sabato 10 settembre 2016

Economisti e...econo-mistici

Oggi ho deciso di togliermi qualche sassolino dalla scarpa a proposito del fatto che se da un lato il tema Economia è uno di quelli dominanti, dall'altra però inizio a stufarmi di vedere alcuni economisti che dall'alto del loro immaginario piedistallo si prodigano in lezioncine rivolte a politici ed imprese pretendendo che costoro stiano ad ascoltare le loro verità in assoluto silenzio e composti come scolaretti alle elementari. Ciò che mi da più fastidio è che, sempre alcuni di loro, non solo evitano spesso, se non quasi sempre, il confronto con colleghi che hanno opinioni diverse riguardo cause e possibili soluzioni all'attuale situazione economica del Paese, ma rifiutano anche di incontrare le imprese che loro l'economia la fanno per davvero!
Se lo facessero potrebbero comprendere (uso comunque il condizionale) che il vero problema delle imprese italiane non deriva dal commercio estero, bensì dai consumi interni. Non è il cliente straniero che manca ma il connazionale, è la domanda interna insomma che non cresce da tempo e pensare di sollecitarla attraverso il commercio estero è fuorviante, dato che quest'ultimo vale mediamente poco meno di un terzo del fatturato complessivo nazionale (PIL) e per la nota leva di Archimede per sollevare un peso lo sforzo lo devi fare sul braccio più lungo, non su quello più corto:


Insomma per sollevare il mondo o anche solo l'Italia, si deve puntare sulla domanda interna e non sulle esportazioni che, sebbene non a tassi elevati, continua a crescere inesorabilmente raggiungendo sempre nuovi record e consentendo a questo Paese di non andare peggio.

Si sarà quindi capito che questo primo sassolino riguarda la discussione se sia o meno vantaggioso abbandonare la moneta unica per tornare ad una propria, così da rilanciare le esportazioni e quindi il PIL.
Alcuni di questi economisti, che io definisco con un po' di consapevole irriverenza econo-mistici perché mistifìcano la realtà economica, non comprendono perché questi 'zoticoni' di imprenditori non si rendono conto di quali vantaggi possono conseguire da una soluzione di questo genere ed insistono invece nel rimanere all'interno di un'area valutaria che li condurrebbe a loro dire sempre più verso il fallimento. Addirittura c'è chi scomoda  i neurologi per dare una spiegazione a questo atteggiamento:


Se l'illustre docente di economia e l'emerito neurologo provassero almeno una volta a confrontarsi con le imprese (e sottolineo il plurale), ad esempio partecipando ad incontri ai quali sono invitati anziché disertarli avanzando scuse puerili ed offendendo poi "gli imprenditori" tutti (Veneti in questo caso) e non eventualmente gli organizzatori dell'evento se il menù non era di loro gradimento, avrebbero la possibilità 1) di comprendere le ragioni per cui le imprese non vedono tutti questi vantaggi dal tornare, più che ad una propria valuta, ad una politica di bilancio allegra come quella di alcuni decenni or sono, e 2) potrebbero comprendere perché alle imprese stia più a cuore il total tax rate che il vantaggio competitivo di breve termine che può offrire un ritorno alla lira ed il suo conseguente istantaneo deprezzamento rispetto alle valute delle economie concorrenti.

by Alberto Bagnai

Dai Veneti spocchiosi e piagnoni Bagnai avrebbe potuto apprendere ad esempio che la delocalizzazione all'estero della produzione di aziende come Benetton (mi raccomando l'accento sulla "o", altrimenti i veneti spocchiosi e piagnoni potrebbero offendersi) come gran parte del tessile, quella del settore calzaturiero, così come buona parte di quello del mobile o la crisi in cui versa un altro marchio storico dell'abbigliamento veneto che gli ultra quarantenni conoscono: Stefanel, non dipendono dall'euro né dall'austerità dell'Unione Europea e rimanendo con la lira (o liretta) non sarebbe cambiato nulla.
  • Ad un imprenditore non interessa il solo fatturato estero, sebbene sia certamente felice di incrementarlo, ma quello complessivo.
  • Ad un imprenditore interessa sicuramente il fatturato, ma ancora di più il margine di profitto!
Queste due brevi enunciazioni si dovono tenere sempre presente.
Pertanto, cari economisti, se volete convincere dell'utilità di tornare alla lira, dovete dimostrare che prima ancora di un incremento del fatturato (estero) le imprese vedranno scendere il total tax rate, che è questo che le sta uccidendo:


Fate quindi il disegnino che dimostri come il total tax rate si ridurrà tornando alla lira (o altra valuta nazionale), mostratelo alle imprese ed avrete la loro attenzione. Ma fin quando l'argomento è: deprezzamento valuta = aumento export rimarremo spocchiosi e piagnoni.

