domenica 31 luglio 2016

Apologia di ignoranza economica e finanziaria - Euro & Bail-in

Quanti anni sono che abbiamo l'euro? Sedici (e qualche mese)? O 14, se consideriamo da quando lo abbiamo fisicamente per le mani? Sembra incredibile che ancora oggi ci sia qualcuno che metta in discussione il 'cambio' euro-lira a 1936,27, ovvero tante lire per fare 1 euro. C'è chi sostiene che sarebbe stato meglio un rapporto a meno, esempio a 1.500, altri a più di 2.000 lire.
Anziché mostrare un caso recente che riguarda un comune cittadino, che seppur da biasimare dopo tanto tempo ha comunque diritto di esprimere la propria ignoranza in materia, vi faccio vedere un commento al riguardo di qualche mese fa e che vede protagonista un personaggio politico noto ai meno giovincelli:


Prima di affrontare qualsiasi dibattito su quale delle diverse opinioni espresse sia esatta, è bene precisare un fatto che stronca qualsiasi analisi al riguardo:

Non è mai esistito, né poteva esserci, un tasso di cambio tra l'euro ed una qualsiasi valuta che è andata a sostituire, tra cui la lira!

Perché? Semplicemente perché l'euro null'altro è che la trasformazione in moneta circolante (nel rapporto 1:1) di una unità di conto che a sua volta rappresentava un paniere di diverse valute, valute queste (oramai 'quelle', visto che ad oggi non esistono più) che venivano scambiate sul mercato dando vita, loro sì, a rapporti di cambio. Quindi c'era un cambio lira-marco, lira-franco, lira fiorino, marco-franco (che non sono miei amici) etc... ma cambi euro-lira, euro-marco, euro-franco non sono mai esistiti. Per loro si parla infatti di rapporti di conversione.
La differenza consiste che un rapporto di conversione, qualunque esso sia, non altera alcunché, in primis i poteri di acquisto, mentre un tasso di cambio sì!

Si possono fare numerosi esempi per spiegare la differenza. Anche quello per massaie. Se ad esempio una ricetta di un dolce per 4 persone (o porzioni) prevede 2 uova e noi abbiamo a cena 6 ospiti (quindi presumibilmente 6 porzioni) dovremmo mettere 3 uova, giusto? Ogni ospite avrà così la sua porzione esattamente come nel caso delle 2 uova per una torta per 4 persone.
Sostenere che l'euro doveva valere meno (o più) di 1936,27 lire è come se uno dei 6 ospiti (il Cirino Pomicino della situazione) mentre assapora la sua porzione venisse fuori dicendo alla brava cuoca che a suo avviso anziché 3 uova avrebbe dovuto metterne 1 o 4.
Non è ancora chiaro? Nessun problema, ne possiamo fare molti altri di esempi. Intanto molte brave cuoche (e anche cuochi) avranno già capito o saranno sulla buona strada. Quello che è comunque da comprendere (dopo 16 anni!) è che qualsiasi valore fosse la conversione euro-lira, non cambierebbe nulla!

Quello che poteva influire erano semmai i tassi di cambio tra le singole valute che sono state sostituite dall'euro, ma questi tassi furono decisi dal mercato e fissati definitivamente, per passare all'euro, il 31 Dicembre 1998. Dal giorno successivo, ovvero dal 01 Gennaio 1999 le singole valute in questione non sono più state scambiate sul mercato (ma lo è stato l'euro).

Ora aggiungerò qualche considerazione personale che qualcuno potrà trovare irrispettosa, altri magari offensiva se non addirittura autorazzista:

Solo in Italia abbiamo messo in discussione il cambio, pardon... la conversione euro-lira!

In nessun altro Paese che ha adottato la moneta unica europea si mai fatto questo tipo di discussione, segno questo evidente della profonda ignoranza (intesa come non conoscenza) sia economica che finanziaria di base. E non mi rivolgo tanto ai comuni cittadini che possono essere (in parte) giustificati, ma a molti organi di informazione e specialmente ad esponenti politici di rilievo (Paolo Cirino Pomicino è stato Ministro del Bilancio e della Programmazione Economica dal 1989 al 1992).
Provate a cercare (se avete tempo da perdere) un dibattito, una discussione, un articolo a livello politico all'estero circa il tasso di conversione della ex valuta locale contro euro, esempio in Francia per i 6,559 franchi, in Germania per 1,955 marchi e così via:


(Nota: come si può leggere da questa tabella pubblicata dalla Banca d'Italia si parla di tassi di conversione e non di cambio).

