè che uno studente che ha iniziato frequentando la Realschule passi al Gymnasium, ma sempre se il suo rendimento è sufficientemente alto. Insomma il sistema scolastico tedesco già a partire dal decimo anno di età tende a differenziare i cittadini. La Realschule è una sorta di scuola professionale al termine della quale viene rilasciato un attestato (Ausbildung) che è molto importante per trovare lavoro (e più avanti vedremo meglio l'importanza dell'Ausbildung).
Chi termina il Gymnasium ottiene il diploma (Abitur) e sceglierà se proseguire gli studi all'Università oppure effettuare un corso di specializzazione di alto livello (Fachhochschule).

L'importanza della conoscenza della lingua
Uno straniero che si reca in Germania spesso è vittima di una penalizzazione rispetto ad un cittadino tedesco, o che comunque ha studiato in Germania, al di là del fatto di essere straniero in quanto per una azienda il titolo conseguito in Germania ha un valore più alto di quello ottenuto altrove dove il sistema è più permissivo.
Se poi ci aggiungiamo che talvolta chi si reca in Germania non conosce, o conosce poco il tedesco, allora la faccenda si fa abbastanza ardua.
C'è chi afferma che sia sufficiente l'inglese. Fandonie! Tranne qualche caso e che riguarda situazioni particolari ed estreme (es.il lavapiatti di un ristorante e l'ingegnere progettista presso una azienda automobilistica) normalmente la conoscenza della lingua tedesca è elemento basilare. Se poi uno accetta di recarsi in Germania accettando un lavoro di basso profilo quel tanto per mantenersi e imparare sul posto la lingua allora è diverso e comprensibile. Ma se si cerca di iniziare quanto prima con un lavoro di buon livello, è d'obbligo partire con una conoscenza adeguata del tedesco e possibilmente di un'altra lingua (es.inglese). Quasi sempre ci si troverà a confrontarsi con cittadini tedeschi che oltre alla loro lingua madre conoscono bene l'inglese ed in molti casi anche una seconda lingua e questo è spesso richiesto esplicitamente, lo si può verificare leggendo le offerte.

Cercare lavoro
Entrando ora nel vivo del tema ricerca di lavoro, l'attività in Germania è simile a come farlo in Italia (o altrove) sebbene vi siano degli aspetti per certi versi migliori. Il lavoro lo si può cercare infatti in questi canali:
  • Agenzie di lavoro interinale (basso profilo)
  • Agenzie federali (basso, medio e medio alto profilo)
  • Società specializzate (medio e alto profilo)
Riporto qualche spunto solo per quanto riguarda il secondo canale, l'agenzia federale, che a differenza dei nostri (quasi inutili) uffici di collocamento ha una rete unica a livello nazionale e unico il sito internet presso il quale si incontrano domanda ed offerta. Inoltre è una piattaforma multilingue, italiano compreso, sebbene rivolto agli aspetti generali in quanto gli annunci sono tutti in lingua tedesca:

https://jobboerse.arbeitsagentur.de

In alto, nella finestra Sprache, si può scegliere la lingua nella quale impostare il sito, cliccando poi su ändern per confermare la scelta. Ci si può registrare ed inserire il proprio curriculum vitae. Si consiglia di avere comunque una base di conoscenza del tedesco per farlo al meglio. Si può cercare il tipo di lavoro che si desidera o anche una specializzazione per conseguire l'attestato (Ausbildung).

L'Ausbildung
Questo attestato in Germania è molto importante, senza di esso per molti tipi di lavoro è decisamente arduo essere presi in considerazione, motivo per cui il mio consiglio è che, se se ne ha la possibilità, e mi riferisco prevalentemente a chi possiede un diploma di scuola secondaria, di cercare e di conseguire prima un Ausbildung e poi di cercare il corrispondente lavoro vero e proprio! E' possibile verificarne l'importanza anche dagli annunci in cui viene espressamente richiesto il possesso (esempio quello per Kaufmann o Kauffrau per il settore commerciale - commessi/e di negozio inclusi).

Un aspetto positivo è che generalmente i tempi di attesa per sapere se l'esito del colloquio o della semplice candidatura siano andati bene o meno sono molto brevi, i tedeschi non perdono tempo. Leggendo gli annunci lo si può verificare, molti posti hanno una data di inizio contratto immediata (Sofort - appena trovata, la persona può iniziare subito) o prossima (entro pochi giorni).
Altro aspetto da non trascurare è che si ottiene sempre una risposta, sono rari i casi in cui chi invia la propria candidatura non ha alcuna risposta.
Inoltre la maggior parte dei contratti offerti è del tipo a tempo indeterminato (Unbefristetes Arbeitsverhältnis).
Grazie a questo efficiente canale pubblico, come a quelli privati (agenzie interinali ed in particolare Head Hunters), è possibile cercare lavoro rimanendo in Italia e recandosi eventualmente in Germania per un colloquio che generalmente è fissato solo se sono davvero interessati a conoscervi.

Dove cercare
Molti scelgono le città più conosciute, Berlino e Monaco di Baviera, ma io mi sento di consigliare di provare (anche) in quelle che possiamo definire di provincia. In quelle due città ci va infatti il mondo intero, sono due città che offrono molto ma c'è anche moltissima concorrenza. I Länder più ricchi sono (fortunatamente per noi italiani) quelli a Sud: Baviera e Baden-Württemberg ed escludendo Monaco e Stoccarda dove è alta la presenza di chi cerca lavoro mi concentrerei sulle località minori, anche a rischio di finire in luoghi periferici.
Ultimamente i giovani tedeschi preferiscono la grande città alla provincia e la conseguenza è che non sono poche le aziende che fanno fatica a trovare personale giovane qualificato.
Certo, occorre poi mettere in conto che già i tedeschi non sono soliti divertirsi come avviene in nazioni meridionali come Italia, Spagna, Portogallo o Grecia, se poi aggiungiamo che la proposta riguarda un paese di poche migliaia di abitanti sperduto tra le montagne dove anche durante il giorno non si vede in giro anima viva per strada e l'unico punto di ritrovo è qualche birreria o i negozi, è comprensibile che diventa davvero una sfida, soprattutto per un italiano.
In definitiva: provate dappertutto, Berlino e Monaco incluse, ma se ve la sentite non trascurate anche città minori.

Qualche consiglio a margine
I tedeschi sono estremamente formali, molto più di noi italiani, questo comporta che il curriculum (Lebenslauf), che è molto schematico e succinto, dovrà essere compilato seguendo eventualmente esempi che si possono trovare anche online. Questo è impostato in un modo che lascia poco spazio alla personalizzazione e non rispettarla può significare la diretta cestinatura.

Quando si parla di cifre è importante rammentare che raramente i tedeschi parlano di netto mensile, semmai di lordo (Bruttogehalt) mensile oppure annuo. Insomma se dite che 2 mila euro mensili (netti) vi possono andare bene è possibile che dall'altra parte intendano 2 mila euro lordi!
Poi occorre sapere che in Germania normalmente non c'è la tredicesima, sebbene in alcuni casi è prevista una gratifica simile (ma non darla per scontato) mentre è facilmente presente un premio annuale. Fondamentalmente è bene considerare il compenso annuo su dodici mensilità e non tredici come si fa abitualmente in Italia.

Le imposte sui redditi personali sono generalmente più basse, però questo vale in larga misura per chi ha famiglia (Steuerklasse -  classe fiscale - 2 o maggiore); i single (Steuerklasse 1 - classe 1) hanno una pressione fiscale che se non è maggiore di quella italiana è comunque molto simile.

Quando si risponde ad un annuncio, possibilmente in tedesco, iniziare sempre con una frase che dica che si è rimasti colpiti dall'annuncio e proseguire scrivendo per quale motivo piacerebbe lavorare per loro e quali sono i gli aspetti che rispondono alle loro aspettative. Un esempio può essere:
"Ihre Anzeige hat mein Interesse geweckt,..."
Evitare possibilmente di iniziare con: "Desidero inviarvi..." oppure "Ho letto il Vostro annuncio..." sembrano dettagli insignificanti, ma per la cultura tedesca iniziare dando importanza all'annuncio, alla ditta, piuttosto che a se stessi è un plus!

