martedì 3 maggio 2016

L'illusione della svalutazione monetaria

Supponete di avere una azienda con 50 dipendenti. Ipotizzate che il costo del lavoro annuo medio di ciascuno di essi sia di 40 mila euro (un po' basso ma per questo esempio può andare bene) quindi annualmente la vostra azienda sosterrà un costo complessivo di 2 milioni di euro per il fattore lavoro.

Nel settore manifatturiero l'incidenza del costo del lavoro sul fatturato varia da settore a settore e da azienda a azienda, ma mediamente questo oscilla tra il 12 ed il 18%, per il nostro esempio prendiamo il dato medio secondo le statistiche, ovvero il 15%. Questo significa che nel caso della azienda in questione il fatturato annuo per dipendente sarà di circa 267 mila euro e quello complessivo di poco più di 13 milioni di euro.

Si ipotizzi ora che io vi venga a trovare e vi suggerisca di delocalizzare la vostra attività in un Paese dove:

costo del lavoro + tassazione + livello dei prezzi in generale

siano tutti favorevoli. Un Paese a caso:


ad esempio in Polonia, o ancora meglio in Romania o anche in Bulgaria dove il costo medio orario del lavoro è rispettivamente di 5 e 4 euro (8,60 in Polonia) contro i 28 in Italia (fonte Eurostat).
Se sceglieste la Bulgaria il costo annuo per il personale passerebbe dagli attuali 2 milioni a circa 286 mila euro con un risparmio quindi di poco più di 1,7 milioni di euro!
Con questo importo risparmiato è possibile poi pagarsi il capannone (sia esso da costruire o già pronto da acquistare) considerando che il livello dei prezzi è proporzionalmente inferiore, magari non 1/7 come il costo del lavoro ma comunque non molto diverso. Di conseguenza se in Italia la realizzazione di un fabbricato costerebbe 1 milione, in Bulgaria potreste cavarvela con 150 mila o 200 mila euro. E ogni anno successivo conseguireste maggiori profitti per 1,7 milioni di euro grazie al risparmio sul costo del lavoro, pari al 13% del fatturato.

Se poi aggiungiamo che la tassazione sugli utili in Bulgaria è decisamente inferiore, credo che la cosa si faccia davvero interessante (tratto da una recente pubblicazione Eurostat):


Insomma, risparmiereste 1,7 milioni di euro all'anno (13% del fatturato), paghereste complessivamente molte meno tasse e ogni spesa effettuata in quel Paese (vedi fabbricato) costerebbe molto meno che qui in Italia. Siete convinti?

Probabilmente chi avrà letto qualche libro (o blog) di economisti che propongono soluzioni avventate come quella "dell'uscita dall'euro e conseguente svalutazione" vi lascerà perplessi sull'accettare la mia proposta. In tal caso queste che seguono sarebbero le considerazioni che vi formulerei.

Ritornare ad una valuta nazionale che subisca un deprezzamento iniziale (o chiamiamola anche svalutazione) consistente, diciamo un 30% rispetto a quelle di riferimento (in primis dollaro USA), vi consentirebbe di aumentare la competitività sui mercati internazionali. Un generico prodotto che vendete a 100 euro, all'indomani di questa svalutazione per un cliente straniero è come se costasse 70 euro (o neo-lire supponendo che il cambio sia alla pari tra la nuova lira e l'euro) o comunque il 30% in meno rispetto a prima. Sicuramente avrete un incremento nelle vendite all'estero, magari non del 30% ma comunque si può ipotizzare un incremento apprezzabile.
Ma allora perché le imprese italiane guardano con scarso interesse a questa soluzione?
Intanto per quanto esposto prima è facile intuire quanto sia conveniente delocalizzare rispetto a questa soluzione che consentirebbe sì, di divenire più competitivi sul mercato internazionale aumentando le vendite, ma pur sempre in una realtà dove i profitti sarebbero tassati sempre in egual misura. Si è visto nell'esempio iniziale che solo grazie al differenziale sul costo del lavoro i profitti potrebbero aumentare del 13%, cosa che non sarebbe raggiungibile nella seconda situazione: aumenterebbe il fatturato (estero!) ma i margini crescerebbero di poco.

In secondo luogo c'è da considerare il fatto che ad ogni impresa interessa relativamente poco il fatturato in una zona specifica (in questo caso all'estero), specialmente se la quota di questo sul totale è meno della metà.
Per un imprenditore è determinante stabilire le ripercussioni sull'intero mercato di vendita (nazionale ed estero)!
Chi vi ha mostrato centinaia di volte i grafici del saldo commerciale italiano a seguito dell'ultima svalutazione della lira nel 1992, non vi ha però mostrato quello sull'andamento dell'occupazione in Italia nel triennio successivo, dove si sono persi circa 850 mila posti di lavoro sebbene le vendite all'estero si siano incrementate.

Ma un altro aspetto che lascia perplessi gli imprenditori sulla soluzione uscire dall'euro è che i vantaggi di questa sarebbero temporanei, dopo qualche anno verrebbero meno.
Io ho cercato di rappresentare la dinamica degli eventi post-svalutazione con questo esempio che ho chiamato "La settimana della svalutazione". Supponete di essere l'amministratore delegato di una azienda:

Domenica: Governo e Banca Centrale annunciano l'uscita dall'euro.

Lunedì: la neo-lira viene scambiata subito al 30% meno della parità nominale iniziale con le altre maggiori valute ed il vostro direttore commerciale vi comunica esultando che le vendite sul mercato estero sono cresciute sensibilmente.

Martedì: il vostro buyer vi comunica che i vostri fornitori di beni e servizi hanno aumentato i listini. Questo perché i prodotti di importazione sono aumentati così come il costo dell'energia.

Mercoledì: il vostro direttore finanziario vi comunica che le banche hanno aumentato i tassi di interesse debitore con conseguente aggravio degli oneri finanziari.

Giovedì: i sindacati chiedono un aumento delle retribuzioni per compensare quello dei prezzi in generale causato dalla svalutazione, aumento (si legga inflazione) che non sarà del 30% ma in ogni caso tale da far perdere sensibilmente il potere di acquisto.

Venerdì: vostro malgrado vi troverete costretti ad aumentare i listini di vendita (nazionale ed estero) dei vostri prodotti iniziando così ad annullare parte del vantaggio competitivo conseguito, processo questo che proseguirà per qualche tempo fino a ritrovarvi nella medesima situazione di partenza.

Questo molto schematicamente e senza considerare quale effetto avrà la svalutazione sulle vendite interne, che solitamente portano ad un crollo e quindi complessivamente a conseguenze più negative che positive essendo il mercato interno quello prevalente. Come avvenuto nel 1992.

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