giovedì 9 giugno 2016

BREXIT e Costituzione Italiana

Giovedì 23 Giugno prossimo (da notare il giorno, un giovedì, non domenica) i britannici sono chiamati ad esprimersi sulla permanenza o meno nella Unione Europea. Da più parti qui da noi si vorrebbe avere la stessa prerogativa, ovvero decidere tramite un referendum popolare se rimanere nell'area euro o tornare ad una propria moneta, oppure se uscire addirittura dalla Unione Europea. Sappiamo però che questo al momento non è possibile in quanto la Costituzione Italiana all'articolo 75 - secondo comma - proibisce quesiti referendari che abbiamo come oggetto i trattati internazionali, le leggi di bilancio e tributarie, di amnistia e indulto. L'adesione all'Unione Europea in questo caso come quello alla moneta unica rientra in quello dei trattati internazionali e quindi non si può svolgere.

La domanda a questo punto che si pone è se questa rappresenta una limitazione al principio democratico di libertà di scelta dei cittadini oppure se sia legittimo limitare il diritto di esprimere la propria volontà per alcuni argomenti specifici, perché troppo 'tecnici' oppure per altre ragioni, ad esempio di opportunità (v.indulto o tributarie). Sicuramente se vi fosse un quesito che implichi la riduzione del carico fiscale sarebbe alquanto improbabile immaginare che i cittadini non votino a favore.
La questione di appartenenza o meno ad una comunità come quella a cui aderiamo oggi dell'Unione Europea, che noi abbiamo costituito nel lontano 1957 assieme a Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi, oltre poi a promuoverne la fase di implementazione oltre alla partecipazione alla moneta unica, l'euro (anche questo adottato sin dall'inizio), è un argomento che difficilmente può essere trattato con competenza da chiunque soprattutto per il fatto che le sue implicazioni in caso di una scelta o l'altra sono difficilmente valutabili da chi non ha conoscenze quantomeno di medio livello in campo economico.

Trovo quindi più condivisibile oltre che ragionevole la scelta da parte dei nostri costituzionalisti, che nel 1948 inclusero queste limitazioni, rispetto alla possibilità offerta ai cittadini britannici di assumersi la responsabilità di una scelta che avrà, in caso di vittoria del SI (cioè di lasciare l'Unione Europea), ripercussioni negative e dall'entità difficilmente stimabile.
Non è questione di democrazia, qui si tratta di argomenti che se non si possiedono le adeguate conoscenze si corre il serio rischio di avere ripercussioni indesiderate e gravi. Se poi si guarda alle argomentazioni addotte dai sostenitori del SI nel referendum britannico, si nota come queste siano perlopiù fragili e pretestuose, se non demagogiche. Si parte infatti dalla convinzione che lasciando la UE si porrà fine all'immigrazione, che nessuno straniero entrerà più in Gran Bretagna togliendo lavoro ai legittimi cittadini residenti.
Si prosegue con un argomento di carattere economico, ovvero che in questo modo la Gran Bretagna finirà di contribuire alla spesa dell'Unione Europea ricevendo di ritorno meno di quanto versato. Peccato che coloro che pensano questo non vedano al di là del proprio naso, in questo caso al fatto che il trasferimento di risorse finanziarie verso Paesi meno sviluppati consente a questi di crescere e crescendo acquistano e investono, acquistano beni e servizi all'estero accrescendo gli scambi internazionali e investono nei mercati dei capitali di cui Londra è una delle piazze più importanti. Abbandonando l'Unione Europea la Gran Bretagna risparmierà quindi sulla differenza tra quanto versa e quanto riceve ma perderà molto di più dalle conseguenze di autoescludersi dall'appartenere ad un'unica piazza finanziaria all'interno della UE.
Insomma è come abbattere completamente una casa costruita da poco perché non piacciono gli infissi!

Altro tema sollevato sono le regole europee, quelle decise a Bruxelles, che stando ai suoi detrattori limiterebbero l'autonomia o per meglio dire la sovranità nazionale. Anche in questo l'osservazione deriva da una scarna conoscenza di come funzionano le istituzioni comunitarie e la governance. Sfugge a costoro ad esempio la prerogativa di ciascun Paese di avere nei casi più importanti il diritto di veto, attraverso il quale anche un solo voto contrario comporterebbe la non applicazione di un trattato (es. il TTIP).
O l'opzione opt-out che consente ad un Paese di non adottare una regola, di cui si è servita la stessa Gran Bretagna assieme alla Danimarca per non adottare ad esempio la moneta unica. O il caso più recente del Fiscal Compact, il trattato che irrigidisce le politiche di bilancio, respinto dalla Gran Bretagna stessa così come la Repubblica Ceca.
Si potrebbe proseguire con altri esempi, non da ultimo i recenti accordi stipulati tra la Commissione Europea ed il governo inglese di David Cameron per scongiurare proprio la Brexit, concedendo alla Gran Bretagna ulteriori prerogative. A questo punto le argomentazioni a favore di chi la invoca sono ancora più scarne, rimangono solo argomenti che si possono definire populisti, ovvero che trovano accoglienza in una parte della popolazione per la percezione che questi infondono, ma che non illustrano interamente e dettagliatamente tutti gli aspetti, cioè i pro e i contro, che questi comportano.

Ben venga quindi il nostro art.75 della Costituzione e se proprio si vuole discutere di democrazia, allora si parli di concedere ai cittadini il diritto di scegliere direttamente il proprio capo dell'esecutivo, sia esso come è oggi il Presidente del Consiglio oppure eventualmente, copiando il caso degli Stati Uniti, il Presidente della Repubblica.
Si dia la facoltà, anzi l'obbligo, di nominare direttamente i parlamentari scrivendone il nome sulla scheda elettorale anziché apponendo un segno su un simbolo di partito o di lista delegando a costoro la scelta di chi mandare in parlamento.

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