mercoledì 21 giugno 2017

Bagnai, il cambio e la produttività

Ieri sera stavo leggendo un articolo del Prof.Alberto Bagnai dal suo blog Goofynomics, dal titolo "Il moralismo del mainstream" (oramai mainstream è diventato termine di moda), quando giungo annoiato da un'introduzione insignificante quanto condito di fake news (anche queste due parole sono diventate di uso quotidiano) quale: " ...la Germania vuole l'atomica e che bisogna comunque prepararsi al peggio..." (dove abbia letto questa stupidaggine lo sa solo lui) ad una parte che raccoglie un minimo interesse da parte mia:


In sostanza lui afferma che una economia che possiede una valuta il cui cambio è sopravvalutato rispetto a quelle dei principali concorrenti si trova ad essere penalizzata, poi aggiunge che quando il cambio si apprezza la produttività decresce.
Ciò che afferma in linea generale è del tutto condivisibile benché io avrei qualche osservazione da fare, più che altro delle precisazioni. Purtroppo (più per lui) il Prof.Bagnai è allergico ai confronti con chi non condivide completamente ed insindacabilmente il suo pensiero, soprattutto se non ha pubblicazioni in Classe A su riviste scientifiche. Di certo io non rientro in nessuna delle due categorie, ho idee divergenti dalle sue in materia di pensiero economico e per scelta faccio un mestiere diverso da quello di economista, però una seppur minima conoscenza ritengo di averla anche se non del livello per pubblicare su classe A come l'esimio docente di Economia dell'Università di Chieti e Pescara.
Pazienza, mi limiterò ad esprimere queste mie osservazioni qui e mi rassegnerò a non ricevere mai una sua replica.

Il cambio e la produttività
Sul fatto che in presenza di un rapporto di cambio sopravvalutato le aziende esportatrici incontrino maggiori difficoltà nel vendere i propri prodotti non posso fare altro che concordare, mentre sulla diretta relazione con la produttività ho da muovere una osservazione. Da una parte è vero nella maggior parte dei casi ma dall'altra occorre tenere presente che la produttività è legata direttamente non al solo commercio estero ma alla produzione complessiva di una azienda, ovvero l'insieme di quanto si produce e si vende sia all'estero che nel proprio Paese. Pertanto se l'economia di un Paese si trova ad avere un cambio sopravvalutato, è facile che le aziende vendano meno all'estero e a parità di vendite interne il totale risulti inferiore alla situazione in cui il cambio sia in linea con la bilancia dei pagamenti ed implicitamente anche la produttività possa quindi subire un calo. Viceversa se il cambio fosse sottovalutato, come è il caso della Germania che Bagnai cita spesso, la produttività ne verrebbe stimolata. La Germania ha, come sappiamo, un notevole surplus delle partite correnti e se avesse ancora la propria moneta, il marco, questa avrebbe indiscutibilmente un valore maggiore rispetto alle altre. Con l'euro, il quale è condizionato dalle economie degli altri Paesi che ne determinano una quotazione inferiore, la competitività dei prodotti tedeschi ne risulta avvantaggiata. Le imprese tedesche quindi godono di un ostacolo in meno per vendere all'estero e questo comporta una maggiore produzione che combinata con una maggiore vendita e quindi produzione per il mercato interno consente di aumentare la produttività delle imprese. Quindi Bagnai ritiene che la scarsa produttività italiana dipenda più dal fatto che noi, a differenza dei tedeschi, con l'euro ci siamo dotati di una valuta che è invece per noi sopravvalutata e che questo impedisca alle nostre imprese di essere competitive come lo sarebbero avendo una valuta nostra. Insomma, se tornassimo alla lira venderemmo di più e questo migliorerebbe la produttività generale, così come è stato subito dopo aver lasciato temporaneamente lo SME nel 1992. Questo è il suo pensiero.

Osservando i due grafici che Bagnai ha incluso, si vede come nel primo il tasso di cambio effettivo reale (Real Effective Exchange Rate) dell'Italia sia calato dopo aver lasciato il Sistema Monetario Europeo e nel secondo come la produttività sia aumentata, almeno fino al 1995 incluso, poi tutto si sarebbe assestato in quanto si decise di rientrare nello SME, cosa che avvenne nel 1996. Da allora, vincolati alla parità prima e all'adozione dell'euro in seguito, tutto è tornato ad essere negativo: REER in aumento e produttività in calo, sebbene le esportazioni abbiano visto un trend in perenne crescita.

Il caso 1992: uscita dallo SME
Ecco, la mia osservazione sorge guardando proprio a quanto accadde nel periodo 1992-1995, dove la produttività vide una crescita che il Prof.Bagnai afferma derivare dai benefici del deprezzamento della lira nei confronti delle valute principali, con il marco tedesco:


il dollaro USA:


il franco francese:



Se guardiamo i dati macroeconomici di PIL e commercio estero per l'Italia:


sembra che tutto confermi le affermazioni di Bagnai. Il PIL, tranne che per il 1993 dove ha visto un andamento negativo, è cresciuto a livelli apprezzabili nel biennio 1994-1995. Le esportazioni sono cresciute sensibilmente già dal 1993 mentre le importazioni hanno registrato invece uno scarso aumento nello stesso anno per poi riprendersi nel biennio seguente. C'è da osservare che nel 1993, nonostante la buona crescita delle esportazioni e la sostanziale stabilità delle importazioni (che in termini reali, cioè scontando l'aumento dei prezzi, è stata negativa), il PIL ha visto un calo, seppur non rilevante, segno questo che il commercio estero non è determinante ai fini del risultato complessivo. Nel 1993 infatti, i consumi finali nazionali delle famiglie sono stati del 3% circa inferiori all'anno precedente (dati ISTAT). Poi come sappiamo le esportazioni rappresentavano in quel periodo una quota di poco superiore al 20% del PIL.