Inoltre confrontandovi voi studiosi econo-mistici con la realtà delle imprese, non andreste in giro a raccontare la fesseria teoria che la Germania ha incrementato sensibilmente le performance sul mercato internazionale grazie alle riforme Hartz del governo Schröder. Primo perché tali riforme avevano il duplice obiettivo di migliorare il mercato del lavoro ottimizzando domanda ed offerta (vedi trasformazione uffici del lavoro in agenzie) e allo stesso tempo di ridurre il pesante costo del Welfare, dato che nel 2003 la Germania disattese il rapporto deficit/PIL stabilito dal Trattato di Maastricht e questo perché vi fu una riduzione della pressione fiscale iniziata con il primo mandato di Schröder. Secondo, perché il calo del CLUP (costo del lavoro per unità di prodotto) è conseguente ad accordi intrapresi al di fuori della competenza del governo (e quindi delle riforme Hartz) tra associazioni di imprese di settore e sindacati di categoria, con lo scopo di frenare l'emorragia di attività produttive che stavano delocalizzando in massa all'estero, principalmente nei Paesi dell'est Europa, da poco entrati a far parte della famiglia UE con il beneplacito della Confindustria tedesca (la BDI) e dello stesso Cancelliere Schröder. Si è giunti così a concordare che i salari dovessero salire in linea con i prezzi e non con la produttività, la quale sarebbe dovuta crescere di più abbassando così il costo del lavoro sul singolo prodotto e così è stato se si guardano i dati di medio periodo e non anno per anno.
Si tenga poi presente che i concorrenti principali della Germania non sono (purtroppo) l'Italia o la Spagna, e nemmeno la Francia, bensì gli Stati Uniti, il Giappone e la Cina. Con questi ultimi c'è poco da fare sotto il profilo dei prezzi e quindi la competizione avviene su qualità e fattore tecnologico, mentre con i primi c'era la necessità di ridurre il gap relativo al CLUP per essere competitivi. D'altronde è anche logico, se ad esempio hai una attività che fattura 3 milioni di euro l'anno, il principale concorrente è l'azienda che ne fattura 1 o quella che fattura più o meno lo stesso o qualcosa di più?

Recentemente la banca d'affari statunitense Morgan Stanley ha pubblicato questa analisi che riguarda gli scompensi teorici legati alle diverse performance delle economie dell'eurozona ed il differenziale che vi sarebbe se i vari Paesi avessero oggi una propria valuta:


In pratica se avessimo la lira e la Germania il marco, la nostra valuta dovrebbe avere un rapporto di cambio con il dollaro USA di circa 1,12 dollari per 1 neo-lira, quindi non tanto diverso dalla quotazione attuale dell'euro, mentre il marco dovrebbe rivalutarsi e portarsi ad un rapporto di 1,51 USD per 1 marco. Tra lira e marco vi sarebbe quindi un rapporto pari a circa 1,35 lire per 1 marco.
Questa patacca analisi, della quale ci sarebbe molto da dire, ha una sua logica che però dal punto di vista concreto non comporta quello che vorrebbe intendere, ovvero giustificare le migliori performance dell'export tedesco rispetto alle altre economie grazie alla moneta unica. Indubbiamente è vero che con il marco, e quindi con un apprezzamento di questa valuta sulle altre, le esportazioni tedesche avrebbero incontrato un ostacolo alla loro crescita, ma questo non spiega il fatto che l'apprezzamento per i prodotti tedeschi derivi da altri fattori. Intanto va tenuto presente che lo stesso identico prodotto realizzato in Germania costa di più che farlo in Italia (o in Spagna, in Grecia, in Portogallo) dato che il costo del lavoro orario è maggiore, questo lo può confermare qualsiasi imprenditore che abbia attività in terra tedesca. La situazione si capovolge però una volta che si prendono in considerazione altri fattori quali la burocrazia, i costi della logistica (trasporti), i servizi e la pressione fiscale, ovvero il total tax rate!
I vantaggi derivanti dall'avere un livello di pressione fiscale complessiva di 16 punti percentuali in meno (se prendiamo per buoni i dati pubblicati da Il Sole 24 Ore) credo siano di facile comprensione.
Poi c'è da considerare che l'andamento nel tempo dei costi non comporta che un prodotto diventi necessariamente più conveniente in termini assoluti. Ad esempio se produco una lavatrice che propongo a 600 euro mentre un tedesco vende la sua a 900 euro, non è che dopo un anno se la sua costa 918 euro (+2%) diventi più conveniente di quella mia venduta a 630 euro (+5%). Semmai questa condizione trova conferma nel medio-lungo periodo (almeno 5 anni), ma nel caso della Germania l'export ha cominciato a crescere sensibilmente, e più del nostro, addirittura prima della riduzione del suddetto CLUP avvenuto dal 2005 e del differenziale nei prezzi dei prodotti venduti all'estero.

