lunedì 19 maggio 2014

La Germania 'alla sbarra'

Con l'avvicinarsi delle elezioni europee si intensificano le accuse rivolte alla Germania per essere poco disponibile ad aiutare i Paesi colpiti più duramente dalla crisi, se non addirittura di essere la principale responsabile della condizione sociale drammatica attualmente presente in Grecia. Di essere l'unica ad aver tratto vantaggio dalla moneta unica e di condurre una politica egemonica utile solo a se stessa. Cerchiamo di verificare l'attendibilità di queste accuse. Per prima cosa occorre tornare indietro negli anni per fare una analisi temporale degli avvenimenti e per la precisione al 1989 quando crollò il Muro di Berlino e con esso pian piano si dissolse tutto l'impero del blocco politico facente capo all'Unione Sovietica.
E' un breve riassunto che è necessario al fine di questa analisi.

L'anno successivo, il 18 Marzo 1990, si tennero nella allora Repubblica Democratica Tedesca (DDR) le elezioni e queste portarono alla vittoria e al governo Lothar de Maizière il quale iniziò le trattative con USA, Gran Bretagna, Francia, URSS e naturalmente con la Repubblica Federale Tedesca per la riunificazione delle due Germanie. Sostanzialmente non ci furono obiezioni, se non una condizione posta dall'allora presidente francese Mitterand al benestare legata alla partecipazione tedesca al processo che avrebbe portato alla moneta unica, processo già iniziato e che in quel periodo era in atto con l'unità di conto denominata ECU.
La Francia di Mitterand temeva infatti che la Germania riunificata diventasse economicamente troppo forte e potesse minare gli equilibri esistenti. Non fu quindi, come qualcuno sostiene, la Germania il maggiore sostenitore della moneta unica per poter così imbrigliare i Paesi come l'Italia che facendo uso di svalutazioni continue mettevano in difficoltà le esportazioni tedesche. Fu insomma la Francia a porre questa condizione e l'allora cancelliere Helmut Kohl uso tutto il suo prestigio per convincere i propri connazionali ed in particolare l'establishment ad abbandonare l'amato Deutsche Mark.


Il 14 Luglio del 1990 l'URSS diede il proprio benestare e il successivo 2 Ottobre la Germania tornò ad essere un unico Stato.
Dal clima di comprensibile gioia per questo evento epocale la Germania si trovò subito a fare i conti con la realtà di una economia dei 5 Länder della ex DDR che, seppur più competitiva tra i Paesi dell'ex blocco sovietico, lo era comunque molto meno di quella della parte occidentale tant'è che in breve tempo tutti i settori subirono un crollo notevole nella produzione dando poi luogo ad un profondo processo di ristrutturazione. Nella figura seguente è riportata la percentuale di produzione in alcuni settori dal 1990 al 1993 con indice 1989 = 100, e come si può notare il calo è molto evidente:



I costi del processo di riunificazione furono ingenti e alcune stime ritengono che siano arrivati a ben 1.500 miliardi di euro (fonte: Freie Universität Berlin). Ancora oggi vi sono trasferimenti dai  Länder occidentali a quelli orientali attraverso una tassa del 5,5% versata dai contribuenti e dalle aziende (Solidaritätszuschlag).
La disoccupazione nella ex DDR salì a circa il 20% e molti cittadini si dovettero trasferire nei Länder occidentali.
Per raccogliere fondi la Germania dovette alzare i tassi di interesse dei titoli emessi sul mercato e questo provocò un innalzamento generale, quindi anche di quelli di altre nazioni:



Da qui l'errata affermazione che la riunificazione tedesca è stata pagata dalle altre nazioni europee. E' più preciso dire che il costo della riunificazione pagato dai tedeschi si è ripercosso sugli altri, tra cui l'Italia.

Quando si arrivò alla nascita dell'euro (1999) la Germania ancora era alle prese con problemi economici, il tasso di disoccupazione era alto e come si può vedere nella seguente figura lo rimarrà fino al 2005 quando le riforme del governo Schröder cominciarono a produrre i loro effetti:


La competitività dell'industria tedesca era bassa e la Germania era unanimemente considerata la 'malata d'Europa'.

Alla fine del 1998 le elezioni in Germania furono vinte dalla coalizione SPD e Verdi e alla cancelleria andò Gerhard Schröder al quale toccò il compito di guidare il Paese fuori dalla crisi. Iniziò riducendo la pressione fiscale abbassando la prima aliquota sui redditi personali (Eingangssteuersatz): dal 25,9% al 23,9 nel 1999; al 22,9% nel 2000; al 19,9% nel 2001; al 16% nel 2004 (al suo secondo mandato) e infine al 15% nel 2005. Ridusse anche l'aliquota massima che durante il suo mandato passò dal 53% al 42%:



All'inizio del 2002 istituì una commissione composta da membri delle maggiori aziende tedesche oltre che da esponenti del mondo accademico e politico con il compito di riformare il mondo del lavoro e dello stato sociale e nominò a capo di essa l'allora responsabile del personale della Volkswagen Peter Hartz. La commissione stilò 4 pacchetti di riforme che prese il nome di Hartz-Konzept che riguardarono il collocamento, i contratti atipici e il sostentamento sociale per i redditi più bassi. L'obiettivo fu quello di rendere più efficiente il mercato del lavoro e di ridurre le cospicue spese sociali derivanti dall'alto numero di disoccupati. Le riforme Hartz ebbero inizio nel 2003 con il primo pacchetto e terminarono con il quarto nel 2005.
I risultati iniziali furono deludenti rispetto agli obiettivi prefissati, sia sotto il profilo della riduzione dei costi sociali che furono inferiori alle aspettative e sia dal punto di vista della riduzione del tasso di disoccupazione.