Cercare casa
In Germania non è difficile trovare un alloggio e generalmente il prezzo degli affitti è inferiore all'Italia (in particolare al settentrione) ma se si sceglie Monaco di Baviera aspettatevi di far fatica nel trovare un appartamento a prezzo modico. Già Berlino è migliore da questo punto di vista, ma da qualche anno i prezzi stanno salendo sensibilmente e costantemente e già oggi non sono più così accessibili come era fino a non molto tempo fa, a meno che non lo cerchiate in alcuni quartieri specifici e/o in periferia.
Nel caso della Baviera o del Baden-Württemberg, nelle piccole città è più facile trovare un lavoro (a mio personale avviso) ben pagato e un prezzo accettabile per un appartamento anche già ammobiliato.
Per farsi un'idea consiglio un sito che ha una buona diffusione su scala nazionale (un po' come la nostra Tecnocasa®):


In conclusione ritengo utile suggerire a chi intende recarsi in Germania, non solo di frequentare un corso di tedesco che consenta un minimo di dimestichezza con la lingua, ma anche di cercare di scoprire la cultura tedesca, che non sempre corrisponde a quella che si incontra all'Oktoberfest!

giovedì 18 agosto 2016

Do ut des - Tasse e Spesa Pubblica

Nelle discussioni tra chi ritiene utile aumentare la spesa pubblica con chi al contrario la vuole ridurre al fine di far ripartire l'economia c'è una quasi completa attenzione ai valori, agli importi sia in termini assoluti che in rapporto alla ricchezza prodotta (PIL) piuttosto che alla qualità, cioè ad una proporzionalità tra quanto si paga e quanto si riceve.
Personalmente sono più propenso ad avere amministrazioni pubbliche che trattino il minimo indispensabile e che sia dato al cittadino libertà di scelta individuale verso i servizi che ritiene utili o necessari proposti e gestiti da privati. Tra questo minimo indispensabile a carico del settore pubblico considero la sanità, la sicurezza, la difesa, la giustizia, la cultura e l'istruzione, ma anche il welfare che includa un solo sistema pensionistico di base, cioè garantire a tutti i cittadini una pensione minima delegando invece al privato quella integrativa, un sostentamento verso chi perde il lavoro, sia esso dipendente o autonomo, e inoltre interventi a favore di cittadini che si dovessero trovare in particolari casi di difficoltà economica.

Questa mia posizione non è comunque del tutto rigida, potrei infatti anche accettare un diverso sistema purché sia equo. Insomma, potrei anche prendere in considerazione un livello di tassazione come quello presente nei Paesi scandinavi se in cambio ricevessi i servizi che hanno i cittadini residenti in Scandinavia. Lo Stato a mio avviso dovrebbe fare da (super) controllore, dare da una parte ai privati la gestione di molti servizi ma evitare che questa loro posizione possa tramutarsi in uno sfruttamento della posizione dominante (esempio: compagnie di assicurazione o fornitori di servizi energetici).

Quello che però ritengo importante osservare è la corrispondenza tra costo, attraverso le tasse e le imposte che verso, ed i servizi che come cittadino ricevo in cambio. Certo, non è facile stimare il giusto prezzo di un servizio o ancora di più dell'insieme dei servizi che il settore pubblico mette a disposizione, ma attraverso i confronti con altre realtà è possibile comunque farsi un'idea. In fondo anche stimare il giusto prezzo di una pizza non è semplice senza confronti. O per un caffè. Siamo sicuri che 1 euro per una tazzina di acqua con una piccola parte di polvere di caffè diluita sia un prezzo equo? Se si guarda al solo prodotto certamente no, ma se si considera che in quel prezzo sono ripartiti in proporzione tutti i costi dell'esercente ed un suo margine di guadagno può essere che si possa ritenere tale. In ogni caso il modo migliore e veloce per giudicarlo è confrontarlo con quello di altri esercenti della zona. Se dall'altra parte della strada un concorrente lo vende a meno e magari il gusto è anche più gradevole di sicuro andremo a prenderlo da quest'ultimo.

Così anche nei servizi che offre il settore pubblico il metodo più efficace e veloce per valutarne l'efficacia è quello di confrontarne il rapporto qualità/costo, anche se questo non è sempre semplice visto che a Paesi diversi corrispondono spesso servizi organizzati ed offerti in maniera differente. In ogni caso è abbastanza evidente come oggi la qualità dei servizi che i cittadini italiani ricevono dal settore pubblico non è all'altezza del loro costo. E' sufficiente appunto eseguire qualche confronto per rendersene conto.

La spending review
Lo scopo di una revisione della spesa è quello di fare in modo che ogni servizio fornito dallo Stato o comunque da una amministrazione pubblica sia adeguato al costo. Ottenuto questo, poi si può anche pensare di usare l'importo risparmiato per ridurre la pressione fiscale oppure di aggiungere un nuovo servizio da offrire ai cittadini oppure in alternativa migliorarne uno già esistente. Si pensi alle tante aziende municipalizzate, in particolare a quelle nel settore del trasporto pubblico, ed al risparmio che si ottiene da un loro accorpamento. Quel risparmio può essere usato non solo per ridurre il costo del biglietto ma alternativamente per migliorare il servizio offerto potenziando la rete e/o aumentando le corse.

Il federalismo fiscale
Sono sempre stato a favore di un sistema di decentramento sia amministrativo che fiscale, in cui le maggiori voci vengano ripartite tra le varie amministrazioni (Stato, regioni, comuni), in questo modo per i cittadini è anche più facile verificare come il settore pubblico spende i loro contributi. In Germania ad esempio alcune imposte sono ripartite in percentuali ben definite tra governo federale centrale (Bund), regioni (Länder) e comuni (Gemeinden), mentre altre imposte sono di pertinenza esclusiva di una sola di queste amministrazioni. Naturalmente a questo corrisponde anche una ripartizione delle competenze, ad esempio sono assegnate alle regioni (Länder): l'istruzione, la sicurezza (polizia), la cultura.
Noi abbiamo le regioni a statuto speciale che però creano disagio a quelle confinanti, sarebbe quindi utile rivedere la situazione attuale, non togliendo loro l'autonomia ma dandola equamente anche alle altre regioni responsabilizzandole più di quanto lo sono oggi e riducendo gradualmente nel contempo l'ammontare dei trasferimenti, trasferimenti che dovrebbero rimanere ma non costituire un mancato stimolo alla crescita da parte di quelle meno ricche.

In conclusione la strada da perseguire in primo luogo è l'ottimizzazione della spesa, pagare il giusto per ogni servizio, poterla controllare meglio attraverso il decentramento amministrativo e poter scegliere se introdurre nuovi servizi gestiti dal settore pubblico oppure migliorare quelli esistenti pagando di più.

martedì 16 agosto 2016

50 Sfumature di Ignoranza

Ieri, 15 Agosto, il quotidiano Libero diretto da Vittorio Feltri ha pensato di uscire con un supplemento incentrato sulle critiche sia all'Unione Europea che all'euro e vi ha dedicato 50 ragioni per uscirne. L'iniziativa evidentemente cerca di recuperare lettori visti gli assai deludenti dati sulle vendite:


Ho letto velocemente i 50 punti che non sono altro che una raccolta dei soliti luoghi comuni e scemenze falsità che vengono ribadite da qualche anno praticamente ogni giorno, 50 punti scritti da un economista...ah no, pardon, da un filosofo, che insegna presso l'Università di Genova: il Prof. Paolo Becchi.
Oramai l'economia è una materia accessibile a tutti...pare...è sufficiente qualche lettura di qua e di la su internet. Un po' come la medicina che per qualcuno dopo aver guardato 4 serie consecutive di Grey's Anatomy pensa di essere in grado di svolgere l'attività di chirurgo.
Quindi il Prof.Becchi che non mi risulta aver mai avviato e condotto alcuna attività imprenditoriale o quantomeno manageriale, oppure pubblicato studi di economia, ora ci viene a spiegare perché dovremmo uscire dall'euro, dalla Unione Europea ed i vantaggi che ne deriverebbero da questa scelta.
Le contraddizioni e gli errori riscontrabili in praticamente tutti i punti descritti sono rilevabili anche da uno studente universitario di livello medio di preparazione.
Replicare comunque punto per punto mi risulta oramai noioso, stufo di ripetere sempre le stesse cose, quasi sicuramente anche per chi legge tenuto conto che siamo ancora nel periodo di vacanza per molti italiani. Ho pensato quindi di farlo in un modo del tutto leggero, che possa essere letto in maniera divertente da chi ha comunque desiderio di capire perché l'Italia non chiederà mai l'uscita dall'euro unilateralmente, una scelta che non è invocata infatti da nessuna tra le diverse componenti sociali (Imprese, Istituti bancari, Banca d'Italia etc...) per il semplice fatto che non ci conviene assolutamente, anzi, sarebbe del tutto disastroso.

