domenica 10 luglio 2016

Il Reddito di Cittadinanza del M5S - analisi (di luci e ombre)

Non so quanti abbiano letto il testo del DDL (Disegno di Legge) N.1148 presentato al Senato della Repubblica il 29 Ottobre 2013 da alcuni senatori a nome del gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle, riguardante l'introduzione di un reddito di cittadinanza e di un salario minimo orario.
Io l'ho fatto.
L'ho letto attentamente per intero e a grandi linee l'ho trovo interessante oltre che condivisibile sebbene vi siano alcuni punti che a mio avviso necessitano di chiarimenti oppure per altri di revisione in quanto non condivido pienamente il contenuto, riferendomi in particolare alle stime effettuate.

Prima di iniziare ad analizzare nei dettagli questa proposta di legge è doveroso fare una premessa: un sostegno economico per chi perde il lavoro e contestualmente si impegna a cercarne un altro è doveroso da parte di una società che si vuole definire civile!
Non fosse altro per il fatto che ciascun cittadino attraverso le imposte che versa mentre svolge una attività lavorativa contribuisce alla spesa pubblica per i servizi che essa poi elargisce, servizi che in molti casi non vanno a diretto beneficio di ogni contribuente. Si pensi ad esempio all'istruzione, i docenti di una determinata scuola pubblica vengono retribuiti attraverso la fiscalità generale, ma se un cittadino-contribuente o un suo familiare non la frequentano, il suo contributo va a beneficio di altri, ovvero di coloro che invece saranno iscritti. Oppure per la Sanità, finché si è in salute il contributo va a beneficio di altri.
Quindi se un cittadino contribuisce alla spesa per i servizi offerti dalle AA.PP ai cittadini, in particolare per quelli che non usufruisce e che vanno quindi a beneficio di altri, è doveroso che la società stessa non lo lasci solo nel caso perda il lavoro, non per dargli un sostegno fine a se stesso a prescindere da cosa costui intenda fare, ma a fronte del suo impegno a cercarne attivamente un altro.

Questo è in un certo modo il presupposto che sta alla base del DDL del M5S, anche se per la verità esso si spinge più in la affermando che con "reddito di cittadinanza" si intende un sostegno verso ogni cittadino residente, che sia di nazionalità italiana o facente parte dell'Unione Europea oppure di un Paese terzo con cui si siano stabiliti accordi specifici di reciprocità sulla previdenza sociale.
Nella presentazione il DDL rammenta anche il testo dell'art.34 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea:

Articolo 34 - Sicurezza sociale e assistenza sociale

1.   L'Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali.
2.   Ogni persona che risieda o si sposti legalmente all'interno dell'Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali.
3.   Al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali.

L'Unione Europea (e prima ancora la Comunità Europea) è dal 1992 che chiede a tutti i Paesi aderenti e quindi anche all'Italia di dotarsi di misure a sostegno della povertà e della protezione sociale nel suo complesso. Questo andrebbe ribadito tra le altre cose a chi ritiene che la UE sia solo norme burocratiche.

Ma passiamo ora ad analizzare i punti salienti del disegno di legge seguendo un ordine logico che non rispecchia necessariamente quello dei singoli articoli.

A chi è destinato
Come prima anticipato il testo all'articolo 4 prevede che i beneficiari del reddito di cittadinanza siano cittadini italiani maggiorenni, ma anche dell'Unione Europea oltre che eventualmente stranieri di Paesi con i quali sia in vigore un accordo di reciprocità per quanto riguarda la previdenza sociale.
L'assegno è previsto sia verso chi è del tutto disoccupato e sia verso i cittadini che, nonostante abbiano un reddito (o più), non raggiungano la soglia che corrisponde al livello sotto il quale le convenzioni internazionali lo considerano in uno stato definito a rischio povertà (che verrà approfondito più avanti).

