giovedì 19 gennaio 2017

Per qualche dollaro in più (di dazi)

Domani alla presidenza del governo degli Stati Uniti si insedierà il neo eletto Donald Trump, il quale a sentire le recenti sparate intenzioni potrebbe riservare a molti - incluso noi - un futuro piuttosto fosco.
Trump ha proposto in campagna elettorale una serie di misure, ribadite più volte anche recentemente (ad esempio intervista al Times e alla Bild Zeitung), atte a frenare la globalizzazione inducendo le aziende USA a far rientrare le produzioni delocalizzate all'estero oltre che alzare una barriera alle importazioni introducendo dei dazi che stando all'entità proposta sono da ritenersi più punitivi che altro. I dazi doganali, osteggiati dai liberisti puri, sono infatti utilizzati per ridurre lo squilibrio tra prodotti dello stesso genere ma con prezzi ben diversi tra loro per il fatto di essere prodotti in nazioni con un diverso standard di vita. Si pensi ad esempio ad un capo di abbigliamento realizzato in Bangladesh piuttosto che da noi. Oppure una stessa autovettura prodotta in Turchia piuttosto che in Germania. Ogni bene importato costituisce un bene in meno realizzato internamente e quindi meno lavoro, meno ricchezza prodotta e meno entrate fiscali per lo Stato. Ecco quindi che per evitare un eccessivo squilibrio con conseguente danneggiamento della ricchezza nazionale è utile affidarsi ad una imposta specifica da pagare, la quale assume quindi la duplice funzione di ridurre lo squilibrio di prezzo e di compensare, seppur parzialmente, i costi impliciti derivanti dall'importare beni dall'estero.

Ma Trump non vuole (solo) questo. Stando alle sue uscite aspirerebbe a realizzare internamente gran parte di quanto si consuma ostacolando i beni stranieri introducendo pesanti dazi.
Questa intenzione è a mio avviso decisamente controproducente perché difficilmente le aziende, soprattutto statunitensi, faranno quello che Trump si attende, cioè far rientrare la produzione dei prodotti che vendono sia nel loro Paese che in tutto il resto del mondo.
Nello specifico, ben difficilmente vedo una Apple decidere di trasferire l'assemblaggio dei propri prodotti da Shanghai in Mississippi o in Alabama ed i motivi possono essere facilmente intuibili leggendo questo articolo del Daily Mail.
Oppure che le "Big Three" del settore automotive (GM, Ford e Chrysler) chiudano gli stabilimenti in Messico per riaprirli in terra statunitense, ma vale lo stesso per aziende non USA, ad esempio le tedesche BMW e Volkswagen o le giapponesi Nissan e Toyota o la coreana Kia o tutte le altre ancora.
Le grandi aziende statunitensi sanno bene che questo porterà a ritorsioni da parte delle altre nazioni verso i prodotti USA, quindi a che pro trasferire la produzione entro i confini nazionali, evitando da una parte i dazi di Trump ma subendo dall'altra un aggravio dei costi di produzione e poi subire i dazi dei Paesi stranieri? E i consumatori che vantaggi avrebbero se a maggiori costi conseguenti la produzione trasferita in patria deriveranno verosimilmente maggiori prezzi a listino?
I consumatori con l'adozione delle misure proposte da Trump subiranno una perdita del potere di acquisto da ogni parte, sia che il bene venga prodotto internamente (per i maggiori costi di produzione) che all'estero (per i dazi).

Si dirà: "Ma così aumenta l'occupazione!"
Risposta: "Siamo davvero convinti?"

Premesso che il livello di occupazione è al momento soddisfacente negli Stati Uniti (60% circa) e quello di disoccupazione e sotto il 5%, se per quanto appena visto i prezzi dovessero salire, o le aziende negli USA saranno disposte ad aumentare i salari controbilanciando la perdita di potere di acquisto (difficile!) oppure le famiglie statunitensi potranno permettersi meno beni, il che porterà ad una contrazione dei consumi e quindi della quantità di lavoro richiesta. Poi tutto è possibile e magari la ricetta Trump mi smentirà implacabilmente. Ma ne dubito.
Stesse conseguenze di riflesso anche nel resto del mondo, dove una minore attività commerciale internazionale in generale e verso gli USA nello specifico, porterà facilmente ad un rallentamento della ricchezza prodotta e del lavoro richiesto, proprio quello di cui non abbiamo bisogno!

Personalmente comunque prevedo che queste uscite di Trump non avranno seguito, prima di tutto perché ritengo che le grandi aziende, USA e non, tramite i lobbisti (che negli USA sono leciti e girano tranquillamente per i palazzi della politica) eserciteranno forti pressioni sui senatori affinché non approvino queste misure. Ma se questo non andasse in porto ritengo che da parte loro sia preferibile resistere quattro anni per poi dare il benservito a questo singolare personaggio che a campagna elettorale terminata confonde ancora l'attività di governo (del Paese più influente e ricco al mondo) con un TV show stile The Apprentice.
Se così andasse l'unica cosa che porterà a casa questo discutibile programma economico sarà solo qualche dollaro in più di entrate doganali ma più che controbilanciate negativamente da quelle fiscali.

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