Immaginiamo che in un futuro non molto distante uno dei partiti più euroscettici, ad esempio la Lega, ottenga la maggioranza assoluta in Parlamento alle prossime elezioni (così non c'è necessità di alleanze) e che Matteo Salvini sia nominato Presidente del Consiglio.
Supponiamo che Salvini, una settimana prima di recarsi ad un Consiglio Europeo in cui ha intenzione di informare gli altri capi di Stato e di governo della volontà dell'Italia di uscire dall'euro, voglia incontrare il presidente di Confindustria per dargli in anteprima la notizia, convinto, dal suo punto di vista, che le imprese ne siano ben contente in quanto i maggiori beneficiari, in particolare quelle esportatrici.
Ho immaginato che tra loro, una volta che Salvini ha esposto la sua volontà al presidente dell'associazione degli industriali, avvenga un dialogo più o meno come il seguente:

Salvini: "Allora presidente, che ne dice...è contento? La vedo un po' perplesso..."

Presidente Confindustria: "Beh, vede presidente Salvini, io apprezzo a nome di tutti gli industriali la sua volontà di sostenere le nostre attività, ma non credo che una uscita dall'euro sia la giusta soluzione, soprattutto in questo momento in cui i mercati finanziari ci stanno voltando le spalle con i tassi di interesse in crescita, le banche che ci stanno limitando il credito e la prospettiva che prima che questo passaggio dall'euro alla nostra moneta avvenga, molte imprese non riescano a resistere e siano costrette a chiudere."

Salvini: "Sì, sono consapevole della pressione che i mercati finanziari stanno esercitando su di noi, ma sono convinto che durerà poco. Ben presto avremo la nostra lira e saremo in grado di contrastarli e di dare un sostegno all'economia dato che saremo liberi dai vincoli di Bruxelles."

Presidente Confindustria: "Il punto presidente è che l'uscita richiederà tempo ed inoltre non è prevista l'uscita dalla sola moneta unica, al momento è contemplata solo quella dall'Unione Europea e questo comporta di conseguenza l'estromissione dal mercato unico con conseguenze gravi per tutta la nostra economia."

Salvini: "Ma no presidente, si tranquillizzi...si può benissimo uscire dalla moneta unica rimanendo comunque membri dell'Unione Europea. Ora glielo dimostro, chiamo il ministro per gli Affari Europei e glielo faccio confermare da lui!"

Qualche minuto più tardi entra il ministro per gli Affari Europei e Salvini gli chiede di confermare al presidente di Confindustria che è possibile uscire dall'euro rimanendo nella UE.

Ministro A.E.: "Se posso essere sincero presidente Salvini, il presidente di Confindustria ha ragione, al momento non è contemplata l'uscita di un Paese solo dall'euro, ma dalla Unione Europea. Secondo l'art.50 infatti ciascuno Stato membro può chiedere di uscire, ma è scritto chiaramente che la richiesta riguarda l'Unione Europea. Per uscire dalla sola moneta unica servirebbe un nuovo regolamento mediante accordo in cui tutti gli Stati membri siano d'accordo. Ma poi, mi chiedo, non vedo perché lei voglia uscire solo dall'euro e non dalla Unione Europea..."

Salvini: "Perché così saremmo liberi di avere una nostra politica monetaria e fiscale, non saremmo più vincolati ad una moneta sopravvalutata per la nostra economia e ci libereremmo contestualmente di tutti quei ridicoli vincoli di bilancio!"

Ministro A.E.: "Questo lo avevo capito ed è infatti per questo motivo che ritengo che lei, se desidera attuare tutto questo, deve chiedere di uscire del tutto dall'Unione Europea e non dall'euro solamente."

Salvini: "Si spieghi meglio..."

Ministro A.E.: " Vede presidente, i vincoli di bilancio che sono contemplati nei vari trattati, da quello di Maastricht al Fiscal Compact, dal Sixpack al Twopack eccetera non sono solo rivolti ai Paesi che hanno adottato l'euro ma a tutti, tranne coloro che non ne hanno sottoscritto qualcuno. Ammesso che gli altri partner siano favorevoli ad un accordo che ci consenta di uscire solo dall'euro, come la mette con tutti i trattati che abbiamo sottoscritto?"

Salvini: "Li ripudiamo..."

Ministro A.E.: "Se mi permette presidente, non è così semplice...e proprio qui sta il punto! Nessun partner accetterebbe mai di concederci di uscire dall'euro rimanendo comunque nella Unione Europea lasciandoci poi liberi, a differenza di tutti gli altri, di fare una politica di bilancio del tutto arbitraria ed indipendente.
La stessa adesione all'Unione Europea contempla dei vincoli che non si possono tralasciare..."

Salvini: "E allora vorrà dire che chiederemo l'uscita dall'Unione Europea...in fondo non ho mai visto alcun vantaggio nell'adesione."

Presidente Confindustria: "Ma così usciremmo dal mercato comune, per noi sarebbe un disastro!"

Salvini: "Ma no, si tranquillizzi, chiederemo di stipulare un accordo come quello che si è fatto con Norvegia, Liechtenstein, Islanda e Svizzera."

Ministro A.E.: "E' una ipotesi azzardata presidente Salvini, perché quei Paesi fanno parte dell'EFTA e l'accordo è stato preso appunto tra la loro organizzazione e la UE. Noi, in caso di uscita dalla UE, avremmo due possibilità: 1) Chiedere l'adesione all'EFTA. E la vedo una possibilità alquanto remota se non inverosimile. 2) Stipulare un accordo bilaterale con la UE, ma temo che qualche governo si opporrà..."

Salvini: "Chi? La Germania?"

Ministro A.E.: "Ritengo di sì presidente...e non solo Berlino. Ricorda le dure affermazioni del ministro Schäuble poco prima del referendum britannico? E tenga presente che si trattava della Gran Bretagna con cui la Unione Europea e la Germania in particolare hanno scambi commerciali importanti."

Salvini: "Quindi? Noi siamo l'Italia, anche con noi hanno scambi importanti!"

Ministro A.E.: "Certamente, ma la Germania esporta in Gran Bretagna 90 miliardi di euro contro i nostri 58, ma fattore più importante è il surplus: 51 miliardi con loro e 9 miliardi di euro con noi! Se hanno fatto la voce grossa con loro figuriamoci con noi...non fosse altro per evitare possibili ulteriori defezioni. Una rottura dell'euro causerebbe loro notevoli perdite.

Presidente Confindustria: "Presidente Salvini, mi permetto di rammentarle il problema del credit crunch in atto da parte delle banche. Alcuni nostri associati, ma in particolare le piccole medie imprese, segnalano una situazione di estrema gravità."

Salvini: "Va bene. Me ne occupo subito con il presidente dell'ABI, lo convoco per domani mattina e mi dirà che cosa sta succedendo."