Requisiti
Per ottenere un assegno il testo prevede che il beneficiario debba avere un reddito nullo o inferiore a quello previsto e che varia in base alla composizione del nucleo familiare (singolo, con coniuge ed eventuali figli a carico). Se così a costui sarà concesso un importo pari alla differenza tra l'importo previsto (in funzione del nucleo familiare) ed il reddito che eventualmente il nucleo familiare beneficiario dovesse avere.
Il testo prevede che il beneficiario si impegni però a cercare un lavoro e che sia disponibile quindi ad accettarne uno qualora gli venisse offerto uno dai Centri per l'Impiego. Nel caso dovesse rifiutarsi per tre volte consecutive oppure si licenzi nell'arco di un anno per due volte da lavori che sono commisurati alle sue competenze, costui perde il diritto all'assegno.

Ammontare
Qui entriamo negli aspetti più tecnici della proposta di legge. Il testo prevede che si faccia riferimento alla soglia di povertà relativa stabilita da molti organismi internazionali (tra cui l'Unione Europea), i quali definiscono tale soglia l'equivalente dei 6/10 (sei decimi) del reddito mediano.

Cosa è il reddito mediano (da non confondersi con reddito medio)? Il reddito mediano equivalente è quel livello di reddito che si posiziona esattamente a metà tra quelli rilevati. Un esempio numerico può aiutare a comprendere la differenza tra una media e la mediana. Se prendiamo 5 numeri, ad esempio 1, 3, 4, 8 e 9 (che vanno disposti sempre in ordine crescente o decrescente), la media sarà la somma di essi (1+3+4+8+9) diviso 5 (il totale dei numeri), ovvero 25 : 5 = 5. La mediana è invece rappresentata dal numero centrale 4 in quanto è quel numero che divide esattamente la sequenza in due gruppi equivalenti (due numeri sono sotto e altrettanti sopra). Se il totale dei numeri campione è dispari come in questo esempio, la mediana sarà rappresentata dal numero che si trova nella posizione (n+1)/2, dove "n" è il totale dei numeri oggetto della campionatura. Se l'ammontare dei numeri fosse dispari allora la mediana sarà la media semplice tra i numeri che si trovano rispettivamente nella posizione (n/2) e (n/2)+1.

Nel testo viene menzionato il livello di reddito mediano equivalente calcolato dall'Istat per l'anno 2014 che corrisponde a 15.600 euro, da cui si ricava l'indicatore (o la soglia) ufficiale di povertà pari ai 6/10 di 15.600, ovvero 9.360 euro annui e 780 euro mensili. Quindi secondo le convenzioni internazionali e della stessa Unione Europea chi ha un reddito inferiore a tale soglia è considerato a rischio povertà.
Il reddito di cittadinanza intende quindi dare ad ogni beneficiario la differenza tra quanto egli percepisce e quel livello rettificato in funzione della composizione del nucleo familiare utilizzando i seguenti coefficienti (rispetto al dato base):

- Coniuge = 0,5
- Figli minori di anni 14 = 0,3
- Figli di anni 14 o maggiori = 0,5

Pertanto per l'anno 2014 si sarebbe avuta questa situazione (un estratto) nel caso fosse in vigore la legge proposta:


A ciascuna composizione del nucleo familiare corrisponderebbe un livello di reddito al di sotto del quale scatterebbe il diritto ad ottenere l'assegno integrativo.