Nessun cancelliere tedesco, nessun presidente francese, nessun primo ministro olandese o anche ministri di altri governi hanno mai messo in discussione questi rapporti di conversione. Non c'era alcuna ragione. Solo, qui, solo in Italia, e per giunta da parte addirittura di un primo ministro:


Tra l'altro riuscendo a dire due 'castronate' colossali in una unica affermazione. La prima è appunto confondere il tasso di conversione con il tasso di cambio, la seconda riguarda la stima. Lascio a chi legge indovinare (ammesso che non lo sappia già) perché è una 'castronata' pensare che un tasso di conversione a 1.500 lire per un euro sarebbe stato preferibile alle 1.936,27, comportando in quel caso un danno enorme alle nostre aziende.
Comunque nonostante tutto c'è ancora fiducia negli italiani da parte degli stranieri, almeno verso qualcuno visto che è italiano il presidente della Banca Centrale Europea e quello dell'Autorità Bancaria Europea, i due organismi che si occupano di banche.

E qui veniamo al secondo capito: il Bail-in (noto in lingua italiana come: 'salvataggio interno').
Questa norma, che è contenuta nella normativa relativa alla gestione delle crisi bancarie e nota anche con la sigla BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive), prevede che a fronte, non di una situazione di lieve difficoltà da parte di una banca, ma di vera crisi che richieda un significativo intervento finanziario per evitare il fallimento, prima di invocare un aiuto pubblico (ovvero dei contribuenti) devono farsi carico in parte (almeno l'8% delle passività) gli azionisti ed i creditori (obbligazionisti con titoli - obbligazioni - non garantiti e correntisti oltre l'importo di 100 mila euro) della banca stessa. Rientrano in questa categoria di 'soggetti a rischio' i detentori di obbligazioni subordinate.
In queste settimane si fa un gran parlare di questo fatidico Bail-in: è giusto, è ingiusto? E' addirittura in contrasto con la nostra Costituzione?

Prima di affrontare questo interrogativo e schierarci per l'una o l'altra posizione occorre però puntualizzare una premessa:

Ogni banca deve essere condurre un comportamento corretto ed onesto verso i propri clienti, verso gli investitori, verso chiunque!

Non ha senso discutere di Bail-in se accettiamo che un istituto bancario possa essere aiutato a prescindere da come si è comportato verso il pubblico (clienti e non) e da come hanno agito gli organismi di controllo.
Se una banca è stata amministrata da 'malviventi', perché prima di invocare un aiuto pubblico non si procede verso questi stessi criminali  e verso gli organismi che sono preposti alla sorveglianza ma che non hanno evidentemente svolto adeguatamente il compito a loro assegnato?
Si può procedere con accuse tipo aggiotaggio, truffa, estorsione, falso in bilancio. Se poi come è accaduto per la BPVi ci sono stati esposti che sono stati archiviati allora potrebbe significare che viviamo in un Paese di truffatori garantiti, dove questi saranno anche la minoranza della popolazione ma occupano ahimè molte posizioni di rilievo.
Ebbene, io personalmente mi rifiuto di dover partecipare in qualità di contribuente a qualsiasi forma di risarcimento se accettiamo a priori che questo genere di sistema arrivi a 'graziare' questi malviventi e coloro che in qualche modo li hanno appoggiati o lasciati fare.

Se invece passiamo al caso della banca che si comporta correttamente e illustra i propri dati di bilancio in maniera trasparente, allora la questione riguarda sia l'investitore (nella veste di azionista o di obbligazionista) e sia il risparmiatore (correntista). Nel secondo caso ritengo accettabile che lo Stato provveda a garantire i suoi risparmi, a prescindere dall'importo (non solo entro i 100 mila euro), non fosse altro perché è previsto dall'art.47 della Costituzione, il cui primo comma testualmente recita:

"La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito."