A quel punto l'incontro ha termine ed il giorno seguente Salvini incontra il presidente dell'Associazione Bancaria Italiana per avere informazioni circa i motivi di questa stretta creditizia che le banche stanno mettendo in atto a danno delle imprese e delle famiglie.

Salvini: "Presidente, mi spieghi cosa sta accadendo. Le imprese stanno subendo una stretta creditizia che le sta mettendo in crisi."

Presidente ABI: "E' vero presidente Salvini, ma purtroppo non possiamo farne a meno perché anche noi siamo in seria difficoltà. Siamo sotto attacco su 3 fronti che ci stanno mettendo in crisi. Il primo riguarda gli assets rappresentati dai nostri titoli di Stato che da qualche tempo sono venduti ad un prezzo sempre decrescente e questo riduce il valore a bilancio delle nostre attività e di conseguenza le nostre banche registrano perdite o comunque una sensibile riduzione dei margini di profitto. In secondo luogo è in atto una fuga di capitali verso l'estero da parte dei residenti che temono perdite in caso di uscita dall'euro. Infine il mercato interbancario, le banche straniere temendo una nostra uscita dall'euro non ci stanno più prestando denaro e noi non riusciamo a restituire i debiti che giungono a scadenza. Siamo quindi costretti a ridurre i fidi ed a prestare denaro solo a coloro che posseggono i rating più elevati, che in questo periodo sono davvero in pochi."

Salvini: "Procediamo per ordine...i crescenti rendimenti ed il conseguente aumento dello spread, come quello del 2011, è sicuramente un attacco dei 'poteri forti', della speculazione, per spaventarci ma non credo che durerà molto. Se usciamo dall'euro, a breve torneremo con la nostra valuta e non dovremo più preoccuparci.

Presidente ABI: "E' invece proprio questo il punto. Non si tratta solo della speculazione, ma di tutti gli investitori in generale. A nessuno interessano i nostri BTP attualmente, ci perderebbero.

Salvini: "Si spieghi meglio..."

Presidente ABI: "Per un investitore straniero avere oggi un BTP che vale 100 euro e vederselo rimborsare un domani con 100 lire, che rispetto all'euro stesso o comunque verso la sua valuta avrebbe un valore del 25 o 30% inferiore, costituirebbe una forte perdita. Per questo motivo c'è già chi preferisce oggi disfarsene anche accettando una certa perdita, l'importante è che sia inferiore a quella che avrebbe una volta ridenominato il titolo nella nostra nuova moneta.

Salvini: "Ma la maggior parte dei nostri titoli di Stato è oggi in mani italiane. Loro non ci perderebbero nulla."

Presidente ABI: "Non esattamente presidente. Vede, per un investitore italiano è più conveniente preferire ad un nostro BTP un Bund tedesco, un Treasury statunitense o un Gilt britannico, in quanto alla scadenza riceverebbe un controvalore nella valuta di emissione il cui importo una volta convertito in lire gli consentirebbe un guadagno extra.

Salvini: "Insomma mi sta dicendo che uno straniero ha interesse a venderlo per evitare perdite ed un italiano per guadagnare sul cambio!"

Presidente ABI: "Esattamente...in ogni caso, come sta succedendo attualmente, il prezzo è destinato a scendere ancora e questo causa danni ai possessori, che come sa sono proprio le banche."

Salvini: "Senta... poi mi diceva della fuga di capitali all'estero. Non è possibile fermarla?"

Presidente ABI: "E come presidente...qui non si tratta di cittadini che portano valige di banconote all'estero, la fuga di capitali avviene in varie forme e pensare di bloccarle tutte è praticamente impossibile a meno che non intenda congelare tutti i conti correnti degli italiani."

Salvini: "Non capisco di cosa si preoccupano...se torniamo alla lira le tasse scenderanno..."

Presidente ABI: "Non è questa la ragione presidente...trasferiscono il proprio denaro all'estero per mantenere lo stesso potere di acquisto all'estero e per incrementarlo una volta che la lira si sarà deprezzata facendolo rientrare. Sempre se la situazione finanziaria del Paese dovesse rimanere tranquilla."

Salvini: "Capisco...beh allora dovremmo fare il passaggio il più velocemente possibile!"

Presidente ABI: "Intende il ritorno alla lira? Non è una operazione facile."

Salvini: "Ora ne discuterò con il governatore della Banca d'Italia..."

Salvini congeda il presidente dell'ABI e convoca per il giorno seguente il governatore della Banca d'Italia al quale illustra la sua intenzione di uscire dalla Unione Europea e quindi dall'euro e gli fa presente le considerazioni che ha sentito dal presidente dell'ABI chiedendo a questo punto quanto tempo occorre per tornare alla lira.

Governatore BdI: "Tornare alla lira? A prescindere dagli aspetti negativi il passaggio necessiterà di un periodo di un anno e mezzo, forse due."

Salvini: "Un anno e mezzo o due? Così tanto? Abbiamo bisogno che avvenga in molto meno tempo."

Governatore BdI: "Si presidente...di sicuro non meno di un anno. E' una operazione alquanto complessa. Più o meno è il tempo che è servito per passare dalla lira all'euro."

Salvini: "Ma voi oltre ad avere quella esperienza dovreste aver fatto una simulazione di uscita dall'euro, almeno durante i periodi di crisi!"

Governatore BdI: "Certo presidente, ma la questione non è di sapere cosa fare, ma di farla. E' la fase di implementazione che richiede molto tempo e ritengo che già un anno sia una stima ottimistica. Senza contare le conseguenze per il settore industriale, bancario ma anche per noi."

Salvini: "A cosa si riferisce?"

Governatore BdI: "Alla passività verso le banche centrali dell'eurosistema che al 31 dicembre del 2015 ammontavano a ben 248 miliardi di euro. In caso di uscita dall'euro è una passività che dovremmo saldare."

Salvini: "Ma tornando alla lira e non avendo più vincoli da parte della Banca Centrale Europea non avremmo difficoltà a rimborsare."

Governatore BdI: "248 miliardi sono sempre 248 miliardi presidente...quasi il 16% del PIL attuale. Se poi ci aggiungiamo la svalutazione della lira dovremmo rimborsare qualcosa come il 20% dell'attuale Prodotto Interno Lordo!"

A quel punto Salvini, piuttosto amareggiato, decide di rinviare temporaneamente la decisione di presentare la richiesta italiana di uscita dalla Unione Europea e convoca il suo ministro dell'economia.

Ministro E.: "Ma Matteo, lo abbiamo promesso in campagna elettorale...che diremo ora ai nostri elettori?"

Salvini: "Il federalismo!"

Ministro E.: "Il federalismo?"

Salvini: "Si...rispolveriamo il vecchio tema del federalismo, diciamo che per contrastare meglio la reazione dei mercati e per avere maggiore successo occorre prima procedere con il federalismo e subito dopo potremo passare alla lira, due piccioni con una fava: federalismo e ritorno alla lira!"

Ministro E.: "Pensi che ci crederanno?"

Salvini: "Certo che ci crederanno! Gli italiani credono a qualunque cosa, se la sai raccontare bene!"



sabato 13 agosto 2016

Austerità, deficit pubblico e regole UE

Ieri in un social forum mi sono imbattuto in una discussione a tratti un po' accesa tra l'economista Veronica De Romanis ed alcuni commentatori, a seguito della sua affermazione che, mentre l'Italia ha registrato una crescita nulla nel secondo trimestre di quest'anno, la Spagna invece ha segnato un +0,7% nonostante le misure di austerità che ha intrapreso e sta intraprendendo.


