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mercoledì 16 agosto 2017

BCE-Corte Costituzionale Federale di Karlsruhe, una pantomima tedesca

Martedì scorso la Corte Costituzionale Federale della Germania ha inoltrato alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la richiesta di verifica di legittimità del programma di acquisto di titoli pubblici ed obbligazioni private operato dalle banche centrali dell'eurosistema per conto della Banca Centrale Europea, in sostanza l'attuale Quantitative Easing. E' una richiesta già presentata in passato sulla base sempre di obiezioni provenienti dalla Germania alla quale la Corte di Giustizia dell'Unione Europea con sede in Lussemburgo ha risposto che tale programma di 'allentamento quantitativo' è del tutto legittimo. Insomma siamo alla reiterazione di una pantomima tedesca che va contestualizzata nella attuale campagna elettorale in corso, in vista delle elezioni federali di Ottobre.

Ma per comprendere la questione occorre fare delle premesse. Una è quella appunto delle elezioni che comportano da parte delle forze politiche di opposizione di appellarsi a qualsiasi argomento pur di fare presa sull'elettorato e, come avviene anche in Italia, anche in Germania tra i temi più sentiti vi sono quelli dell'immigrazione, della sicurezza ed appunto della situazione economica, in particolare la politica monetaria condotta dalla Banca Centrale Europea che secondo molti tedeschi metterebbe a rischio i loro risparmi ed i rendimenti degli investimenti.
A riprova di questo - ingiustificato - diffuso timore una chicca: ogni anno la banca centrale tedesca, la Deutsche Bundesbank, apre le porte al pubblico e consente ai cittadini di visitare la sede a Francoforte sul Meno e di porre domande al presidente, che attualmente come sappiamo è Jens Weidmann. Bene, quest'anno l'evento è avvenuto nei giorni 1 e 2 Luglio scorsi ed il primo giorno, sabato 1 Luglio, indovinate quale è stata la prima domanda posta a Weidmann da un comune cittadino?
Esattamente!
Lo si può ascoltare al minuto 4 di questo video da quel signore con gli occhiali nell'immagine sotto che appunto chiede al presidente della Bundesbank chiarimenti circa l'attuale politica della BCE e gli effetti sui risparmi (cliccare sulla immagine per accedere al video):

Incontro del presidente Jens Weidmann con il pubblico 
Si sono poi susseguite altre domande da parte del pubblico, sempre riferite alla politica della BCE, alle quali Weidmann ha sempre risposto con chiarezza cercando di tranquillizzare i timori espressi.
In ogni caso larga parte dell'opinione pubblica tedesca non si stente sicura e tende ad ascoltare i proclami allarmistici di alcuni partiti di opposizione.

Le seconda premessa che occorre fare riguarda la possibilità in Germania, diversamente da quanto ad esempio è previsto da noi, che ogni cittadino possa rivolgersi direttamente alla Corte Costituzionale Federale.
Il ricorso alla Corte di Karlsruhe infatti è stato effettuato non dal governo di Angela Merkel, ma da tre cittadini tra cui due esponenti politici: Bernd Lucke, fondatore del partito Alternative für Deutschland (AfD), e Peter Gauweiler, ex vice presidente della CSU (Unione Cristiano Sociale della Baviera) ed ex parlamentare del Bundestag dimessosi da entrambe le cariche nel 2015 proprio a causa del suo dissenso in merito alle politiche di salvataggi europei. Il terzo è il Prof. Markus Kerber, ex Direttore Generale della BDI (la Confindustria tedesca) e membro dell'associazione Friedrich A. von Hayek-Gesellschaft con sede a Berlino.
I tre sostengono che il rischio che la Germania si starebbe assumendo a causa di questa politica monetaria sarebbe troppo alto e hanno quindi chiesto alla Corte di Karlsruhe (dove ha sede la Corte Costituzionale Federale tedesca) di intervenire bloccando il Quantitative Easing o in alternativa di obbligare la Bundesbank a non partecipare più al programma.

Per quanto riguarda la legittimità del programma da parte della BCE, la Corte di Karlsruhe non ha potuto fare altro che rivolgersi a quella di competenza: la Corte di Giustizia dell'Unione Europea dato che riguarderebbe la presunta violazione di un articolo del Trattato dell'Unione Europea, quello sul divieto di finanziamento agli Stati: art.123 (ex art.101 TCE):
  1. Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate "banche centrali nazionali"), a istituzioni, organi od organismi dell'Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.
  2. Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell'offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati.
L'esito di questa richiesta è praticamente scontato, in virtù della precedente sentenza del 2015 che dava piena legittimità al programma deciso dalla BCE.

