domenica 26 giugno 2016

Pro-euro? No, contrario al ritorno della vecchia politica monetaria (e fiscale) della lira!

Mentre in Italia come negli altri Paesi dell'Unione Europea si sono sollevati i cori roboanti degli euroscettici, siamo in attesa di conoscere cosa farà la Gran Bretagna dopo l'esito del referendum popolare, che è di tipo consultivo e non vincolante, perché qualcuno da loro sta già chiedendosi se abbiano mai commesso una fesseria...


...con la Cancelliera Merkel che frena sull'avvio delle previste trattative di separazione, probabilmente perché da Londra non è arrivata ancora la certezza di una richiesta formale e la questione non è di poco conto se si considera la posizione della Scozia:


Insomma, l'uscita della Gran Bretagna non è cosa certa al momento sebbene non sia semplice per il governo britannico andare contro la volontà popolare.

Ma venendo alle discussioni in casa nostra, capita spesso di essere definiti come pro-euro da chi vorrebbe uscirne per riadottare una moneta nazionale. Questa classificazione di "pro- o contro-euro" è in termini formali errati in quanto l'euro l'abbiamo già. Sarebbe come se negli Stati Uniti qualche politico proponesse allo Stato del Mississippi di adottare una moneta diversa dal dollaro. Oppure alla Scozia di sostituire la sterlina. Ambedue le condizioni non si potrebbero definire rispettivamente pro- o contro dollaro e sterlina, ma semmai pro- o contro la nuova moneta. Insomma non si può essere favorevoli o contrari a qualcosa che è già in vigore! Questo per dire che nel caso italiano formalmente la contrapposizione è semmai tra favorevoli all'adozione (o ritorno) di una moneta nazionale e contrari.

Personalmente non sono, o meglio non sarei, contrario in linea di principio a lasciare l'euro per la lira (o comunque la si vorrà chiamare) se mi venisse dimostrato che questo passaggio avrà conseguenze migliori del rimanere con l'euro.
E non basta che qualcuno mi dica che oggi con l'euro non abbiamo una crescita accettabile e più genericamente una situazione economica e sociale negativa. Mi si deve dimostrare che con una moneta nazionale avremo effetti migliori!
Finora ho sentito solo critiche all'euro e all'Unione Europea, ma ben poco di come si avrebbero benefici nell'abbandonare uno o entrambi. Le repliche più frequenti sono i ricorsi agli anni passati in cui avevamo la lira, ma costoro non tengono conto in primo luogo che i tempi erano ben diversi ed in secondo luogo che la situazione non era poi così migliore. Si cresceva a tassi più elevati, ma si usciva da una situazione di guerra. Il mondo era diviso in macroaree geoeconomiche non molto differenziate al loro interno.
Una azienda italiana aveva come competitor produzioni realizzate in occidente e quindi non si trovava in condizioni particolarmente svantaggiate. Oggi non solo molte di esse sono costrette a delocalizzare per ragioni di competitività ma anche di convenienza grazie ai minori costi che nessun deprezzamento potrà mai compensare
.
Durante il periodo in cui non avevamo vincoli, ovvero da quando cessò di esistere Bretton Woods (1971) a quando iniziò lo SME (1979), non è vero che la situazione finanziaria del Paese fosse così solida. Nel 1974 il governo Rumor chiese un prestito alla Bundesbank (!) per ben 2 mila miliardi di lire di allora dando in pegno 500 tonnellate di oro conservate dalla Banca d'Italia. Alla faccia di coloro che oggi sotto la tanto proclamata 'sovranità monetaria' decantano la facoltà di stampare moneta. Questi fatti gli economisti pro-exit si guardano bene dal rammentarlo.

Si sentono ribadire frequentemente i vantaggi conseguiti in occasione dell'uscita dallo SME nel 1992 e alla seguente svalutazione della lira sul fronte del commercio internazionale, con un aumento delle esportazioni e un calo delle importazioni che hanno migliorato sensibilmente la bilancia commerciale. Vero, ma gli economisti che rievocano questi esiti positivi non menzionano però anche la contropartita, in questo caso alquanto negativa, ovvero l'andamento dell'occupazione:


Dall'uscita dallo SME (fine 1992) al 1995 si persero oltre 850 mila posti di lavoro e qualcuno ricorderà che nella campagna elettorale del 1994 Silvio Berlusconi promise un milione di posti di lavoro, promessa che era appunto legata al fatto che è relativamente più semplice riassorbire un recente calo di occupati che una creazione di nuovi posti di lavoro che necessita di nuove aziende. Insomma l'uscita dallo SME non ebbe ripercussioni solo positive. Questi posti furono riassorbiti (o creati) dal 1996, ovvero quando rientrammo nello SME mentre il surplus della bilancia commerciale nel contempo si ridusse, segno che non c'è una diretta corrispondenza tra i due fattori. E questo perché da noi la quota di export era del 20% circa del PIL negli anni della lira, passata recentemente al 25% (durante l'euro), quindi conta molto di più l'andamento della domanda aggregata interna che il commercio internazionale. I sostenitori del ritorno alla lira si affannano a occuparsi del commercio estero mentre il nostro vero problema è la domanda interna.

