domenica 23 marzo 2014

Chi crea lavoro?

Alcuni di coloro che hanno letto il mio precedente articolo "Come creare lavoro" mi hanno inviato commenti con i quali esprimevano riserve circa il punto di vista espresso con il quale sostenevo (e sostengo) che il lavoro non lo creano le imprese bensì i consumatori.

Comprendo e in parte condivido le argomentazioni di chi afferma che i posti di lavoro vengono 'creati' dalle varie attività, produttive o commerciali che siano, dagli investimenti che esse effettuano per ricercare nuovi prodotti per realizzare nuove versioni (intesi come prodotti già presenti sul mercato ma innovativi dal punto di vista estetico tecnologico).
Quando ad esempio fu inventata l'automobile si creò una certa quantità di nuovi posti di lavoro che con ogni probabilità vennero sottratti all'agricoltura, settore prevalente all'epoca. Inizialmente non furono molti a potersi permettere una automobile dato il costo e questo per molti anni a venire. Solo dopo il secondo conflitto mondiale e la ricostruzione post-bellica divenne pian piano un bene di massa tanto che oggi la media in Italia è di 3 autovetture ogni 5 abitanti.

Quindi se da una parte l'invenzione del motore a scoppio e quindi dell'automobile ha creato posti di lavoro dall'altra è l'aumento della domanda a seguito dell'aumento delle condizioni economiche delle famiglie che ha determinato le basi per la creazione di molti altri posti di lavoro.
Si potrebbe quindi affermare che le imprese creano posti di lavoro e che i consumi ne determinano la quantità.
Personalmente rimango dell'opinione che i posti di lavoro comunque non sono creati dalle imprese, perchè un posto nuovo significa uno in meno da un'altra parte. Ma è un concetto che meriterebbe una trattazione più ampia e completa.
 
Il mio intento vorrebbe essere però quello di guardare il contesto da un punto di vista differente. Per me la questione fondamentale è che occorre innanzitutto concentrare l'attenzione sulla domanda, il resto poi viene dopo anche se non per questo è meno importante. In fondo l'economia moderna da un certo punto di vista non è diversa da quella più semplice del passato che vedeva chi offriva i propri prodotti riunirsi nelle piazze, nei mercati cittadini mettendo a disposizione la propria merce sulle bancarelle. Dalle bancarelle si è passati ai negozi, ai centri commerciali e nei tempi più recenti attraverso internet anche a quelli virtuali. I prodotti oggi sono molti di più rispetto al passato ma in fondo il presupposto per vendere è sempre quello: avere un adeguato numero di potenziali consumatori.
Se un commerciante ambulante si trova in un dato giorno in una piazza in cui sono presenti un centinaio di persone potrà aspirare di vendere qualche unità della propria merce o al massimo qualche decina di essa. E in questo caso potrebbe operare da solo. Ma se si trovasse in mezzo a qualche centinaio di persone le sue aspettative sarebbero ben maggiori e facilmente avrebbe necessità di un aiuto. Più potenziali acquirenti visitano il proprio negozio e più possibilità di vendita si hanno. Sembrano discorsi scontati, quasi banali, eppure a guardare le misure che spesso si intraprendono per rilanciare l'economia sembra non essere così.

I posti di lavoro non si creano perchè c'è uno sconto contributivo nei confronti di nuove assunzioni, per via di incentivi alla rottamazione o comunque per l'acquisto di particolari categorie di prodotti. Il lavoro si crea perchè si ha un aumento stabile della domanda aggregata e questo lo si ottiene necessariamente attraverso una adeguata politica fiscale dove chi guadagna di più deve contribuire maggiormente alla spesa pubblica attraverso una progressività delle aliquote fiscali. Permettere ad esempio a chi guadagna meno di potersi curare significa, economicamente parlando, avere più medici, più medici significa più posti di lavoro e più posti di lavoro significa più potenziali consumatori. E'importante costruire uno Stato Sociale, uno Stato che non deve fare l'imprenditore, ma solo garantire ai cittadini servizi (istruzione, sanità, difesa) e sostegno sociale in particolari casi.

Per quanto siano comprensibili le ragioni che spingono una azienda a delocalizzare per ridurre i costi, occorre però che queste abbiano presente che licenziando i lavoratori significa ridurre il numero di potenziali consumatori nel proprio Paese. Numero che può essere ristabilito solo se il sistema nel suo complesso è in grado di reintegrarli altrove, ma è alquanto difficile che questo si verifichi se l'entità delle delocalizzazioni raggiunge livelli considerevoli.

Henry Ford diceva che i suoi lavoratori dovevano guadagnare abbastanza per potersi permettere di acquistare uno dei suoi modelli di automobili, così nel 1914 aumentò la paga giornaliera da 2,25 $ a 5,00 $. A quell'epoca il modello T della Ford costava 500,00 $, considerando che si lavorava 250 giorni all'anno ne consegue che ciascun lavoratore avrebbe guadagnato nello stesso arco di tempo 1.375,00 $ aggiuntivi, più che sufficienti quindi per potersi permettere l'acquisto di una sua automobile.




Ora un qualsiasi commercialista o contabile (senza offesa) potrebbe rilevare che finanziariamente Ford commise una 'imprudenza', visto che questa operazione al meglio poteva fargli perdere 2,6 milioni di dollari l'anno nel caso tutti 14.000 lavoratori avessero acquistato un modello T (2,75 x 250 x 14.000 - 14.000 x 500), ma il motivo di questa decisione è da ricercare anche in altri fattori. La Ford aveva all'epoca un turnover di personale pari a 52.000 lavoratori all'anno, cioè 3,7 volte quelli necessari. Questo comportava notevoli costi di formazione e quindi aumentando la paga in misura tale che fosse la migliore rispetto ai concorrenti disincentivò i licenziamenti, aumentò il livello di fedeltà, di competenza, di rendimento e questo portò benefici che andarono oltre i 2,6 milioni di dollari.

Oggi abbiamo esempi di aziende che perseguono la politica opposta di riduzione progressiva dei salari, aumento del turnover con la conseguenza di costi continui da sostenere per la loro formazione, un basso livello di competenza e di impegno che porta inevitabilmente ad un basso indice di produttività. Un po' quello che avviene negli stabilimenti situati in alcuni Paesi a basso costo della manodopera, dove la produttività è decisamente inferiore a quella ottenuta prima. Sicuramente le imprese lo sanno e per loro rimane comunque conveniente. Il problema però si presenta in seguito quando si rendono conto che portando la merce in patria la domanda non è più quella di una volta.

E' importante cambiare prospettiva, rendersi conto che una economia è sana e si creano posti di lavoro solo se si ha una domanda solida e consistente. La Storia ci insegna che il benessere le economie più avanzate lo hanno raggiunto solo di recente, quando è avvenuta una migliore distribuzione della ricchezza, ergo quando la domanda aggregata è cresciuta. E oggi la crisi, la perdita di posti di lavoro, la chiusura di molte attività, è dovuto al suo calo.

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