Più controversa, anche se sempre di difficile accoglimento, è la parte che riguarda espressamente la questione interna, ovvero la Costituzione tedesca. Qui occorre spiegare alcuni aspetti per comprendere le ragioni di questo ricorso da parte dei tre esponenti sopracitati ed è una questione che vede coinvolgere più i giuristi che gli economisti, in particolare i costituzionalisti. Devo quindi prenderla un po' alla larga per arrivare al punto centrale in questione.

La Legge Fondamentale della Germania (la Costituzione, qui nella versione in lingua inglese dal sito del Ministero di Giustizia) o Grundgesetz in tedesco, così come recita anche la nostra Costituzione, prevede che il potere venga esercitato dai cittadini attraverso i loro rappresentanti eletti (art.20 comma 2). Il potere di controllo riguarda anche l'aspetto finanziario e di bilancio, infatti questo deve essere approvato dal Bundestag se federale, e se coinvolge anche gli Stati federati (Länder) anche dal Bundesrat, o dai rispettivi governi se riguarda lo specifico Stato (Land). In sostanza a livello centrale il governo di Berlino non può spendere nulla che non sia approvato dal Bundestag, se ciò avvenisse verrebbe a mancare il principio di potere di controllo o di sovranità da parte dei cittadini, anche se indiretto via loro rappresentatnti in Parlamento (Bundestag). Questo è riscontrabile dagli articoli che riguardano appunto la materia (dal 104a al 115 della German Basic Law).

E' ad esempio questo fattore quello che impedisce alla Germania di accettare gli euro bond, perché questi, che sarebbero emessi da ciascun Paese ma coinvolgendo gli altri quanto a garanzia del loro pagamento a differenza di quelli attuali dei quali è responsabile il solo governo che li emette, costringerebbe in sostanza a concedere un assegno in bianco a fronte di un eventuale mancato pagamento. In pratica, se ad esempio un Paese non procedesse al pagamento di un titolo da questi emesso, sarebbero chiamati gli altri a farlo in ragione della propria quota di appartenenza dove la Germania ha quella più alta, ma non potendo stabilire a priori l'ammontare il governo di Berlino si troverebbe a dover pagare un conto non autorizzato dal Bundestag e quindi in violazione dei principi costituzionali vigenti.
Altra questione sono invece i fondi salvastati, rispettivamente l'ex EFSF e l'attuale ESM. In questo caso l'ammontare a carico di ciascun Paese membro era precedentemente preventivato e per la Germania sottoposto all'approvazione del Bundestag. Nel caso del ricorso contro il fondo permanente ESM ad esempio, la Corte di Karlsruhe ha sentenziato che esso non viola la Legge Fondamentale ma ha stabilito che in caso di prossime richieste da parte di questo, circa interventi finanziari, questi devono di volta in volta essere autorizzati.
In sostanza il Bundestag ha approvato a suo tempo la partecipazione della Germania al fondo ESM con il conseguente impegno nominale (190 mld di euro a fronte del 27% circa di quota di competenza, dei quali 21,7 mld già versati a fronte del capitale iniziale di funzionamento). Se in seguito il fondo dovesse chiedere altri interventi che rientrano nella cosiddetta quota callable (cioè la parte rimanente pari a 190 - 21,7 mld. = 168,3 mld circa) la Corte di Karlsruhe ha sentenziato che questi devono essere di volta in volta approvati dal Bundestag.


A questo punto si giunge all'obiezione in questione: l'attuale programma di acquisto deciso dalla BCE ed attuato dalle banche centrali nazionali, tra cui la Bundesbank, hanno una possibile ripercussione sul bilancio tedesco e violano le norme costituzionali?
Personalmente faccio fatica ad accogliere una obiezione di questo tipo ma non sono un costituzionalista e quindi la mia è solo una semplice opinione, come opinione è che finirà tutto in una bolla di sapone dal sapore puramente elettoral-propagandistico.
Oggi, tra l'altro, proprio il Ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble ha dichiarato che la BCE non sta oltrepassando i limiti del proprio mandato!

venerdì 4 aprile 2014

L'uscita dall'euro dal punto di vista giuridico

Ora che la discussione tra rimanere nell'euro o uscirne per tornare ad una moneta propria si fa sempre più accesa, poco se non nulla si parla della questione dal punto di vista giuridico. Anzi, a leggere o ascoltare alcuni interventi di economisti ed esponenti della politica pare che una scelta del genere possa essere presa nel giro di pochi giorni e realizzata poi in breve tempo. Ma è così? Assolutamente NO! Temo che questi non abbiano bene in mente la questione sotto il profilo giuridico, delle norme contenute nei trattati.