Fu così che nel 2005 a seguito di una crisi di governo vennero indette elezioni anticipate che portarono alla vittoria la CDU di Angela Merkel e la Germania fu guidata da una Grande Coalizione insieme alla SPD con l'attuale cancelliera alla sua prima esperienza alla guida del Paese.

Dal 2006 le sorti dell'economia tedesca cambiarono, già quell'anno vennero creati circa 1 milioni di posti di lavoro:



Come si può vedere dal confronto delle due tabelle l'inflazione salì dallo 0,6% circa del biennio 1998÷1999 al 2% circa dal 2005, segno della ripresa dell'attività economica.

Sindacati e associazioni industriali stipularono accordi che prevedevano aumenti salariali più legati al tasso reale di inflazione che alla produttività, in questo modo crescendo quest'ultima più dei salari stessi ne derivava un abbassamento del costo unitario di prodotto rendendoli così più competitivi. Il costo del lavoro infatti fu molto alto all'inizio dell'era euro e questa era una delle cause della scarsa competitività. I lavoratori quindi accettarono il sacrificio di vedersi aumentare meno i compensi rispetto alla produttività, ma mantenendo comunque inalterato il potere di acquisto, in cambio del mantenimento del posto di lavoro visto che in alternativa molte aziende minacciavano di delocalizzare all'estero, delocalizzazione che ha poi riguardato solo quelle attività dal basso contenuto di valore aggiunto.

La Germania è anche accusata di aver operato una sorta di dumping salariale ai danni degli altri Paesi ma è una accusa infondata. I salari in Germania sono oggi tra i più alti al mondo, il costo del lavoro è anch'esso maggiore che nella maggior parte degli altri Paesi e il fatto che i loro prodotti siano competitivi dipende più dalla scelta di puntare sull'innovazione, sulla qualità e l'affidabilità, sul servizio al cliente e sulla produttività.
Le riforme attuate non sono state indolori tant'è che è costata come si è visto la cancelleria a colui che personalmente ritengo l'arteficie del successo tedesco, ovvero l'ex cancelliere Gerhard  Schröder. L'attuale cancelliera Angela Merkel non ha fatto altro che godere dei benefici conseguiti a distanza di tempo, difatti dal 2005 le riforme in Germania si sono sostanzialmente fermate, riforme che si renderebbero utili per far salire la domanda interna tedesca e di conseguenza le importazioni aiutando così i partner europei ad uscire dalla crisi.

Anche l'accusa di essere l'unica ad aver beneficiato dell'euro è priva di fondamento, intanto perchè altri Paesi hanno registrato performance positive dalla sua introduzione e poi perchè il successo nell'export la Germania lo deve al fatto che i suoi prodotti sono molto richiesti e non per il prezzo, dato che notoriamente il "made in Germany" è tra i più cari. Si può fare l'esempio delle vendite di autovetture nel principale mercato mondiale, quello cinese, dove i marchi tedeschi hanno ottenuto un consistente successo:



I marchi tedeschi si sono imposti in segmenti dove trovano una scarsa concorrenza. Infatti se si osserva la tabella, che riporta i dati sulle vendite in Cina per l'anno 2013, si nota come i segmenti di fascia medio bassa, ovvero quella dove si collocano Fiat e altre case automobilistiche europee come Citroen, Renault e Peugeot, sono occupati da marchi locali realizzati con costi decisamente inferiori e quindi molto più competitivi.


Per ciò che riguarda la politica monetaria della Banca Centrale Europea, le accuse di essere influenzata dalla Germania sono anch'esse inconsistenti visto che molte scelte operate dal suo Board Esecutivo sono state oggetto di contrasto con la posizione delle autorità monetarie tedesche (Bundesbank) e del loro rappresentante nel Comitato Esecutivo. Nel Settembre del 2011 il tedesco Jürgen Stark, allora capoeconomista della BCE, si dimise in dissenso con le decisioni prese dall'allora presidente della BCE Trichet e dell'entrante Mario Draghi. Ma la cronaca è ricca di episodi che dimostrano come la BCE abbia sempre perseguito scelte in piena autonomia e talvolta divergenti dalla posizione di Berlino.
L'unica pretesa che i tedeschi fecero a suo tempo e che ottennero, in cambio della loro partecipazione alla moneta unica, fu che la Banca Centrale Europea avesse come mandato il solo controllo dei prezzi e che fosse completamente indipendente dal potere politico.
Risulta comunque corretta l'affermazione che la Banca Centrale Europea è impostata sul modello Bundesbank con cui condivide la dottrina monetarista.

Le accuse rivolte alla Germania insomma sono volte più a solleticare l'istinto naturale di antipatia, di invidia o comunque negativo nei confronti di chi consegue risultati migliori, ma in definitiva sono del tutto basate su argomentazioni inconsistenti e che non riguardano i veri motivi per i quali alcuni Paesi tra cui l'Italia sono in crisi.
Dovremmo essere più aperti e cercare di copiare se non tutte almeno gran parte delle loro ricette, perchè se sono state positive per loro non vedo perchè non lo debbano essere anche per noi.

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