Apriti cielo! Sono subito piovute repliche alquanto critiche a questa sua posizione. Il che ci sta, ci mancherebbe, in fondo i social forum hanno proprio questo scopo altrimenti che social forum sarebbero (social forum = luogo di discussione sociale)! No, la questione semmai sono i toni usati da qualcuno, il che (purtroppo) da una parte fa parte del 'gioco', in mezzo a tanti che discutono per scambiare opinioni, ragionare, informarsi, criticare, c'è chi invece ne approfitta per insultare e dare sfoggio di maleducazione e di arroganza.
Ma non credo che alla Prof.ssa De Romanis questi episodi, per quanto spiacevoli, pesino più di tanto, sa bene come chiunque che per quanto fastidiosi bisogna metterli in conto. Penso che dia invece più tristezza vedere come molti, anche rimanendo entro i limiti della buona educazione, preferiscano sfoggiare una scarsa conoscenza degli argomenti trattati ma soprattutto la non disponibilità a voler comprendere, ad informarsi, in questo caso da chi, come la Prof.ssa De Romanis, la materia la studia e la tratta quotidianamente per mestiere. Si può poi tranquillamente dissentire da quelle che sono le sue valutazioni, le sue formulazioni su uno specifico argomento, ma il rispetto per la persona e la sua professionalità non dovrebbero mai mancare. Ed il rispetto include anche la conoscenza, se non dettagliata quantomeno sufficiente, circa l'argomento in questione. Quello di ieri, che poi viene trattato frequentemente, è la famigerata austerità ed il deficit pubblico, un deficit per alcuni poco concesso all'Italia da parte della Commissione Europea, al contrario della Spagna a cui secondo costoro ne viene invece concesso anche troppo, motivo per cui loro possono crescere a tassi dello 0,7% e noi invece rimaniamo fermi.
Vediamo come stanno le cose.

Il saldo (di bilancio) strutturale
Generalmente molti che leggono i dati di bilancio dei vari governi e guardano al deficit non comprendono perché noi siamo vincolati al rispetto di valori considerati molto restrittivi e ad altri (es.Spagna) è permesso avere deficit invece molto alti rispetto al PIL.
La risposta è perché non è quello il deficit sul quale la Commissione Europea basa le sue considerazioni, bensì a quello strutturale che deriva dal saldo di bilancio strutturale, cioè corretto per il ciclo economico e al netto delle misure una tantum.
Se prendiamo un qualsiasi Paese e lo inseriamo in un contesto in quel momento privo di particolari influenze esterne, esso avrà il governo, o più precisamente le varie amministrazioni pubbliche, sostenere delle spese da coprire con altrettante entrate. Normalmente nessun governo si pone come obiettivo un avanzo perché questo rappresenterebbe paradossalmente una inefficienza perché nel settore pubblico i risparmi sono tali, risparmi indesiderati, pertanto in una situazione del genere si provvede o ad un aumento della spesa in favore dei cittadini con nuovi o migliori servizi oppure ad una riduzione delle entrate attraverso un taglio della fiscalità.
Questa situazione di avanzo si è riscontrata ad esempio in Germania l'anno scorso e anche in Spagna nel 2007, quando il Paese iberico cresceva a ritmi superiori a quelli previsti.
Prima di affrontare il saldo strutturale vediamo il caso opposto, ovvero quando quel Paese affronta una crisi esogena che lo porti in recessione, quello che è avvenuto un po' dappertutto nel mondo nel (e dal) 2008.
L'economia rallenta, le entrate fiscali diminuiscono, si perdono posti di lavoro e aumentano le spese per il welfare, per interventi cioè di politica sociale a favore di chi a causa della crisi viene a trovarsi in difficoltà.

In ogni nazione sono presenti degli stabilizzatori economici, che in economia sono degli elementi di politica fiscale che contrastano in parte le fluttuazioni economiche, sia in un senso che nell'altro. Le imposte (soprattutto se ad aliquote progressive) e le indennità di disoccupazione rappresentano quelli principali.
Quando l'economia procede bene, è in crescita, una diminuzione della disoccupazione e della povertà comporta una riduzione delle spese per il welfare attraverso le sopracitate indennità. Viceversa in presenza di una recessione aumentano le spese per sostenere il reddito dei cittadini che perdono il lavoro e si riducono le entrate fiscali.
Quindi appare evidente che interpretare immediatamente un aumento del deficit come una manovra di tipo keynesiano attuata da parte del governo è errato in quanto questo è semplicemente la conseguenza delle variazioni opposte di entrate e uscite monetarie. Inoltre ogni nazione vedrà conseguenze diverse l'una dall'altra e questo perché ogni nazione ha una diversa struttura, una diversa politica fiscale, una diversa politica di welfare. In definitiva uno shock esterno porta a conseguenze diverse sul bilancio pubblico tra Stato e Stato.
Va poi tenuto presente che le conseguenze non si limitano ad un solo esercizio, ad un solo arco di tempo, ma spesso prosegue per più periodi (trimestri o anni)  perché una crisi ha effetti a catena dove attività che non chiudono inizialmente lo faranno poi con conseguenze sull'occupazione che diminuirà progressivamente mentre aumenterà il numero dei disoccupati e questo fino al raggiungimento di una fase di stabilizzazione.
E' quindi del tutto normale che il disavanzo nei conti pubblici possa aumentare per alcuni esercizi così come è stato il caso della Spagna ma anche di altri Paesi.

Output gap
Le regole europee non prevedono che automaticamente al governo che violi i limiti previsti dai trattati (il noto 3% di deficit sul PIL) venga applicata una sanzione, né che quel governo tagli immediatamente la spesa o aumenti le entrate. Purtroppo questa è l'errata interpretazione che fanno molti.
Quello che fa la Commissione Europea per i Paesi aderenti è di calcolare il saldo di bilancio strutturale, che come anticipato è la stima che risulta partendo da quello nominale scorporando ciò che risulta essere legato al ciclo economico oltre alle misure cosiddette una tantum, ovvero quelle entrate e/o uscite che non si ripeteranno.
Senza entrare troppo nel tecnico la Commissione Europea stima quello che sarebbe il reddito (il PIL) potenziale in assenza dei fattori che il ciclo economico (es.la crisi) ha provocato e la confronta con il dato reale, la differenza viene chiamata output gap.

Supponiamo che uno Stato membro registri un tasso di crescita negativa del 2% ed un deficit pubblico del 6%, la Commissione potrebbe stabilire, secondo i suoi calcoli, che se l’economia del Paese in questione operasse al massimo potenziale il deficit strutturale sarebbe del 2%. In questo caso l’output gap, ovvero la percentuale del deficit imputabile alla congiuntura economica, corrisponderebbe al -4%.
In questo caso la Commissione Europea, in considerazione del fatto che le attuali regole europee incluse nei trattati stabiliscono che il deficit strutturale (non quello nominale o reale!) debba essere contenuto entro lo 0,5% del PIL per i Paesi che hanno un rapporto debito/PIL maggiore del 60% e del 1% per gli altri, che quel Paese debba operare una correzione di bilancio pari al 1,5% (non del 5,5%!) e questo non necessariamente in un anno ma anche su più esercizi (solitamente un triennio). Ad esempio potrebbe chiedere a quel governo di effettuare una correzione di bilancio pari allo 0,5% per un triennio.
In ogni caso occorre rammentare che gli Stati possono temporaneamente deviare dall'obiettivo del pareggio di bilancio strutturale, o dal percorso di aggiustamento, nel (solo) caso di circostanze eccezionali, ossia di eventi che sfuggono al suo controllo.
Si tranquillizzino insomma coloro che da una parte si preoccupano di ricevere cartelle esattoriali da Bruxelles per deficit eccessivo e dall'altra invece chi vorrebbe infliggere penali ai governi stranieri. La Commissione Europea ogni volta apre una pratica di infrazione ma prima di tutto valuta la situazione e concorda con il governo interessato le misure da adottare. Finora nonostante il Fiscal Compact, il Six Pack ed il Two Pack nessun governo ha ricevuto sanzioni.