Questo per quanto riguarda i cosiddetti risparmiatori, ma per quanto riguarda gli investitori la posizione, almeno quella mia personale, cambia. Se un cittadino decide di investire parte dei suoi risparmi in forme varie che comunque comportano sempre dei rischi, così come gli eventuali guadagni sono suoi anche le perdite rimangono sue!
E suo è anche il compito di informarsi sulle caratteristiche di quella forma di investimento che sceglie di utilizzare, dei possibili guadagni e dei possibili rischi. Se l'investimento dovesse andare male non può quindi invocare il risarcimento o presunto tale da parte del settore pubblico (Stato o altra istituzione pubblica), ergo dei contribuenti.
Che poi è quello a cui vanno incontro coloro che acquistano azioni oppure obbligazioni di aziende private. Non si comprende come per i medesimi strumenti finanziari emessi da un istituto bancario le regole dovrebbero essere diverse.

Ricapitolando, prima di mettere in discussione la norma del Bail-in occorre che gli organi di controllo preposti siano resi efficienti e soprattutto responsabilizzati, cioè se non dovessero svolgere correttamente la funzione a loro preposta dovranno risponderne, sia in sede penale che nei confronti del Governo, al quale dare la prerogativa di rimuovere a fronte di casi particolari il vertice dell'istituzione sebbene a questa sia comunque garantita l'indipendenza gestionale ed amministrativa.
Una volta realizzato questo presupposto occorre distinguere tra risparmiatore che ha tutto il diritto di vedersi garantiti i propri risparmi in qualunque forma essi rientrino e la figura dell'investitore che si deve assumere invece tutti i rischi che l'investimento comporta, il che include l'onere morale di informarsi in prima persona e non di agire in maniera sprovveduta invocando, nel caso le cose dovessero andare male, la fiducia riposta in questo o in quel funzionario di banca.

venerdì 15 luglio 2016

Non chiamiamola 'guerra di religione'!

Non c'è nessuna guerra di religione in corso! Va ribadito forte e chiaro alla luce degli ultimi tragici fatti di Nizza. La religione è solo presa a pretesto da soggetti che hanno acquisito un odio verso l'umanità. E' come il fenomeno del teppismo negli sport come il calcio, ai cui autori, dello sport, del calcio, non importa nulla. Interessa solo una scusante per sfogare una rabbia repressa attraverso la violenza. E' come alcuni che usano il colore della pelle o altra diversità estetica per individuare una vittima e aggredirla, una vittima quasi sempre indifesa o in minoranza tant'è che spesso gli aggressori agiscono in gruppo contro una o un numero decisamente inferiore di individui. Ve lo immaginate l'idiota di Fermo apostrofare un uomo della stazza di Mike Tyson, se non Mike Tyson stesso, "scimmia africana"?
No, impensabile. No, perché in definitiva sono gente frustrata che cova giorno dopo giorno l'odio verso il prossimo e lo scarica usando a pretesto motivazioni di vario genere: dal presunto tifo sportivo al contrasto politico, dalla religione al colore della pelle o altro.

Nel caso degli attentati di matrice (pseudo) islamica non è molto diverso anche se siamo ad un livello molto più viscerale di odio. Qui il carnefice è addirittura disposto a morire e questo è un fenomeno del tutto nuovo. Nuovo perché il terrorismo non è di per sé un fattore recente, noi ne sappiamo qualcosa, ma l'attentatore non moriva assieme alle vittime.
Ma l'Islam non c'entra! Non c'entra perché come le altre religioni condanna la violenza.

"Chiunque uccida un uomo, sarà come se avesse ucciso l'umanità intera . E chi ne abbia salvato uno, sarà come se avesse salvato tutta l'umanità." (Corano, 5:32)

Il Corano condanna fermamente chi uccide gli innocenti e le vittime degli attentati commessi da terroristi che si professano islamici invocando Allah al momento cruciale sono innocenti. Sono innocenti e sono spesso anche musulmani, altro esempio dell'inconsistenza della tesi che l'obiettivo siano cittadini di altro credo religioso.
Occorre anche rammentare che la maggior parte delle vittime delle guerre provocate da gruppi come l'ISIS sono musulmani, questo purtroppo non viene sottolineato. Ci indignamo comprensibilmente di fronte alle vittime che appartengono alla nostra stessa nazionalità, oppure a quella di altri Stati europei o dei Paesi cosiddetti occidentali, ma rimaniamo (quasi) indifferenti quando le vittime sono cittadini di Paesi mediorientali o dell'Africa. Non riflettiamo sul fatto che gruppi come l'ISIS stanno combattendo in Iraq, in Siria, in Libia e in altre nazioni dove la stragrande maggioranza degli abitanti e quindi delle vittime è musulmana. Quindi dove trova sostegno l'affermazione 'guerra di religione'?