Ora però arrivo al dunque di questa mia riflessione. Il Prof.Bagnai sostiene che la produttività nel periodo 1993-1995 sia cresciuta grazie all'uscita dallo SME, al conseguente deprezzamento della lira rispetto alle altre valute che ha portato un incremento delle esportazioni ed un freno alla crescita delle importazioni, a un aumento così del PIL, almeno a partire dal 1994, e quindi della produzione che attraverso rendimenti di scala ha consentito appunto questo miglioramento.
Io però vorrei fare un passo indietro e mostrare la situazione da un altro punto di vista.
Prendiamo l'andamento dell'occupazione in quel periodo:


da cui si rileva che:

  • Nel 1993 si sono persi 614 mila posti di lavoro
  • Nel 1994 si sono persi altri 366 mila posti di lavoro
  • Nel 1995 si sono persi ulteriori 44 mila circa posti di lavoro
  • Nel 1996 finalmente il trend è cambiato in positivo e si sono generati quasi 125 mila posti di lavoro
Se nel 1993 non c'è da sorprendersi per il calo dell'occupazione a cui è seguito un calo del Prodotto Interno Lordo, viceversa desta curiosità il fatto che nel biennio successivo, nonostante il PIL sia stato in crescita come visto prima, l'occupazione è andata lo stesso diminuendo.
Ora prendiamo i dati delle ore lavorate in quel periodo di tempo:


da cui si evince che:

  • Nel 1993 vi è stato una calo del 2,7% delle ore complessivamente lavorate rispetto al 1992
  • Nel 1994 vi è stato un calo del 2% delle ore complessivamente lavorate rispetto al 1993
  • Nel 1995 vi è stato un leggero ulteriore calo dello 0,1% delle ore complessivamente lavorate rispetto al 1994
  • Nel 1996 vi è stato un aumento delle ore complessivamente lavorate del 1,3%
Se si ritorna al dato che riguarda l'occupazione e si calcola la variazione percentuale annua durante il periodo in questione si ha che:
  • Nel 1993 l'occupazione è calata del 2,7% rispetto all'anno precedente
  • Nel 1994 l'occupazione è calata del 1,6% rispetto all'anno precedente
  • Nel 1995 l'occupazione è calata dello 0,2% rispetto all'anno precedente
  • Nel 1996 l'occupazione è aumentata dello 0,6% rispetto all'anno precedente
Come intuibile le variazioni sono molto simili a quelle delle ore complessive.

Ora, la produttività è la misura della quantità di produzione (o di output) per ora lavorata (se riferita al tempo) oppure per occupato (se riferita alle risorse di manodopera). Il Prodotto Interno Lordo è sostanzialmente la quantità di produzione effettuata e la sua variazione è calcolata in termini reali, ovvero a prezzi costanti, così il risultato non viene influenzato dall'andamento (in genere in crescita) dei prezzi.
In definitiva, se negli anni 1994 e 1995 il PIL è stato crescente ma sia l'occupazione che il monte ore complessivamente lavorate sono stati in calo, ne consegue che il rapporto tra queste variabile, con il PIL al numeratore, per definizione aumenta e questo rapporto altro non è che la Produttività!

Insomma, nel 'magico' periodo dell'uscita dallo SME la produttività non è cresciuta grazie ad una maggiore economia di scala resa possibile da un incremento della produzione la cui componente estero è stata determinante in virtù del deprezzamento della lira, bensì questa - la produttività - è aumentata in quanto vi è stato un calo di occupati e quindi di ore complessivamente lavorate al quale ha fatto seguito un aumento del volume complessivo di produzione. Si può quindi parlare di una ottimizzazione delle risorse, ma non di economia di scala. Questa vi sarebbe stata se si fosse avuta una crescita della produzione (PIL) in misura maggiore rispetto a quella degli occupati, oppure con una crescita nulla di questi. Ma se io nella mia azienda a fronte di un aumento di lavoro licenzio personale non posso chiamare in causa una presunta economia di scala per spiegare la maggiore produttività.

Conclusioni
E' quindi mia personale opinione che questo aumento della produttività, peraltro di breve durata, sia dipeso da una riallocazione delle risorse di manodopera, riallocazione o ottimizzazione che è passata attraverso dismissioni di parte del personale. Quando a partire dal 1996 il fattore (o componente) lavoro è tornato a crescere, a fronte dell'aumento del volume di produzione (PIL), la produttività anziché salire è rimasta pressoché costante per un certo periodo per poi calare leggermente. Le ragioni di questo andamento dovrebbero però essere cercate non nella moneta, nel cambio, ma in altre aree come ad esempio l'investimento di capitale tecnologico, l'evoluzione della tipologia di prodotti realizzati (se ad alto o ridotto valore aggiunto), le dimensioni aziendali (rimaste piccole), l'organizzazione del lavoro.
Non so cosa ne pensino dalle parti del Dipartimento di Economia dell'Università di Chieti e Pescara ma temo che rimarrò senza risposta. Io non ho pubblicazioni in "classe A".

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