domenica 16 ottobre 2016

Tasso di cambio della valuta e competitività

Quante volte si sente dire e si legge che il cambio della valuta è uno strumento che agirebbe da equilibratore negli scambi commerciali? Oppure, argomento molto attuale, che il surplus commerciale della Germania dipende da una valuta (l'euro) sottostimata per la loro economia?
Tutte affermazioni corrette, sicuramente, ma vorrei mostrare la situazione da un diverso punto di vista. Vorrei analizzare l'influenza che il cambio della valuta ha sulla competitività e se davvero questa influenza favorisce le aziende più efficienti e quindi competitive oppure il contrario.

Ipotizziamo di essere produttori di un bene, ad esempio una lavatrice, e che questa la vendiamo a 1.000 euro ciascuna. Anzi, per fare felici i sostenitori del ritorno ad una moneta nazionale, ipotizziamo che questo passo lo si sia fatto e che quindi la nostra lavatrice la vendiamo a 1.000 lire. Supponiamo poi che in Gran Bretagna un fabbricante di lavatrici ne produca una simile e che la venda a 1.000 sterline l'una. I prezzi sono più elevati della realtà ma ci serve per fare i conti più velocemente. Per finire ipotizziamo anche che il tasso di cambio iniziale lira/sterlina sia 1:1, anche qui per non complicarci la vita con i conteggi.
Se il nostro prodotto, ovvero la lavatrice made in Italy, risultasse più apprezzata dai consumatori sia italiani che inglesi (dovremmo per la precisione dire britannici), vuoi per l'aspetto estetico, l'affidabilità, le funzioni possibili e quant'altro, cosa avremmo? Avremmo che, essendo più venduta rispetto a quella britannica, questo influirebbe sul cambio. Certo, un solo prodotto nella realtà influisce ben poco, ma immaginiamo che questo rappresenti il complesso del commercio italo-britannico.
Quando un italiano acquista un prodotto straniero, importandolo, genera indirettamente una domanda di valuta del venditore, nel nostro caso di sterline e viceversa, i consumatori inglesi che acquistano la nostra lavatrice genereranno una domanda di lire perché a noi interessa essere pagati nella valuta che usiamo qui in Italia. Tralasciamo i casi di conti in valuta estera che rappresentano una marginalità.
Ne consegue che se la domanda di lire, generata dai consumatori britannici, è superiore a quella di sterline effettuata dagli acquirenti italiani di lavatrici del nostro concorrente, il cambio lira-sterlina subirà una variazione a beneficio della nostra moneta.

Immaginiamo quindi che il cambio si modifichi del 10%, quindi che 1 lira valga ora 1,10 sterline e che 1 sterlina valga quindi 0,90 lire, questo accettando un lieve margine di errore aritmetico (a 1 lira = 1,10 sterline corrisponde che 1 sterlina non è esattamente 0,90 lire, bensì 0,909090,,,).
La conseguenza è che entrambi i prodotti sul mercato estero subiranno una variazione di prezzo di vendita: la nostra lavatrice in Gran Bretagna costerà ora 1.100 sterline mentre quella loro da noi sarà venduta a 900 lire, questo a listini costanti ovviamente. L'ulteriore e presumibile conseguenza sarà che la loro, risultando da noi più economica di prima, vedrà aumentare le vendite, a scapito della nostra, e viceversa in Gran Bretagna, dove costando di più la nostra lavatrice, questa verrà penalizzata.

Bene, fin qui tutto ovvio e chiaro. Ma è a questo punto che desidero esporre meglio il mio punto di vista in maniera approfondita sull'effetto, a mio avviso controproducente, del cambio.
Ipotizziamo di riunire il nostro staff tecnico di progettazione, il marketing, il commerciale e magari pure gli acquisti, per trovare un sistema che renda la nostra lavatrice più conveniente al fine di aumentare le vendite. Tutti i nostri collaboratori si mettono instancabilmente al lavoro e dopo un certo tempo ecco che realizzano la nostra lavatrice 2.0: più evoluta e soprattutto più economica. Diciamo che questa sia venduta a 900 lire! Proprio come quella di importazione. Vediamo ora che cosa accadrà presumibilmente nei due Paesi. In Italia i consumatori si ritroveranno il nostro prodotto allo stesso prezzo di quello importato, ma con qualità decisamente maggiori, quindi le vendite aumenteranno di conseguenza. In Gran Bretagna la nostra lavatrice 2.0 sarà venduta a 990 sterline, addirittura meno di quella loro che rimarrà a 1.000 sterline. C'è da attendersi quindi un successo anche in terra britannica e questo avrà effetti sul cambio in quanto la domanda di lire sarà maggiore di quella di sterline e quindi il cambio subirà un adeguamento. Supponiamo di un altro 10% (per la precisione qualcosa meno) per arrivare a 1 lira = 1,20 sterline e quindi (con un margine anche qui piccolo di errore) 1 sterlina = 0,80 lire. Andiamo a vedere le conseguenze sui rispettivi prodotti.
La nostra lavatrice in Gran Bretagna sarà venduta ora a 1.080 sterline mentirà da noi quella britannica a 800 lire contro la nostra 2.0 a 900 lire. Il cambio anche ora avrà offerto un 'aiuto' al prodotto britannico senza che loro abbiano fatto nulla per meritarlo, mentre risulterà penalizzata ancora una volta la nostra lavatrice nonostante gli sforzi profusi dall'intero nostro staff!

È questo il punto che voglio sottolineare: gli economisti potranno anche sostenere che il cambio è strumento di normalizzazione, che rende equilibrato il commercio internazionale. Io, ragionando da imprenditore, lo considero un mistificatore della competitività tra aziende, così come evidenziato dall'esempio fatto. Chi fa poco o nulla per migliorare il proprio prodotto si trova un inaspettato, o meglio non richiesto, aiuto dal fronte dei cambi. Viceversa chi si impegna per migliorare ciò che offre ai consumatori si trova un ostacolo che penalizza, anche parzialmente, gli sforzi effettuati.
Ecco perché replico stizzito quando leggo di economisti che puntano il dito su economie che hanno la colpa di essere nel loro complesso più competitive e a detta loro la mancanza del cambio, perché condividendo la stessa moneta, sarebbe elemento distorsivo tra le economie medesime. Ogni riferimento a quella tedesca è puramente intenzionale. No, a mio modo di vedere ad essere distorsivo semmai è il cambio.
Certo, da italiano potrei vedere con favore l'effetto (o presunto tale) equilibratore del cambio, ma in realtà non è il mio caso. Io voglio competere ad armi pari e lasciare che sia la competitività a fare la differenza. Competitività che comprende tutte le funzioni: dalla scelta dei fornitori alla progettazione, dal design al marketing, dalla gestione amministrativa alla produzione, dalla logistica al commerciale. Non accetto che il mio governo intervenga a favore dei prodotti importati od ostacoli le mie esportazioni penalizzando la mia attività perché il saldo commerciale o quello delle partite correnti risulta essere in surplus oltre un livello che gli economisti considerano motivo di squilibrio. Se un sistema Paese risulta essere meno competitivo, la soluzione non è, e non deve essere, quella di frenare il più bravo, ma quella di migliorare il primo.

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