In Gran Bretagna, in Germania ma anche in Italia risiedono milioni di cittadini che si professano musulmani eppure non vanno in giro ad uccidere o aggredire altri individui di altre fedi religiose. Gli attentati accaduti in Francia hanno visto come protagonisti soggetti che risiedevano nel Paese o comunque in Europa (v.Belgio) da molti anni e certamente non sono arrivati a suo tempo con l'intenzione di compiere attentati. Non fosse altro perché nel periodo in cui sono arrivati, gruppi come Al-Quaeda e ancor di più l'ISIS non erano ancora nati.
Sarebbe poi da approfondire come questi gruppi sono nati, come e da chi sono stati finanziati e come si finanziano oggi e da chi sono coperti.

Ora ci sarà il festival delle banalità e delle scemenze, tra chi invocherà la chiusura delle frontiere agli stranieri islamici a chi vorrà addirittura espellere quelli che già sono qui, forse anche gli italiani 'DOC' che si sono convertiti (non si sa mai che non venga anche a loro il desiderio di farsi esplodere in un centro commerciale o in una stazione). Poi ci saranno coloro che esigeranno una condanna ferma da parte dell'Islam 'moderato'. Un po' come pretendere dai cittadini siciliani la ferma condanna a seguito di ciascun delitto mafioso, perché si sa, non tutti i siciliani sono mafiosi ma tutti i mafiosi sono siciliani. O sempre per rimanere in tema ci sarà magari (ma si spera vivamente di no perché di giornalismo spazzatura ne abbiamo fin troppo) la ripetizione di titoli come questo:


Maurizio Belpietro ha tentato di motivare quel titolo sostenendo appunto che non tutti gli islamici sono terroristi, ma tutti (?) i terroristi sono islamici. Stando a questa puerile motivazione, a suo tempo avrebbe pubblicato quindi un titolo come questo:


E se gruppi come Al-Quaeda e l'ISIS rappresentano l'Islam, questi allora rappresenterebbero i cattolici?

domenica 10 luglio 2016

Il Reddito di Cittadinanza del M5S - analisi (di luci e ombre)

Non so quanti abbiano letto il testo del DDL (Disegno di Legge) N.1148 presentato al Senato della Repubblica il 29 Ottobre 2013 da alcuni senatori a nome del gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle, riguardante l'introduzione di un reddito di cittadinanza e di un salario minimo orario.
Io l'ho fatto.
L'ho letto attentamente per intero e a grandi linee l'ho trovo interessante oltre che condivisibile sebbene vi siano alcuni punti che a mio avviso necessitano di chiarimenti oppure per altri di revisione in quanto non condivido pienamente il contenuto, riferendomi in particolare alle stime effettuate.

Prima di iniziare ad analizzare nei dettagli questa proposta di legge è doveroso fare una premessa: un sostegno economico per chi perde il lavoro e contestualmente si impegna a cercarne un altro è doveroso da parte di una società che si vuole definire civile!
Non fosse altro per il fatto che ciascun cittadino attraverso le imposte che versa mentre svolge una attività lavorativa contribuisce alla spesa pubblica per i servizi che essa poi elargisce, servizi che in molti casi non vanno a diretto beneficio di ogni contribuente. Si pensi ad esempio all'istruzione, i docenti di una determinata scuola pubblica vengono retribuiti attraverso la fiscalità generale, ma se un cittadino-contribuente o un suo familiare non la frequentano, il suo contributo va a beneficio di altri, ovvero di coloro che invece saranno iscritti. Oppure per la Sanità, finché si è in salute il contributo va a beneficio di altri.
Quindi se un cittadino contribuisce alla spesa per i servizi offerti dalle AA.PP ai cittadini, in particolare per quelli che non usufruisce e che vanno quindi a beneficio di altri, è doveroso che la società stessa non lo lasci solo nel caso perda il lavoro, non per dargli un sostegno fine a se stesso a prescindere da cosa costui intenda fare, ma a fronte del suo impegno a cercarne attivamente un altro.

Questo è in un certo modo il presupposto che sta alla base del DDL del M5S, anche se per la verità esso si spinge più in la affermando che con "reddito di cittadinanza" si intende un sostegno verso ogni cittadino residente, che sia di nazionalità italiana o facente parte dell'Unione Europea oppure di un Paese terzo con cui si siano stabiliti accordi specifici di reciprocità sulla previdenza sociale.
Nella presentazione il DDL rammenta anche il testo dell'art.34 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea:

Articolo 34 - Sicurezza sociale e assistenza sociale

1.   L'Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali.
2.   Ogni persona che risieda o si sposti legalmente all'interno dell'Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali.
3.   Al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali.