La Spagna
Venendo all'oggetto di discussione di ieri sul social forum, alcuni di coloro che hanno replicato alla Prof.ssa De Romanis dovrebbero leggere il rapporto della Commissione Europea che la stessa ha stilato come ogni anno nel mese di Novembre nei riguardi della Spagna come di tutti gli altri Paesi membri dell'Unione Europea e guardare la stima dell'output gap e le misure che la Commissione stessa chiede al governo di Madrid per rientrare nei parametri previsti.
Alla Spagna sono state richieste misure di riduzione del differenziale tra il deficit strutturale stimato e quello ammesso dai trattati ed il governo lo sta attuando sebbene non sia semplice rispettarlo alla lettera. La correzione viene poi inserita nel bilancio nominale di previsione, ad esempio per l'anno 2015 la Commissione Europea aveva concesso un deficit nominale del 4,8%, quello effettivo è stato del 5,1%. La Commissione Europea valuterà le ragioni e nel caso chiederà al governo spagnolo ulteriori misure. L'economia spagnola in ogni caso sta crescendo a tassi apprezzabili, la disoccupazione scende sensibilmente e quindi l'output gap si riduce man mano di conseguenza e così sta facendo anche il deficit (meno disoccupazione = meno spese di welfare).
Chi contesta che la Spagna non stia applicando alcuna (o poca) austerità dovrebbe informarsi circa le misure intraprese per ridurre o contenere alcune voci di spesa iniziando con:


disponibile all'indirizzo internet del Ministero dell'Economia dove può trovare anche l'attuazione del Programma di Stabilità:


Mentre per il principio di calcolo del PIL potenziale ed il saldo strutturale, nel sito internet del Dipartimento del Tesoro del nostro Ministero dell'Economia trova questo documento:


Informarsi fa sempre bene, si evitano brutte figure e si da una mano al Paese a crescere.

venerdì 12 agosto 2016

L'Italia ha bisogno di una "Agenda Schröder"

Con la divulgazione da parte del nostro Istituto Nazionale di Statistica del dato previsionale del Prodotto Interno Lordo relativo al secondo trimestre, si confermano le difficoltà in cui versa ancora la nostra economia. Una difficoltà che non accenna a scomparire nonostante i vari interventi dei nostri ultimi governi. Già, ma quali interventi? Siamo sicuri che si siano adottate quelle azioni che sarebbero dovute essere le più efficaci e non invece qualche misura giusto per tamponare? Il Jobs-Act è fondamentalmente una buona legge, almeno dal mio punto di vista, ma non aumenta l'occupazione. Il suo obiettivo era infatti quello di diminuire la quota di contratti precari a favore di quelli stabili. E così è avvenuto. Ma per aumentare l'occupazione, il cui tasso è uno dei più bassi tra i Paesi maggiormente industrializzati, occorre aumentare la produzione sia di beni che di servizi. Bisogna agire sia sulla domanda riducendo la pressione fiscale e sia sull'offerta agendo allo stesso modo sulla pressione fiscale che grava sulle attività e operare in quelle aree che oramai sono a conoscenza di tutti: ridurre la burocrazia, lotta all'evasione fiscale e alla corruzione, migliorare la Giustizia velocizzandola. Insomma tutte cose che sappiamo da anni e che ripetiamo ogni anno, ogni mese, ogni giorno, senza però mettere in pratica ciò che serve.

Ad oggi in alcuni casi conviene quasi aprire e proseguire una attività eludendo le regole in vigore piuttosto che rispettarle correndo il rischio di dover poi chiudere nell'attesa di ottenere tutte le autorizzazioni. Conviene anche non pagare i fornitori, tanto prima che la Giustizia faccia il suo corso il fornitore fa prima ad andare in pensione o fallire.
L'Italia poi è divisa in due, o forse in tre macroaree. Una, principalmente localizzata nel settentrione, che sta registrando tassi di crescita se non proprio apprezzabili almeno sufficienti. Un meridione, che tranne qualche eccezione, annaspa ed una rimanente terza area che si pone in mezzo. Risultato: una crescita complessiva che rimane confinata tra lo zero e l'1%.

Ma il nostro Paese per la situazione in cui si trova in termini di occupazione (poca), disoccupazione (molta) e tasso di povertà (in crescita e con livelli allarmanti) necessita di tassi annuali di crescita del 2% minimo e dello 0,5% trimestrali, almeno sino a ridurre della metà il tasso di disoccupazione generale, di due terzi quello giovanile e sensibilmente quello della povertà.
Per ottenere questo occorrono misure concrete e coraggiose guardando ad esempi che non sono poi tanto distanti, sia per la distanza geografica che nel tempo, e mi riferisco alla Germania, la Germania che a fine anni '90 non viveva una situazione molto diversa dalla nostra. Cresceva di più, questo sì, cresceva a tassi reali attorno al 1,8% dal 1995 al 1999 mentre l'Italia mediamente faceva qualcosa in più. Per non parlare della Francia che viaggiava, sempre mediamente, oltre il 2% o addirittura della Spagna che correva al 4% circa.
La disoccupazione nel 1998 in Germania era oltre il 9%, le entrate fiscali ammontavano a circa al 45% del PIL mentre la spesa pubblica al 47,5%. Insomma la Germania era considerata dagli economisti la malata d'Europa!

Nel mese di Ottobre del 1998 viene nominato Cancelliere della Germania l'allora Presidente del Bundesrat nonché Presidente del Land della Bassa Sassonia, il socialdemocratico Gerhard Schröder. Schröder sostituì una figura che dieci anni prima era considerata quasi inespugnabile: Helmut Kohl. Ma la situazione economica portò l'elettorato a cambiare ed a preferire un esponente della SPD al posto del governo CDU.
Schröder affrontò subito la situazione mettendo a punto un pacchetto di riforme fiscali (Steuerreform) che furono varate nel Luglio del 2000 dal Bundestag con efficacia dal 2001.
Questo pacchetto riguardava la riduzione della aliquota fiscale di ingresso (la prima, la più bassa), che passò dal 25,9% al 15% e di quella più alta che scese dal 53% al 42%.
Vi fu una riduzione delle imposte sulle società dal 40% sugli utili non distribuiti e del 30% sui dividendi al 25% per entrambi.
Venne introdotta la cosiddetta "Optionsmodell", una facoltà concessa alle società di persone di essere tassati come una società di capitali.
Vennero poi introdotte altre misure a favore delle imprese come ad esempio l'esenzione fiscale sugli utili derivanti dalla vendita di azioni di società di capitali realizzati da altre società di capitali.
Vi sono stati anche maggiori investimenti pubblici, ad esempio alla cultura modernizzando diversi musei e allo sport rinnovando lo stadio olimpico di Berlino (Olympiastadion).
Nel 2001 la pressione fiscale scese sotto il 44%, quasi due punti percentuali in meno dell'anno precedente. La spesa pubblica, che nel 2000 era scesa dal 47 al 44%, salì nel 2001 al 46,8% e poi ancora al 47% nel 2002. Quello fu l'anno in cui la Germania violò il parametro del 3% sul rapporto deficit/PIL stabilito nel Trattato di Maastricht.


(Estratto della relazione redatta dalla Commissione Europea nel 2002 e tratta dal sito internet della stessa)

Nel 2000 il PIL della Germania era crescuto del 3,2% e nel 2001 del 1,8%. Nel 2002 l'economia però risentì della congiuntura mondiale negativa conseguente gli attentati del 11 Settembre 2001. Le esportazioni, cresciute del 17% nel 2000, videro un calo del tasso di crescita nel 2001 al 6,8% e al 2% nel 2002.
L'economia tedesca dal 2002 attraversò una fase in cui non sembrava riprendersi, ma Schröder anziché tornare sui propri passi decise che quella via doveva essere perseguita e per far tornare i conti varò la famosa Agenda 2010 includendo le altrettanto note riforme Hartz, una serie di riforme volte a migliorare il mercato del lavoro e alla riduzione dei costi del welfare. Nominò un ex dirigente Volkswagen, Peter Hartz, a capo di una commissione composta da rappresentanti di ogni settore della società: dirigenti di aziende pubbliche e private, dirigenti sindacali dei lavoratori e delle organizzazioni imprenditoriali, economisti e docenti universitari e anche esponenti politici oltre che di importanti società di consulenza manageriale.