Personalmente reputo questa definizione piuttosto fuorviante e valida se ci si riferisce strettamente alla definizione ufficiale che definisce i percettori di reddito al di sotto di quella soglia "a rischio povertà", ma non necessariamente poveri. Ritengo infatti che sarebbe preferibile utilizzare un diverso parametro, ad esempio quello che è utilizzato in Germania (v.Hartz IV o Arbeitslosengeld II) dove si calcola un livello di reddito necessario a soddisfare i bisogni strettamente necessari (ad eccezione di canone di affitto e bollette dell'energia). In Germania infatti l'ufficio federale di statistica predispone un paniere di beni e servizi di base e ne determina sia il costo medio mensile che il peso sul totale e per l'anno 2016 corrisponde a € 404,00 base per un singolo:


da cui poi si aggiungono eventualmente gli importi in base alla composizione del nucleo familiare:


Quindi ad esempio 364 euro (mensili) per il coniuge, 324 euro per eventuali altri adulti inclusi nel nucleo familiare, 237 euro per figli fino a 5 anni, 270 euro per figli da 6 a 13 anni e 306 euro per figli da 14 a 17 anni.
In sostanza non differisce concettualmente dal testo proposto nel DDL del M5S, se non per il calcolo della soglia alla quale scatta il diritto al sostegno economico che, dal mio personale punto di vista, è troppo 'generosa' in quanto si affida ad una definizione statistica un po' discutibile in questo ambito!

Diritto all'abitazione
L'articolo 13 del DDL prevede il diritto all'abitazione per ogni cittadino e nei confronti di coloro che non fossero proprietari di un immobile il testo prevede che si faccia riferimento al Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione (art.11 della Legge n.431 del 09 Dicembre 1998), mentre per i cittadini proprietari di una unità immobiliare principale che avessero un mutuo in corso vi sarebbe anche per loro un sostegno, previsto dalla Legge n.244 del 24 Dicembre 2007.
Sicuramente misure condivisibile, però da rivedere alla luce dei numerosi episodi in cui da una parte vi sono cittadini in cerca di una abitazione e dall'altra molte abitazioni sfitte.

Obblighi
Come anticipato il DDL prevede che il beneficiario del reddito di cittadinanza si impegni attivamente nella ricerca di una occupazione e che si renda disponibile ad accettare una eventuale proposta di lavoro proveniente dai Centri per l'Impiego se in linea con il suo profilo professionale. Nel caso dovesse rifiutarne tre consecutivamente, oppure si licenzierà senza giustificato motivo da due occupazioni nell'arco di un anno, perderà il diritto al reddito di cittadinanza.

Mentre condivido il principio in base al quale il beneficiario si renda disponibile ad accettare una proposta di lavoro oltre che a cercarlo attivamente, non mi convince la parte in cui si fa riferimento al tipo di lavoro che deve essere in linea con il suo profilo professionale. Posso infatti comprendere che se uno possiede un titolo di studio elevato e ha svolto attività dirigenziale possa avere da ridire nello svolgere un lavoro considerato di basso profilo, ma non accetterei che stando ad una interpretazione letterale del testo a costui si possano offrire solamente lavori di alta qualifica. Traducendo, se uno ha fatto ad esempio il responsabile commerciale non vedo perché dovrebbe rifiutare una offerta che preveda il ruolo di semplice impiegato, sempre in ambito commerciale (o similare). Questa parte insomma, prevista specificatamente nel comma 4 dell'articolo 9 andrebbe precisata meglio:


Costi e copertura finanziaria
Secondo una stima inserita nella presentazione del DDL e che fa capo ad uno studio dell'ISTAT, per l'anno 2014 il costo che sarebbe derivato dall'applicazione del reddito di cittadinanza sarebbe stato di circa 15,5 miliardi di euro e che per gli anni 2015 e 2016 erano stimati rispettivamente in circa 17 mld e 16 mld, ambedue gli importi inseriti nell'art.20 del DDL. Per quanto non abbia dati per confutare tali cifre, mi sembrano comunque valori molto ottimistici considerando che ad esempio in Germania la misura simile, l'Arbeitslosengeld II (o Hartz IV) è costata al governo federale tedesco ed ai comuni qualcosa come 450 miliardi tra il 2005 - quando fu introdotta - ed il 2014. Una media insomma di circa 45 miliardi all'anno e sebbene si debbano fare le opportune differenze (popolazione, numero di beneficiari e contenuto della misura) credo che la stima valutata dai relatori del DDL sia da rivedere attentamente alla luce sia dell'importo previsto (superiore ad esempio a quello tedesco) che dei potenziali beneficiari. Perché un conto sarebbe passare di 16 o 17 stimati a uno o due miliardi in più (che non sarebbero comunque pochi!), ma altro se l'errore fosse dell'ordine di 5 o più miliardi.