L'Unione Europea (e prima ancora la Comunità Europea) è dal 1992 che chiede a tutti i Paesi aderenti e quindi anche all'Italia di dotarsi di misure a sostegno della povertà e della protezione sociale nel suo complesso. Questo andrebbe ribadito tra le altre cose a chi ritiene che la UE sia solo norme burocratiche.

Ma passiamo ora ad analizzare i punti salienti del disegno di legge seguendo un ordine logico che non rispecchia necessariamente quello dei singoli articoli.

A chi è destinato
Come prima anticipato il testo all'articolo 4 prevede che i beneficiari del reddito di cittadinanza siano cittadini italiani maggiorenni, ma anche dell'Unione Europea oltre che eventualmente stranieri di Paesi con i quali sia in vigore un accordo di reciprocità per quanto riguarda la previdenza sociale.
L'assegno è previsto sia verso chi è del tutto disoccupato e sia verso i cittadini che, nonostante abbiano un reddito (o più), non raggiungano la soglia che corrisponde al livello sotto il quale le convenzioni internazionali lo considerano in uno stato definito a rischio povertà (che verrà approfondito più avanti).

Requisiti
Per ottenere un assegno il testo prevede che il beneficiario debba avere un reddito nullo o inferiore a quello previsto e che varia in base alla composizione del nucleo familiare (singolo, con coniuge ed eventuali figli a carico). Se così a costui sarà concesso un importo pari alla differenza tra l'importo previsto (in funzione del nucleo familiare) ed il reddito che eventualmente il nucleo familiare beneficiario dovesse avere.
Il testo prevede che il beneficiario si impegni però a cercare un lavoro e che sia disponibile quindi ad accettarne uno qualora gli venisse offerto uno dai Centri per l'Impiego. Nel caso dovesse rifiutarsi per tre volte consecutive oppure si licenzi nell'arco di un anno per due volte da lavori che sono commisurati alle sue competenze, costui perde il diritto all'assegno.

Ammontare
Qui entriamo negli aspetti più tecnici della proposta di legge. Il testo prevede che si faccia riferimento alla soglia di povertà relativa stabilita da molti organismi internazionali (tra cui l'Unione Europea), i quali definiscono tale soglia l'equivalente dei 6/10 (sei decimi) del reddito mediano.

Cosa è il reddito mediano (da non confondersi con reddito medio)? Il reddito mediano equivalente è quel livello di reddito che si posiziona esattamente a metà tra quelli rilevati. Un esempio numerico può aiutare a comprendere la differenza tra una media e la mediana. Se prendiamo 5 numeri, ad esempio 1, 3, 4, 8 e 9 (che vanno disposti sempre in ordine crescente o decrescente), la media sarà la somma di essi (1+3+4+8+9) diviso 5 (il totale dei numeri), ovvero 25 : 5 = 5. La mediana è invece rappresentata dal numero centrale 4 in quanto è quel numero che divide esattamente la sequenza in due gruppi equivalenti (due numeri sono sotto e altrettanti sopra). Se il totale dei numeri campione è dispari come in questo esempio, la mediana sarà rappresentata dal numero che si trova nella posizione (n+1)/2, dove "n" è il totale dei numeri oggetto della campionatura. Se l'ammontare dei numeri fosse dispari allora la mediana sarà la media semplice tra i numeri che si trovano rispettivamente nella posizione (n/2) e (n/2)+1.

Nel testo viene menzionato il livello di reddito mediano equivalente calcolato dall'Istat per l'anno 2014 che corrisponde a 15.600 euro, da cui si ricava l'indicatore (o la soglia) ufficiale di povertà pari ai 6/10 di 15.600, ovvero 9.360 euro annui e 780 euro mensili. Quindi secondo le convenzioni internazionali e della stessa Unione Europea chi ha un reddito inferiore a tale soglia è considerato a rischio povertà.
Il reddito di cittadinanza intende quindi dare ad ogni beneficiario la differenza tra quanto egli percepisce e quel livello rettificato in funzione della composizione del nucleo familiare utilizzando i seguenti coefficienti (rispetto al dato base):

- Coniuge = 0,5
- Figli minori di anni 14 = 0,3
- Figli di anni 14 o maggiori = 0,5

Pertanto per l'anno 2014 si sarebbe avuta questa situazione (un estratto) nel caso fosse in vigore la legge proposta:


A ciascuna composizione del nucleo familiare corrisponderebbe un livello di reddito al di sotto del quale scatterebbe il diritto ad ottenere l'assegno integrativo.