Immaginate il nostro governo realizzare una commissione simile con lo scopo di predisporre una serie di proposte per far uscire il Paese dalla situazione di difficoltà economica! Non l'incarico ad una persona soltanto, ma ad un pool costituito da rappresentanti di tutte le categorie sociali, dove ciascuna fornisce il proprio specifico contributo dal punto di vista del settore che rappresenta.

Nello stesso periodo le organizzazioni di rappresentanza degli industriali e di quelle dei lavoratori giunsero ad un accordo con il fine di ridurre il costo del lavoro per unità di prodotto evitando così la delocalizzazione di massa della produzione verso i Paesi dal minore costo del lavoro (principalmente quelli dell'est Europa). L'accordo prevedeva di far crescere i salari meno della produttività sebbene in linea con l'andamento dei prezzi, il cui aumento si cercò di mantenere basso e difatti in quelli anni il tasso medio di inflazione in Germania è cresciuto meno che altrove mentre la produttività è cresciuta in misura maggiore riducendo sensibilmente, come auspicato, il costo del lavoro per unità di prodotto (ULC).
Il resto è Storia. Esportazioni che dal 2004 crebbero al tasso del 10% (dal 2% dell'anno precedente) e un PIL che dovrà attendere ancora due anni, il 2006, per raggiungere un livello elevato pari al 3,9%.

Ora io non sostengo che si debbano copiare tutte le azioni intraprese dai due governi Schröder, ma almeno seguirne i principi. Nel nostro caso in particolare:
  • Riduzione/ottimizzazione della spesa pubblica attraverso le diverse spending review eseguite
  • Riduzione della pressione fiscale
  • Aumento degli investimenti strutturali (soprattutto vie di comunicazione)
  • Piano di sviluppo delle aree del mezzogiorno puntando sul turismo anziché sulla industrializzazione
  • Riduzione della burocrazia e favorire la nascita di nuove attività di impresa, anche fiscalmente (compatibilmente con le regole europee)
  • Lotta a tutto campo alla evasione fiscale e alla corruzione
  • Miglioramento dei tempi della Giustizia
Alla fine siamo tornati ad elencare tutte cose che si conoscono già, ma che finora sono state prevalentemente argomento di dibattito nei talk-show. Schröder e la Germania le hanno affrontate ed hanno attuato provvedimenti concreti ed i risultati sono evidenti. A noi la scelta se proseguire vivacchiando in uno stato semi-comatoso o rimboccarsi le maniche e cambiare davvero il Paese.

giovedì 11 agosto 2016

Il tanto biasimato surplus della Germania

Se ne parla spesso, se ne parla male = se ne parla spesso male. E' il surplus delle partite correnti o current account in inglese. In tedesco Leistungsbilanz. Il saldo (o conto) delle partite correnti comprende quattro altri saldi (tra parentesi il nome in tedesco):
  1. Saldo merci (Warenhandel)
  2. Saldo servizi (Dienstleistungen)
  3. Il saldo redditi (Primäreinkommen)
  4. Saldo trasferimenti correnti (Sekundäreinkommen)
(Per la descrizione delle diverse voci consiglio di leggere un articolo più ampio riguardante la Bilancia dei Pagamenti scritto dal Prof. Alberto Bagnai, un economista e docente presso l'Università di Chieti-Pescara del quale non condivido gran parte delle sue critiche all'euro, all'Europa e soprattutto alla Germania ed ai motivi per cui le loro aziende oggi esportano così tanto, però devo riconoscere che nelle spiegazioni degli argomenti che insegna è molto chiaro ed efficace.)

La Germania sta conseguendo da alcuni anni un record in termini di surplus delle partite correnti rispetto al PIL e questo viene contestato da molti economisti anche per il fatto che viola un parametro europeo.
Lo scopo di questo articolo è esaminare ora come stanno le cose e anche osservare la questione da un diverso punto di vista da quello fornito dalla maggior parte dei commentatori, smentendo inoltre alcune imprecisioni che vengono dette oltre che descrivere cosa rappresenta in pratica questo surplus e le sue implicazioni.
Vediamo il saldo (o conto) delle partite correnti degli ultimi tre anni:


Il dato dell'anno scorso è decisamente elevato, sia in valore assoluto che in termini percentuali sul Prodotto Interno Lordo che nel 2015 è stato di 3.025,9 mld di euro da cui risulta un rapporto Current account/PIL del 8,5%, ben oltre il limite superiore stabilito dalla Commissione Europea che è del 6%.
Come si può notare la componente maggiore è rappresentata dal saldo merci, mentre i servizi registrano un valore negativo così come il saldo trasferimenti. Ma anche il saldo redditi merita una annotazione in quanto, per quello che rappresenta, un dato di oltre 60 mld è decisamente elevato, pari a poco più del 2% del PIL. Il saldo redditi infatti esprime la differenza tra i redditi da lavoro e da capitale conseguiti all'estero da soggetti residenti in Germania e quelli conseguiti in Germania da residenti stranieri. Va precisato che la quasi totalità di questo ammontare è costituito da redditi vari da investimento (Vermögenseinkommen). La somma del PIL con i redditi netti dall'estero (o RNE), in questo caso con i 60 ed oltre mld di euro della Germania, costituisce il Prodotto Nazionale Lordo (PNL = PIL + RNE). Nel 2015 il PNL è risultato quindi ben maggiore del PIL, infatti il PIL è stato di 3.025,9 mld di euro ed il PNL di 3.091,3 mld, segno di un Paese altamente in salute.
Considerando che i servizi ed i trasferimenti netti dall'estero compensano questo importo, possiamo quindi concentrarci sulla componente determinante, ovvero il saldo merci.

Credo sia intuitivo comprendere che un Paese che consegue un alto livello di surplus si arricchisca, al contrario di uno che vede invece un forte deficit e questo all'interno di un'area economica che condivide la stessa valuta può rappresentare, o anzi rappresenta davvero una disfunzione. Ecco perché la Commissione Europea ha stabilito dei limiti in termini di surplus e di deficit delle partite correnti in rapporto al PIL, rispettivamente +6% e -4%.
Questo parametro, va precisato, rientra in un elenco di ben 14 parametri che la Commissione stessa ha stabilito all'interno del più ampio Patto di Stabilità e Crescita con lo scopo di consentire una crescita il più possibile uniforme (o se si preferisce il meno difforme) tra le economie dei Paesi aderenti all'Unione Europea.
L'elenco originale in lingua inglese tratto dal sito della Commissione Europea è il seguente:


Sono sottolineati i parametri che Germania (in blu) e l'Italia (in verde) non stanno rispettando. In dettaglio la situazione che la Commissione Europea ha rilevato a fine 2015 per i due Paesi è la seguente: 



I parametri che vengono contestati in quanto non rispettano o non rientrano  nei limiti previsti sono quelli evidenziati nella tonalità più scura. Come si può vedere ambedue i Paesi hanno più parametri in contestazione, non da ultimo il debito eccessivo.