Altro aspetto da rivedere è la presunta copertura finanziaria che nello stesso articolo 20 dovrebbe provenire da tassazioni e imposte diverse: 600 milioni da una imposta sui giochi; 3.500 milioni proverrebbero da fondi non più disponibili del Ministero della Difesa; 4.500 milioni da risparmi di spesa ottenuti grazie ad un maggior efficientamento degli acquisti da parte delle PP.AA. e poi un certo numero di altre misure tra cui una imposta sui grandi patrimoni. Insomma un collage di varie entrate e qualche spending review.
Io sarei più propenso a una base derivante da un contributo da parte di lavoratori e imprese verso un fondo contro la disoccupazione e poi secondariamente da altre fonti. In Germania ad esempio ad oggi i lavoratori e le imprese versano un contributo del 1,5% ciascuno del reddito imponibile del lavoratore al fondo disoccupazione (Arbeitslosenversicherung).
Considerando ad esempio che gli occupati ad oggi in Italia sono circa 22 milioni e 670 mila e prendendo il reddito medio annuo dei lavoratori dipendenti che è poco più di 20 mila euro, ne deriva che applicando una aliquota complessiva del 3%, metà a carico del lavoratore e metà al datore di lavoro, si avrebbe un gettito di circa 13,6 mld di euro destinato al fondo per la disoccupazione, circa l'80% della stima maggiore (17 mld) prevista dal DDL. Se si portasse l'aliquota al 4% (sempre metà tra lavoratore e imprese) il gettito sarebbe di circa 18 miliardi. Ritengo preferibile partire da questa forma di copertura finanziaria per poi eventualmente integrarla con altre entrate o risparmi di spesa piuttosto che affidarsi solamente a queste ultime.

Salario minimo orario
Con l'art.19 il DDL affida al governo la delega per l'introduzione di un salario minimo orario che nel comma 2 a è fissato a € 9,00, un po' tanti visto che ad esempio in Germania, dove in media i salari sono molto più alti che in Italia, il salario minimo è attualmente di € 8,50 e negli Stati Uniti in gran parte degli Stati si va dai 7,25 USD fissati dal governo federale agli 8,50 USD.

Conclusioni
La proposta di introdurre una misura di reddito per chi perde il lavoro è doverosa e urgente. Andrebbe però rivista la platea dei beneficiari e soprattutto la stima del suo costo che appare un po' (troppo) bassa. Un conto infatti è prevedere un sostegno economico per chi perde il lavoro oppure per chi si trovasse in particolari condizioni disagiate, altro è includere soggetti che di punto in bianco decidono di iscriversi nelle liste di chi cerca lavoro (esempio neo laureati o chi fino a quel momento aveva scelto di non lavorare) e che da come è previsto dal DDL avrebbe diritto di ricevere sin da subito l'indennità. Solo questo fatto dovrebbe far capire ai relatori che la stima da loro fatta è passibile di errori di valutazione non trascurabili.
Da rivedere poi le coperture finanziarie, un po' naif le definirei, il fatto di contemplare una serie non trascurabile di svariate entrate e qualche taglio di spesa, considerato che altrove è previsto dappertutto un contributo minimo ad hoc per il fondo contro la disoccupazione.

Comprendo la buona fede dei relatori ma occorre anche rimanere con i piedi per terra. La stessa definizione di reddito di cittadinanza richiama una misura che ad oggi ritengo di difficile applicazione, più razionale una misura del tipo: assegno di disoccupazione.

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