Altro fronte da tenere in considerazione è quello dei tassi di interesse sul debito pubblico. Grazie all'appartenenza all'eurozona e alle politiche monetarie della Banca Centrale Europea l'Italia paga oggi un tasso di interesse medio del 1,5% sui titoli decennali nonostante abbiamo un basso rating. L'India, che ha un debito del 67% sul PIL, una inflazione del 5,8% e un tasso di crescita del PIL del 1,7%, paga un prezzo del 7,7% sui bond sovrani decennali e ha un rating simile a quello dell'Italia. Paga quindi il 2% in termini reali contro il nostro 1,5%.
La Gran Bretagna sul decennale paga poco più del 1% a fronte di una inflazione dello 0,3% e gli USA del 1,5% a fronte di una inflazione dello 0,8% ed entrambi godono di un rating ai massimi livelli.
Cosa ne deriva da questi dati? Che i rendimenti sono oggi alquanto allineati a dispetto dei diversi rating e che abbandonando l'euro per tornare alla lira possiamo solo correre il serio rischio di pagare di più, anche se di poco. Finora quindi non si vedono quali vantaggi si possano avere dall'abbandonare l'euro.

Rimane la politica fiscale, ovvero la prospettiva di spendere a deficit pagandolo o con l'emissione di titoli da collocare sul mercato o 'stampando moneta'. Ma se tornassimo alla lira non avrebbe senso un bilancio a deficit simile a quello odierno, cioè di pochi punti percentuali sul PIL, ma ne avrebbe se questo fosse almeno del 5%.
Davvero si pensa che la spesa a deficit genera crescita? Se così fosse dovremmo essere noi a trovarci in condizioni migliori rispetto alla media sia europea che mondiale e non sotto. Se osserviamo le nazioni che hanno conseguito una crescita sostenuta in un lungo periodo si vede come queste hanno quasi tutte un basso rapporto debito/PIL:


I dati non sono aggiornati, l'Irlanda ad esempio nel 2015 ha ridotto il debito al 94% del PIL, ma già da questa tabella emerge che generalmente i Paesi con un peso maggiore di debito, o meglio di variazioni elevate dello stesso nel tempo (conseguente a politiche di alti deficit), hanno registrato bassi livelli di crescita e viceversa.
Ed è questo il punto principale in questione dal mio punto di vista: è da millantatori far credere ai cittadini che con una, così chiamata, sovranità monetaria si ha la possibilità di poter far fronte a qualsiasi spesa in quanto così non è mai stato da parte di qualsiasi nazione nella storia. Un conto sono interventi temporanei al fine di far ripartire l'economia al momento in cui questa sta attraversando una fase di crisi incrementando gli investimenti (non la spesa corrente), altro è che anche in presenza di crescita sia possibile far pagare poche tasse ai cittadini e avere allo stesso tempo un elevato livello di servizi grazie al fatto che la differenza tra entrate ed uscite verrà compensata da emissione di base monetaria da parte della banca centrale.

Tornare alla lira non farà poi rientrare in Italia la produzione di aziende come ad esempio Benetton, oggi quasi interamente all'estero, e allo stesso tempo non impedirà alle aziende di delocalizzare la produzione di basso valore aggiunto fuori confine in Paesi con un costo del lavoro ineguagliabile da qualsiasi moneta sia adottata e a qualsiasi svalutazione questa possa subire. Il mondo con la globalizzazione è cambiato profondamente rispetto a quello che si è conosciuto dal dopoguerra fino alla fine dello scorso millennio. Le barriere ideologiche sono crollate, i Paesi che prima erano basati su una economia pianificata, oggi si sono convertiti (anche se non completamente) all'economia di mercato. I costi della logistica per portare una qualsiasi merce da una zona ad un'altra si sono ridotti considerevolmente. Oggi anche una realtà di medie dimensioni può trasferire la produzione a migliaia di chilometri di distanza senza dover investire ingenti cifre e senza eccessivi rischi. Oppure importare prodotti dall'altra parte del globo.
Oggi non c'è più convenienza come in precedenza da parte di una multinazionale straniera, ad esempio statunitense, di investire in Europa (e in Italia in particolare) piuttosto che in Cina o comunque in un Paese nel continente asiatico dove i costi sono decisamente inferiori.

Occorre quindi prendere atto della nuova era che si è avviata da diversi anni anni e guardare avanti, non pensare che la moneta possa rappresentare una sorta di macchina del tempo.

Nessun commento:

Posta un commento