Perché la Germania non viene mai sanzionata?
Questa è una accusa che viene spesso ripetuta, però è priva di motivazione per il semplice fatto che una sanzione non è prevista! Per essere precisi è prevista sì una sanzione, ma solo se il Paese in oggetto non accetta o non rispetta le indicazioni che giungono dalla Commissione Europea per uscire dalla procedura di infrazione e queste indicazioni sono spesso delle azioni concordate insieme ai governi. Nel caso della Germania ad esempio, per quanto riguarda l'eccessivo surplus, il governo tedesco ha concordato delle misure atte a ridurlo però non è così semplice come può apparire. Ma prima di vedere questo aspetto completiamo l'informazione relativa all'iter che viene adottato dalla Commissione Europea.
Quando un Paese è in infrazione perché disattende uno o più parametri di quelli previsti, la Commissione Europea avvia una fase cosiddetta di "allerta" e mette sotto esame il Paese questione. Per ciascun parametro la Commissione assegna una categoria in base alla situazione di gravità in cui si trova:
  1. No imbalance (nessuno squilibrio)
  2. Imbalances (squilibrio)
  3. Excessive imbalances (squilibrio eccessivo)
  4. Excessive imbalances with corrective action (Excessive Imbalance Procedure, EIP) (Squilibrio eccessivo con azione correttiva)
Ogni anno nel mese di Novembre la Commissione Europea predispone una situazione (un report) per ciascuno Stato membro che si trovi a disattendere uno o più parametri, questo report poi viene messo al vaglio dei ministri finanziari che lo discutono, danno un loro parere e discutono le azioni che intendono intraprendere per uscire dalla situazione:


Se le azioni non avessero successo se ne vagliano altre che vengono sempre discusse insieme.
Per coloro che invocano una sanzione nei confronti della Germania perché la vogliono punita per essere troppo competitiva, suggerirei di stare tranquilli perché nell'ordine di gravità noi siamo più esposti, ovvero più vicini a ricevere una sanzione, sanzione che come scritto precedentemente non viene applicata perché il nostro governo discute costantemente con la Commissione Europea misure atte a rientrare dagli squilibri. Chiudo questa parte facendo presente che un po' tutti i Paesi ad oggi si trovano ad avere squilibri macroeconomici:


Come si vede dallo schema l'Italia si trova in una posizione di non deficit eccessivo (al momento stiamo rispettando i limiti concessi dalla Commissione Europea), ma di eccessivo squilibrio per alcuni parametri, primo fra tutti il rapporto Debito/PIL.
La Germania invece si trova in una posizione di squilibrio in merito ad alcuni parametri ma ancora non giudicati eccessivi (Excessive imbalances). Croazia, Francia e Portogallo si trovano addirittura nella condizione sia di squilibrio di alcuni parametri macroeconomici che di deficit eccessivi.

Ma la Germania cosa fa per ridurre il surplus?
Il surplus commerciale non è come un avanzo di bilancio pubblico, è semplicemente un valore contabile che è dato dalla differenza tra quanto migliaia di attività vendono all'estero e quanto altrettante migliaia importano, attività che non sono le medesime infatti ci possono essere aziende che importano o che esportano solamente. Questo in risposta a chi propone che una parte di questo surplus la Germania lo distribuisca agli altri Paesi. Ammesso di voler distribuire ad esempio i 75 mld di euro di eccessivo surplus (quello oltre il 6% del PIL stabilito) dove si vanno a prendere? Si tassano le aziende che esportano? Si tassano un po' tutti? Di sicuro non nelle casse nel governo perché non è li che finisce il surplus.
Più coerentemente la Commissione Europea ha chiesto al governo di Berlino di incrementare gli investimenti ed ha auspicato che anche i redditi aumentino, in maniera da avere un conseguente incremento della domanda aggregata, in questo modo da più consumi si avrebbe un aumento anche delle importazioni. Il governo Merkel, nonostante non allenti di molto i cordoni della borsa in quanto non intende andare a deficit, ha comunque predisposto un piano finanziario che prevede un incremento della spesa pubblica:


Occorre però precisare che recentemente i consumi delle famiglie hanno registrato un tasso di incremento più marcato rispetto al passato, passando dai 2.001 mld di euro del 2011 ai 2.222 del 2015, pari ad un incremento medio del 2,7% annuo. Ha inoltre dato un contributo la decisione di fissare un livello minimo di retribuzione oraria di 8,50 euro dal 01.01.2015 che passeranno a 8,84 euro dal 2017.
Però il governo non ha influenza sulle retribuzioni del settore privato, quella è una questione che riguarda strettamente le parti sociali.

Perché il surplus non si riduce e dove è conseguito?
Qui veniamo probabilmente ad affrontare le domande che più vengono poste e più interessano. La Germania ha recentemente visto variare la sorgente dalla quale trae il suo surplus commerciale (di beni). Se prima era prevalentemente dai Paesi dell'area euro, da un quinquennio le cose si sono invertite, il surplus dall'eurozona è progressivamente calato (anche se rimane elevato) mentre è cresciuto progressivamente quello dai Paesi extra eurozona:


(EWU-Länder sono i Paesi dell'eurozona e sono rappresentati dal colore blu, mentre gli altri da quello grigio. Warenausfuhr e Wareneinfuhr sono rispettivamente le esportazioni e le importazioni mentre Außenhandelssaldo è il saldo commerciale).

C'è una osservazione importante da fare riguardo l'andamento delle esportazioni e delle importazioni. Se guardiamo al dato del 2015 della crescita delle esportazioni e delle importazioni ai prezzi correnti, rileviamo che sono aumentate rispettivamente del 6,4% e del 4%, mentre se li rileviamo in volume, ovvero a prezzi costanti e concatenati, l'andamento registrato è l'inverso con una crescita rispettivamente del 5,4% e del 5,7%. Questo significa che le merci entrate sono aumentate più di quelle uscite in termini di quantità (in volume) ma essendo i prezzi delle seconde diminuite di molto (in particolare le materie prime con il petrolio in testa), in valore l'incremento risulta essere minore e addirittura inferiore a quello delle esportazioni rispetto al periodo precedente.


L'incidenza dell'andamento dei prezzi ed in particolare del calo di quello dei prezzi importati è ben visibile da questo grafico che mostra l'andamento dell'indice dei prezzi dei prodotti sia importati che esportati con base indice 2010:


Come si può notare, dalla metà del 2014 si è via via accentuata una forbice tra i prezzi dei prodotti esportati (linea tratteggiata) e quella dei prezzi importati (linea continua).
E' chiaro che con una spesa inferiore per le importazioni dovuta ad un crollo delle materie prime ed una riduzione, sebbene inferiore, del prezzo anche degli altri beni importati mentre nel contempo quello dei prodotti esportati vede un calo inferiore, la riduzione del surplus si fa più difficile. Se poi aggiungiamo che il calo dell'euro, grazie alle politiche monetarie della Banca Centrale Europea, hanno reso i prodotti made in Germany più competitivi, ne deriva che è un obiettivo alquanto arduo da ottenere.

Un altro fattore che incide sul valore delle importazioni è dato dal notevole incremento di prodotti importati dall'oriente, che sono notoriamente più convenienti in termini di prezzo rispetto a quelli ad esempio europei. Basti pensare che nel 2001 le importazioni dalla Cina ammontavano a soli 20 miliardi di euro, nel 2009 sono arrivate a 56,7 mld e nel 2015 hanno raggiunto i 91,5 mld. Per avere un ordine di paragone, le importazioni dall'Italia nel 2015 sono state di 49 mld. E' evidente come gli oltre 90 miliardi di beni importati dalla Repubblica Cinese hanno sostituito potenziali acquisti da altri Paesi ed in particolare da quelli europei e facilmente hanno contribuito a ridurre l'ammontare di spesa dei beni importati.
In definitiva se non ci fosse stato il calo delle materie prime e quello degli altri beni importati, se non ci fosse stato l'effetto sostituzione dei prodotti (probabilmente) europei con quelli cinesi e se l'euro non fosse calato rispetto alle altre valute incentivando l'export, facilmente il surplus della Germania sarebbe inferiore.

Una considerazione finale
Sebbene io mi rendo conto che un surplus eccessivo può comportare disfunzioni soprattutto all'interno della stessa area valutaria, dall'altro non posso certo concepire che un governo, in questo caso quello tedesco, per ridurre tale eccesso possa adottare misure atte a frenare le esportazioni delle aziende o viceversa favorire le importazioni dall'estero. Questo falsificherebbe il principio del libero mercato ed anziché incentivare gli altri Paesi a migliorare la propria competitività danneggerebbe quelli che lo sono di più.
E' accettabile pensare di favorire investimenti o adottare misure che puntino ad un aumento dei consumi nel Paese più competitivo, così da avere ripercussioni positive anche sulle sue importazioni, ma non certo una qualsiasi azione volta a frenare le vendite delle aziende più performanti.