Intanto per rimanere in ambito italiano la decisione dovrà essere presa dal Governo e poi approvata dal Parlamento. Quindi chi pensa che questa potrà avvenire in tempi brevi si sbaglia (e di tanto). Il Governo insomma passerebbe la proposta al vaglio delle Camere le quali dopo lettura, consultazioni, dichiarazioni di voto eccetera eccetera procederanno alla votazione e solo ad approvazione avvenuta si può intendersi conclusa solo la prima fase.


La seconda fase riguarda la comunicazione al Consiglio Europeo (composto dai capi di Stato e di Governo della UE) così come previsto dall'art.50(*) del Trattato sull'Unione Europea. E qui potrebbe nascere il primo ostacolo, perchè tale articolo prevede la richiesta da parte di uno Stato membro di non far più parte dell'Unione Europea, non dell'eurozona. Infatti non c'è alcun articolo nei trattati che contempli la sola uscita dall'eurozona e la contestuale permanenza nella UE.
Con ogni probabilità quindi, il Consiglio Europeo rimanderà tale questione alla Corte di Giustizia Europea per chiederne il parere circa la legittimità di questa richiesta.


Personalmente ho avuto modo di leggere articoli e ascoltare dibattiti sull'argomento e nessun esperto giurista è in grado di dare una risposta certa sulla questione. Ciascuno ha una propria opinione ma la garanzia che l'alta Corte europea possa dare parere favorevole a questa ipotesi non c'è. Potrebbe infatti respingere la richiesta perchè non contemplata esplicitamente nei trattati, sulla base quindi di una stretta interpretazione della norma e a questo punto all'Italia non rimarrebbero che due possibilità: presentare formale richiesta di uscita dalla UE (ripetendo però l'iter parlamentare) o un escamotage che prevede la contestuale richiesta di uscita dalla UE e quella di nuova adesione escludendo quella all'eurozona. In questo caso però è possibile che l'Italia venga temporaneamente esclusa dalla UE in attesa che venga approvato il suo rientro.


Qualsiasi soluzione venga presa di sicuro prevederà tempi non brevi visto che l'art.50(*) citato prevede, nei casi di richiesta di uscita dalla UE, che la risposta avvenga entro 2 anni e dopo le consultazioni avviate dalla Commissione Europea così come contemplato dal Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea.


(*)Articolo 50
1.
Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall'Unione.

2.
Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio europeo. Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l'Unione negozia e conclude con tale Stato un
accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l'Unione. L'accordo è negoziato conformemente all'articolo 218, paragrafo 3 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Esso è concluso a nome dell'Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo.


3. I trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica di cui al
paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro interessato, decida all'unanimità di prorogare tale termine.

4.
Ai fini dei paragrafi 2 e 3, il membro del Consiglio europeo e del Consiglio che rappresenta lo Stato membro che recede non partecipa né alle deliberazioni né alle decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio che lo riguardano.
Per maggioranza qualificata s'intende quella definita conformemente all'articolo 238, paragrafo 3, lettera b) del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

5.
Se lo Stato che ha receduto dall'Unione chiede di aderirvi nuovamente, tale richiesta è oggetto
della procedura di cui all'articolo 49.


Pensare quindi che uscire dalla moneta unica, dal momento in cui il governo nazionale prenda questa decisione a quando si avrà il responso dalla UE (sempre che per quanto detto venga accolto) dando così il via alla procedura vera e propria di cambio valuta, possa comportare tempi brevi è del tutto privo di fondamento così come priva di fondamento è l'idea di poter cambiare banconote e monete metalliche ad una intera nazione nel giro di pochi giorni o mesi.


E intanto come reagirebbero i mercati ad un iter che come si è visto è destinato a prolungarsi nel tempo? Nel caso la UE (come possibile) dovesse respingere la richiesta di sola uscita dall'euro, saremmo disposti a chiedere quindi quella dalla UE? Non credo, perchè se l'uscita dalla moneta unica comporta scenari quantomeno incerti, quella dalla UE avrebbe sicuramente prospettive negative sulla nostra economia.