Personalmente reputo questa definizione piuttosto fuorviante e valida se ci si riferisce strettamente alla definizione ufficiale che definisce i percettori di reddito al di sotto di quella soglia "a rischio povertà", ma non necessariamente poveri. Ritengo infatti che sarebbe preferibile utilizzare un diverso parametro, ad esempio quello che è utilizzato in Germania (v.Hartz IV o Arbeitslosengeld II) dove si calcola un livello di reddito necessario a soddisfare i bisogni strettamente necessari (ad eccezione di canone di affitto e bollette dell'energia). In Germania infatti l'ufficio federale di statistica predispone un paniere di beni e servizi di base e ne determina sia il costo medio mensile che il peso sul totale e per l'anno 2016 corrisponde a € 404,00 base per un singolo:


da cui poi si aggiungono eventualmente gli importi in base alla composizione del nucleo familiare:


Quindi ad esempio 364 euro (mensili) per il coniuge, 324 euro per eventuali altri adulti inclusi nel nucleo familiare, 237 euro per figli fino a 5 anni, 270 euro per figli da 6 a 13 anni e 306 euro per figli da 14 a 17 anni.
In sostanza non differisce concettualmente dal testo proposto nel DDL del M5S, se non per il calcolo della soglia alla quale scatta il diritto al sostegno economico che, dal mio personale punto di vista, è troppo 'generosa' in quanto si affida ad una definizione statistica un po' discutibile in questo ambito!

Diritto all'abitazione
L'articolo 13 del DDL prevede il diritto all'abitazione per ogni cittadino e nei confronti di coloro che non fossero proprietari di un immobile il testo prevede che si faccia riferimento al Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione (art.11 della Legge n.431 del 09 Dicembre 1998), mentre per i cittadini proprietari di una unità immobiliare principale che avessero un mutuo in corso vi sarebbe anche per loro un sostegno, previsto dalla Legge n.244 del 24 Dicembre 2007.
Sicuramente misure condivisibile, però da rivedere alla luce dei numerosi episodi in cui da una parte vi sono cittadini in cerca di una abitazione e dall'altra molte abitazioni sfitte.

Obblighi
Come anticipato il DDL prevede che il beneficiario del reddito di cittadinanza si impegni attivamente nella ricerca di una occupazione e che si renda disponibile ad accettare una eventuale proposta di lavoro proveniente dai Centri per l'Impiego se in linea con il suo profilo professionale. Nel caso dovesse rifiutarne tre consecutivamente, oppure si licenzierà senza giustificato motivo da due occupazioni nell'arco di un anno, perderà il diritto al reddito di cittadinanza.

Mentre condivido il principio in base al quale il beneficiario si renda disponibile ad accettare una proposta di lavoro oltre che a cercarlo attivamente, non mi convince la parte in cui si fa riferimento al tipo di lavoro che deve essere in linea con il suo profilo professionale. Posso infatti comprendere che se uno possiede un titolo di studio elevato e ha svolto attività dirigenziale possa avere da ridire nello svolgere un lavoro considerato di basso profilo, ma non accetterei che stando ad una interpretazione letterale del testo a costui si possano offrire solamente lavori di alta qualifica. Traducendo, se uno ha fatto ad esempio il responsabile commerciale non vedo perché dovrebbe rifiutare una offerta che preveda il ruolo di semplice impiegato, sempre in ambito commerciale (o similare). Questa parte insomma, prevista specificatamente nel comma 4 dell'articolo 9 andrebbe precisata meglio:


Costi e copertura finanziaria
Secondo una stima inserita nella presentazione del DDL e che fa capo ad uno studio dell'ISTAT, per l'anno 2014 il costo che sarebbe derivato dall'applicazione del reddito di cittadinanza sarebbe stato di circa 15,5 miliardi di euro e che per gli anni 2015 e 2016 erano stimati rispettivamente in circa 17 mld e 16 mld, ambedue gli importi inseriti nell'art.20 del DDL. Per quanto non abbia dati per confutare tali cifre, mi sembrano comunque valori molto ottimistici considerando che ad esempio in Germania la misura simile, l'Arbeitslosengeld II (o Hartz IV) è costata al governo federale tedesco ed ai comuni qualcosa come 450 miliardi tra il 2005 - quando fu introdotta - ed il 2014. Una media insomma di circa 45 miliardi all'anno e sebbene si debbano fare le opportune differenze (popolazione, numero di beneficiari e contenuto della misura) credo che la stima valutata dai relatori del DDL sia da rivedere attentamente alla luce sia dell'importo previsto (superiore ad esempio a quello tedesco) che dei potenziali beneficiari. Perché un conto sarebbe passare di 16 o 17 stimati a uno o due miliardi in più (che non sarebbero comunque pochi!), ma altro se l'errore fosse dell'ordine di 5 o più miliardi.

Altro aspetto da rivedere è la presunta copertura finanziaria che nello stesso articolo 20 dovrebbe provenire da tassazioni e imposte diverse: 600 milioni da una imposta sui giochi; 3.500 milioni proverrebbero da fondi non più disponibili del Ministero della Difesa; 4.500 milioni da risparmi di spesa ottenuti grazie ad un maggior efficientamento degli acquisti da parte delle PP.AA. e poi un certo numero di altre misure tra cui una imposta sui grandi patrimoni. Insomma un collage di varie entrate e qualche spending review.
Io sarei più propenso a una base derivante da un contributo da parte di lavoratori e imprese verso un fondo contro la disoccupazione e poi secondariamente da altre fonti. In Germania ad esempio ad oggi i lavoratori e le imprese versano un contributo del 1,5% ciascuno del reddito imponibile del lavoratore al fondo disoccupazione (Arbeitslosenversicherung).
Considerando ad esempio che gli occupati ad oggi in Italia sono circa 22 milioni e 670 mila e prendendo il reddito medio annuo dei lavoratori dipendenti che è poco più di 20 mila euro, ne deriva che applicando una aliquota complessiva del 3%, metà a carico del lavoratore e metà al datore di lavoro, si avrebbe un gettito di circa 13,6 mld di euro destinato al fondo per la disoccupazione, circa l'80% della stima maggiore (17 mld) prevista dal DDL. Se si portasse l'aliquota al 4% (sempre metà tra lavoratore e imprese) il gettito sarebbe di circa 18 miliardi. Ritengo preferibile partire da questa forma di copertura finanziaria per poi eventualmente integrarla con altre entrate o risparmi di spesa piuttosto che affidarsi solamente a queste ultime.

Salario minimo orario
Con l'art.19 il DDL affida al governo la delega per l'introduzione di un salario minimo orario che nel comma 2 a è fissato a € 9,00, un po' tanti visto che ad esempio in Germania, dove in media i salari sono molto più alti che in Italia, il salario minimo è attualmente di € 8,50 e negli Stati Uniti in gran parte degli Stati si va dai 7,25 USD fissati dal governo federale agli 8,50 USD.

Conclusioni
La proposta di introdurre una misura di reddito per chi perde il lavoro è doverosa e urgente. Andrebbe però rivista la platea dei beneficiari e soprattutto la stima del suo costo che appare un po' (troppo) bassa. Un conto infatti è prevedere un sostegno economico per chi perde il lavoro oppure per chi si trovasse in particolari condizioni disagiate, altro è includere soggetti che di punto in bianco decidono di iscriversi nelle liste di chi cerca lavoro (esempio neo laureati o chi fino a quel momento aveva scelto di non lavorare) e che da come è previsto dal DDL avrebbe diritto di ricevere sin da subito l'indennità. Solo questo fatto dovrebbe far capire ai relatori che la stima da loro fatta è passibile di errori di valutazione non trascurabili.
Da rivedere poi le coperture finanziarie, un po' naif le definirei, il fatto di contemplare una serie non trascurabile di svariate entrate e qualche taglio di spesa, considerato che altrove è previsto dappertutto un contributo minimo ad hoc per il fondo contro la disoccupazione.

Comprendo la buona fede dei relatori ma occorre anche rimanere con i piedi per terra. La stessa definizione di reddito di cittadinanza richiama una misura che ad oggi ritengo di difficile applicazione, più razionale una misura del tipo: assegno di disoccupazione.