In ogni caso se gli economisti si confrontassero maggiormente con le imprese, apprenderebbero che i nostri concorrenti di prezzo non sono i tedeschi, ma ben altri. Il settore del fotovoltaico ne è un esempio. ma anche quello degli autoveicoli o dei macchinari, i due settori principali sia per il nostro export che per quello tedesco.
Difficilmente si sentirà dire dalle nostre imprese che i tedeschi ci battono perché vendono un prodotto simile ad un prezzo sensibilmente inferiore. Si sente invece ribadire da tempo la necessità di poter operare in un contesto simile a quello dei nostri concorrenti.
Fino a quando non capiremo questo, proseguiremo ad assistere ad una crescita economica asfittica, con l'euro o con la lira.

E' necessario che gli economisti la smettano di raccontare ai cittadini che si cresce semplicemente aumentando la spesa pubblica, per di più a deficit. Se si ha una automobile che ha la sola batteria scarica, è sufficiente darle una spinta (investimenti pubblici) per rimetterla in moto e farla andare, ma se è la benzina che manca (banche) oppure ha il motore guasto, la si può spingere finché si vuole ma terminata la fase inerziale la macchina si ferma nuovamente.
Occorre concentrarsi sulla domanda interna e sulle soluzioni per ridarle vigore, che a mio avviso passano solamente attraverso una riduzione della pressione fiscale e quindi da una riduzione/ottimizzazione della spesa pubblica, altro che aumento!

La si finisca poi di creare inutili dissapori tra Paesi sostenendo tesi ridicole quanto false, come quella che vuole che attraverso i fondi salvastati si siano salvate le banche tedesche e francesi. Primo perché semmai si salvano i debitori, non i creditori, poi perché i fondi EFSF e ESM non si basano sul principio della colletta per finanziare i percettori. I due fondi sono stati creati per raccogliere dagli investitori, sul mercato, i fondi necessari emettendo obbligazioni garantite da tutti i Paesi dell'eurozona.
Quando si afferma che l'Italia ha dovuto sborsare circa 60 mld di euro per salvare le banche tedesche e francesi si dice una enorme fesseria:


Questa tabella mostra la quota di competenza del contributo italiano ai fondi salvastati e quello relativo ai prestiti bilaterali, ma l'area viola che mostra la quota di competenza del nostro contributo al fondo EFSF è solo nominale: non un solo euro è uscito dalle casse del nostro governo! Quella quota infatti rappresenta la garanzia data dal nostro Paese, una specie di fidejussione, che diventerebbe impegno finanziario solo in caso di insolvenza da parte dei debitori che hanno ricevuto un prestito dal fondo. Il valore è infatti comunicato periodicamente da Eurostat che così ha voluto, cioè che venisse contabilizzato nel debito pubblico, in quanto il fondo EFSF non aveva una personalità giuridica propria ed i miliardi che il fondo ha assegnato ai vari Paesi beneficiari (es.Grecia) è derivato dalla raccolta ottenuta emettendo obbligazioni (bonds).
Nel caso del fondo ESM, il contributo di 14,32 miliardi è quello legato alla formazione del capitale iniziale di funzionamento e quella riportata in figura di colore marrone è la nostra quota di competenza. Anche in questo caso non un solo euro che abbiamo versato al fondo è andato ai Paesi beneficiari (es.Spagna per ricapitalizzare il sistema bancario). Il fondo ESM essendo un fondo permanente, non temporaneo come il precedente EFSF, ha una sua personalità giuridica propria e quindi ecco motivato il capitale di funzionamento e quello callable (il cui ammontare è dato dalla differenza nel nostro caso tra 125 miliardi complessivi ed i 14,32 già versati) che verrà richiesto solo se necessario. Insomma non 1 solo euro nostro è andato alle banche tedesche e francesi. Si sono raccolti fondi per sostenere banche e governi di alcuni Paesi dell'eurozona in difficoltà. Sono loro che sono stati aiutati, i rispettivi governi, ed un crollo del sistema bancario avrebbe creato loro effetti devastanti prima ancora di avere conseguenze negative (e pesanti) anche per noi oltre che per francesi e tedeschi!

Questo Paese ha soprattutto bisogno di serietà, onestà e professionalità, non di soggetti che desiderano mettersi in mostra raccontando illusioni, falsità e stupidaggini. Ha bisogno che ciascuno si confronti con le diverse categorie sociali e professionali e non si nasconda dietro un blog offendendo chi non condivide le stesse opinioni.
Di costoro, il Paese ne può e ne deve fare a meno.

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